DI MICHAEL KRAUSS
ALASKA NATIVE LANGUAGE CENTER
UNIVERSITA' DI ALASKA FAIRBANKS.
15· CONGRESSO INTERNAZIONALE DI LINGUISTICA, Quebec 10 agosto 1992.
(Traduzione: Alexandra Rinaldi)
Ogni lingua è come un infinito complesso, come un organismo vivente; come tale è sicuramente la più meravigliosa manifestazione della mente umana.
Un centinaio di linguisti che lavorino un centinaio di anni non riuscirebbero a svelare pienamente il mistero di una sola lingua.
Inoltre, dato che tutte le forme di vita che noi conosciamo dipendono pienamente dal mondo naturale che le sostiene, sicuramente la vita umana come tale dipende dal nostro mondo linguistico che la sorregge. Sappiamo tutti che l'ambiente biologico che ci circonda nella sua essenziale diversità, è gravemente in pericolo.
Cosa ne è del nostro ambiente linguistico? Qualche statistica per cominciare (riassumendo ed attualizzando la mia relazione del convegno della Linguistic Society of America del gennaio 1991, pubblicato in Language, marzo 1992). Esistono, al momento circa 6000 lingue ancora parlate (si aggiunga o si tolga un 10% a seconda della definizione di lingua o dialetto). Ora, una lingua che non viene più parlata dai bambini è prossima al pericolo. Sta morendo, è destinata all' estinzione e alla morte dei suoi più giovani parlanti, come una specie che ha perso la sua capacità riproduttiva. Le nostre informazioni riguardanti le possibilità di vita di una lingua sono estremamente inadeguate, la migliore fonte a riguardo è la rimarchevole Ethnologue di Sil (edita presso Grimases), la quale dà alcune informazioni - in termini di necessità di tradurre la Bibbia- per almeno il 60% delle 6000 lingue nel mondo.
Da questa e da altre fonti noi possiamo solamente stimare che tra il 20 e il 50% delle 6000 lingue non vengono più parlate dai bambini e sono ormai prossime al pericolo, stanno morendo e - non abbiamo bisogno di una sfera di cristallo per predire ciò - saranno sicuramente estinte durante il prossimo secolo.
L'unico modo di stimare la percentuale (reale) di lingue in pericolo è di tentare una definizione di quelle che non lo sono, le lingue che io ho definito "salve".
L'isolazionismo è troppo fragile per rappresentare ancora una protezione adeguata; solo la severità politica e un elevato numero di parlanti potranno essere d'aiuto. Le Grandi Lingue, parlate da più di un milione di persone, e/o le lingue di Stato (il "Grandi" include naturalmente la maggioranza dello Stato) possono essere calcolate solo intorno alle 250.
Diminuendo la media numerica dei parlanti di una lingua a mezzo milione - tenendo presente, che esistono casi come il gallese e il bretone - possiamo dire che circa 300 lingue sono "salve" - si è pressappoco sicuri che verranno ancora parlate dai bambini nel secolo successivo a questo - .
Da ciò consegue che nel secolo futuro potrebbe verificarsi l'estinzione del 95% delle nostre lingue.
Inoltre, una percentuale addirittura più alta della nostra diversità linguistica è in pericolo e, peggio ancora, la maggior parte del restante 5% apparterrà ad, al massimo, 20 famiglie genetiche e, più della metà delle cosiddette lingue "salve", apparterranno a due sole famiglie: la indo-europea e la Niger-Congo.
Ma torniamo per il momento al piano delle statistiche.
La percentuale "in pericolo" - senza contare quel 20 fino a 50% delle lingue che stanno già morendo - è dunque il 45 fino al 75% delle 6000 lingue, il cui fato è appeso ad un filo.
Ma a quale filo? Prendiamo in considerazione qualche esempio, partendo dalle lingue indigene del Nord America - gli Stati Uniti ed il Canada - delle cui lingue 180 vengono ancora parlate.
Risultati preliminari della nostra indagine ancora in atto, mostrano che solo circa 30, cioè un sesto delle 180 lingue vengono ancora parlate dai bambini, e cinque sesti stanno morendo.
