SCRITTORI DALLA PARTE DI CAINO
Abolire entro il 2000 in tutto il mondo le condanne a morte. L'Italia chiederà all'Onu di far sospendere le esecuzioni
di Elisabetta Rasy - Corriere della Sera, 28 ottobre 1995
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TUNISI
Il primo appuntamento è stato a Tunisi. Gli altri sono previsti a New York e a Mosca. Punti caldi, punti cardinali di una carta geografica particolare: la mappa della pena di morte. Gli appuntamenti li organizza - con una fitta erte di contati internazionali, tutti più personali ed elettivi che burocratici - un gruppetto di uomini e donne che, alla fine del 1993, hanno fondato una lega eccentrica in terra italiana, la »Lega di cittadini e parlamentari per l'abolizione della pena do morte entro il 2000 , con un nome strano, "Nessuno tocchi Caino". Il nome, che nasce da una rilettura dei versetti della "Genesi" del fratricidio originario - l'omicidio come forma di relazione sociale per risolvere i conflitti quanto più si è vicini, quanto più si è fratelli - l'aveva voluto soprattutto Maria Teresa Di Lascia, la scrittrice che ha vinto l'ultima edizione del Premio Strega con "Passaggio in ombra", uscito dopo la sua morte, nel settembre del '94. Nessuno tocchi, e non nessuno uccida, Caino: più ancora che la
salvezza o lo scampo, è l'intangibilità della vita in qualunque circostanza il valore supremo, originario, stabilito da Dio.
In realtà - ha spiegato il cattolico ed esperto delle religioni del Libro, ebraismo, cristianesimo, islamismo, lo storico Franco Cardini, nella sua relazione a Tunisi - nei testi delle religioni monoteiste non è possibile trovare alcuni divieto positivo della pena di morte. E le sonanti voci arabe, appassionate fino a una tonalità che a orecchie estranee assomiglia al risentimento - le une insieme alle altre, le une contro le altre - intrecciandosi nella sala dei congressi dell'hotel tunisino El Mechtel dove si svolgeva il seminario sulla pena di morte, l'hanno di fatto confermato. Ognuna offrendo della lettera coranica e della sua tradizione e della sua possibile applicazione. una versione diversa.
Ma, si è chiarito nel convegno, chi invoca la tradizione delle scritture in tema di pena di morte nel mondo islamico, sta in realtà confondendo le acque. Una lezione per gli europei che, sia pure armati delle migliori intenzioni di non giocare al gioco dell'arretratezza e della civiltà - come ha precisato Sergio D'Elia, responsabile di "Nessuno tocchi Caino", ad apertura del convegno - accampano spiegazioni religiose ed etniche nei confronti dei problemi politici che non capiscono o non vogliono capire.
I musulmani presenti, soprattutto i rappresentanti del Marocco e dell'Algeria, l'hanno lasciato intendere chiaramente: nei differenti Stati arabi, che nel momento in cui sono diventati nazioni hanno dovuto darsi una legislazione positiva, la pena di morte è una variabile politica, non un precetto religioso. Valga l'esempio antico del Sudan, dive per ragioni di controllo politici e dietro il paravento religioso, la pena di morte è stata reintrodotta nella legge dello Stato dalla quale era stata espunta - ma valga, per confermare l'esempio, il comportamento di un Paese non arabo ma cristiano, le Filippine, dove il capo dello Stato nel '94 ha preso la palla al balzo da alcune formulazioni infelici in materia del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica per reintrodurre la pena di morte.
Se spesso ormai per la quasi comune coscienza europea la pena di morte è, come scriveva Albert Camus, »il più premeditato degli omicidio (anche se in alcuni Stati europei è ancora in vigore, e dal codice militare italiano è scomparsa nel '94) per gli arabi non solo è materia di carne e di sangue quotidiani, ma un nodo cruciale della vita politica e civile. Per questo a "Nessuno tocchi Caino" si è affiancato per organizzare l'incontro di Tunisi l'Istituto Arabo per i Diritti dell'Uomo: un'organizzazione laica di scienze umane, ma anche di formazione di militanti che devono introdurre nella delicata e cruenta scacchiera islamica una nozione, come quella dei diritti umani, culturalmente e storicamente estranea.
Said Sadi, segretario generale dell'algerina Unione per la Cultura e la Democrazia, circoscrive il problema in poche e chiare parole: nei Paesi musulmani dove »l'omicidio s'impone come uno dei modi di relazione sociale , si tratta oggi di sapere »se anche la legge che regge la quotidianità degli uomini deve autorizzare la politica ad abusare di un potere divino senza appello . Si instaura, dice Sadi, un circolo vizioso: »In nome della legge, gli Stati musulmani giustiziano gli integralisti che uccidono per imporre la loro teocrazia in regioni in cui la maggior parte delle costituzioni già consacrano l'Islam come religione di Stato , così che si può affermare che »la pena capitale è il più forte segnale dell'impasse politica nei Paesi musulmani .
Ma nel mondo cristiano il nesso tra pena di morte e politica non è meno stringente. Se negli Stati Uniti la pena capitale può anche essere un fiore all'occhiello da test elettorale, nell'ex impero sovietico, in Russia e nei nuovi Stati che stanno completando le loro costituzioni, la partita è aperta e cruciale. L'ha raccontato al seminario di Tunisi uno scrittore russo, Valentin Oskoski, che fa parte della Commissione per la Grazia, nata nel '91 su iniziativa di Sergej Kovalev e voluta da Boris Eltsin, che cerca di trasformare la pena di morte in ergastolo. In Urss tra il 1960 e il 1990 sono state condannate a morte 21.000 persone. Negli ultimi dodici anni le condanne a morte sono progressivamente diminuite man mano che progrediva il processo di democratizzazione. Nella Commissione ci sono molti intellettuali e scrittori, non tutti abolizionisti. Lo sono spesso quelli che hanno fatto l'esperienza dei campi di concentramento, come l'ottantatreenne Lev Razgon, diciotto anni di prigionia.
Il legame tra l'esperienza dei lager e la battaglia contro la pena di morte, è stretto. »Mai come nel nostro secolo , ha detto Cardini, »è stata violata la vita umana, mai come oggi la si è affermata come valore supremo . Ma lo ha ribadito anche su tutt'altre basi William Schabas, docente di diritto internazionale all'Università del Quebec e presidente di "Nessuno tocchi Caino": la battaglia abolizionista comincia dopo la seconda guerra mondiale, dopo gli sterminii. Non prevista dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo del '48 delle Nazioni Unite, adombrata o invocata nelle convenzioni, o nei protocolli e nei patti che la costellano, può essere individuata come la base di un nuovo ordine di diritto, un diritto internazionale che tuteli l'intangibilità umana, fatti salvi con altri mezzi i diritti di autodifesa delle società. Un criterio tutt'altro che utopico e astratto se nei tribunali istituiti per i crimini nell'ex Jugoslavia e in Ruanda la pena capitale non è prevista.
Ora, dopo un congresso a Strasburgo il 14 e 15 dicembre prossimi e gli incontri di Mosca e New York all'inizio del '96, "Nessuno tocchi Caino" si propone di presentare all'Assemblea delle Nazioni Unite (su 184 Paesi membri 96 prevedono e praticano la pena capitale) tramite il governo italiano una mozione di moratoria delle esecuzioni fino al 2000: non un appello al buon cuore ma la possibilità di riflettere su un tema che abitualmente rimbalza dai giochi dei politici agli umori e ai malumori frettolosi e disinformati dei cittadini.