Di queste lingue forse un altro sesto vengono ancora parlate dalla maggior parte degli adulti, ma un quarto delle 180 lingue sarà estinto entro 10 anni, e più della metà sarà estinta entro 35 anni. Comunque, oggi i paesi con il maggior numero di lingue sono Papua Nuova Guinea, con circa 850 lingue, poi l'Indonesia con 570 (includendo Irian Jaya ed Est Timor), poi la Nigeria con 410,
l'India con 380. Altri 18 paesi possiedono più di 100 lingue, includendo il Brasile, il Chad, il Sudan, e l'Etiopia.
Tenendo presente da un lato le attuali condizioni in alcuni paesi e dall'altro il fatto che le lingue di media-statura vengono parlate nel mondo da forse solo 5000 persone, potete formarvi la vostra opinione se la percentuale delle lingue che stanno già morendo sia del 20% o piuttosto del 50%, e quali siano le possibilità di sopravvivenza delle lingue rimaste che sono in pericolo.
Noi linguisti dobbiamo rimanere inerti di fronte a ciò? Non ci interessa tutto questo?
Per il nostro mondo linguistico un paragone di queste catastrofiche statistiche con quelle del nostro mondo biologico sarebbe istruttiva per più ragioni. Questo è l'elenco dei dati ufficiali:
Prendiamo le categorie più in vista e importanti per noi, quali quelle dei mammiferi e degli uccelli.
Esistono circa 4400 specie di mammiferi, di queste, 326 o il 7,4% sono ufficialmente catalogate come "in pericolo" o minacciate mentre , delle 3600 specie di uccelli, sono tali 231, ossia un mero 6,4%.
Perchè tanto interesse per una così insignificante tragedia? Ebbene ci sono potenti interessi politici ed economici nell'ostacolare il catalogamento ufficiale delle specie in pericolo, specialmente contro l'inconveniente di preservare l'habitat. Infatti un tale calcolo potrebbe essere ancora più inquietante, specialmente per gli uccelli, per i quali alcuni biologi della conservazione credono ora che la percentuale di pericolo si avvicini più al 50% che al 6,4.
Anche in questo caso, il migliore scenario per le lingue è ancora peggiore di quello peggiore per gli uccelli.
Sono le lingue tanto meno importanti delle lumache e delle civette chiazzate? Perchè così tanto meno interesse per le lingue, e addirittura proprio da parte dei linguisti?
Sappiamo che la nostra vita dipende da un ecosistema, un tessuto vitale del quale gli uccelli sono una parte, ma siamo sicuri che le nostre 6000 lingue non siano almeno una parte essenziale di un sistema intellettuale e sociale dal quale dipende la nostra umanità? Quante lingue sono sacrificabili e quali?
La perdita di ciascuna lingua ci impoverisce tutti, esteticamente, spiritualmente, culturalmente, intellettualmente, storicamente.
Eccoci qui dunque a perdere il 95% della nostra ricchezza intellettuale, diversità e - peggio ancora - della nostra abilità, della nostra vera libertà di pensare in differenti modi. Eh sì!
Un mero dettaglio?
Scientificamente stiamo perdendo, dato che la linguistica sta perdendo il proprio oggetto di studio.
Non abbiamo dunque noi linguisti un doppio ruolo in questo? E una doppia responsabilità nell'agire?
Di nuovo abbiamo molto da imparare dai biologi.
Esistono letteralmente centinaia di organizzazioni, da associazioni locali, nazionali ed internazionali, private, pubbliche e governative, educative, a organismi informativi, di attivisti, di regolamentazione, per la preservazione del mondo naturale.
Le catastrofi che affrontiamo assieme non sono solo simili, ma casualmente correlate, con l'incontrollata espansione di alcune specie o lingue che minaccia la distruzione di tutto il resto, viene distrutto nello stesso modo anche il sistema nel quale esse esistono.
Perchè, tra tutti, noi linguisti siamo rimasti così reticenti alla catastrofica perdita della materia propria della linguistica? D'altronde, così come per i nostri colleghi biologi, accanto ai linguisti ci sono stati per lungo tempo organizzazioni e movimenti formati in gran parte da "patrioti" culturali ed educatori per il sostegno delle lingue in pericolo. Organismi che stanno ora guadagnando strutturalmente vigore, ed attenzione da parte dei mass media, ad esempio, il Native American Language Institute (NALI) negli Stati Uniti ed in Canada, e l' European Bureau for Lesser Used Languages. Ci sono state alcune entità accademiche pioneristiche, come l'Alaska Native Language Center all'Università di Alaska Fairbanks, che io rappresento, che sta lavorando in questo modo da 20 anni.
Più in generale, durante questo periodo, la linguistica accademica è stata estremamente occupata con questioni di carattere generale ed ha iniziato soltanto durante gli ultimi 2 anni a rispondere adeguatamente, con una sessione plenaria della LSA (Linguistic Society of America) del 1990-91, la quale ha costituito un Comitato sulle Lingue in Pericolo.
Agli inizi del 1992 anche la Società di linguistica tedesca ha costituito un simile comitato.
Nel 1991 il Comité International de Philosophie Languistique pubblicò un libro riguardante le lingue in pericolo a livello mondiale, edito dal nostro Segretario Generale il Professor Uhlenbeck.
In una riunione del febbraio 1992 a Parigi si iniziò a coinvolgere l'Unesco, ed il CIPL si sta ora occupando di organizzare un grande Forum per coinvolgere i linguisti accademici a livello internazionale.
Vedo per noi 3 urgenti obiettivi:
1) Dobbiamo rivolgere maggiore attenzione alla documentazione (sotto forma di grammatiche, dizionari, "corpora" linguistici, registrazioni su cassetta, archiviate e fatte salve) della maggior parte possibile delle lingue morenti, per conservarle sia per la linguistica, sia come eredità dell'umanità.
I dipartimenti linguistici hanno necessità di dare molto più supporto nell'assegnare cariche, posizioni e sostegni per questo urgente tipo di lavoro.
2) Dobbiamo migliorare la nostra assai carente conoscenza dello stato delle lingue mondiali, dando priorità, nella razionale distribuzione delle scarse risorse, prima alla documentazione delle lingue morenti e poi al resto.
3) Dobbiamo collaborare insieme per minimizzare la perdita delle lingue a rischio ma revitalizzabili. Ciò sicuramente non è meno legittimo per noi da fare che, per i biologi, l'essere coinvolti nella lotta per mantenere la diversità biologica sul nostro pianeta.
Naturalmente esiste un lato politico in questo.
Ci sono molti regimi politici che non solo impongono una lingua nazionale, ma stanno anche eliminando le loro lingue indigene. Gli accordi internazionali dei Diritti Umani adottati dalle Nazioni Unite nel 1966 includono esplicitamente "il diritto ad usare la propria lingua" alle minoranze (Art. 27, dei diritti politici e civili). Sono felice di constatare che il settore educativo della Unesco sta ora aumentando i suoi aiuti per le lingue minori, con il consenso di alcuni regimi. Infatti credo che il potenziale politico e legislativo per il rafforzamento delle lingue indigene è ora enorme.
In Alaska e negli Stati Uniti, i legislatori hanno superato noi linguisti nel prendere iniziative per preservare quanto più possibile le nostre lingue indigene. Questo enorme potenziale politico e legislativo per il supporto statale è, ora, stato a malapena esaminato. Questa è un' ovvia strada da percorrere, per aumentare la consapevolezza pubblica e politica con i nostri migliori alleati, i leaders locali e gli insegnanti di lingue da un lato e, dall'altro, con quelle organizzazioni impegnate che hanno lo stesso interesse per l'ambiente.
Noi linguisti dobbiamo riconoscere le nostre responsabilità nel partecipare alla corsa contro il tempo per preservare ciò che può essere salvato del nostro patrimonio umano.
Pensare a quale eredità lasceremo ai posteri.