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Partito Radicale Angiolo - 8 novembre 1995
LA DESTRA ISRAELIANA E' FASCISTA?

di Angiolo Bandinelli

(fondo di apertura de "L'Opinione", 8 novembre 1995,

nemmeno citato in "Stampa e Regime", di R.Radicale)

Ha ragione Barbara Spinelli ("La Stampa") o Piero Ostellino ("Il Corriere della Sera")? Si può definire "fascismo", oppure no, la destra integralista israeliana dalle cui file è uscito l'assassino di Rabin? La domanda non è meramente filologica, e la risposta non è ininfluente per capire cosa potrà succedere in un futuro che appare già incombente.

In più, la domanda ci investe direttamente, come italiani. Ancora una volta l'identificazione col fascismo di fenomeni anche lontani tra loro, anche di segno opposto, che hanno come solo marchio di identità comune l'odio contro la democrazia, ci mette, in definitiva, in imbarazzo. L'Italia, matrice di tutti i mali o di tutto il male del secolo...Non è troppo? Sono molti gli studiosi (anche non "revisionisti", alla De Felice) che respingono l'identificazione immediata col fascismo di evenienze storiche e politiche nate in luoghi, e sotto segni, profondamente diversi.

Dice Ostellino: la destra israeliana sviluppa una problematica ben radicata nel destino stesso di Israele, nella sua nascita e storia. Essa non può essere né emarginata né colpevolizzata troppo facilmente. Se qualcuno ne ha utilizzato il messaggio stravolgendolo, fino a nutrirne la sua violenza omicida, la condanna necessaria del gesto non può investire anche chi è solo sostenitore di scelte né storicamente né politicamente illegittime: perché, teniamolo presente, anche quella destra vuole la pace con i palestinesi, pur inserendola in un disegno di "Grande Israele". E se il disegno è utopistico e irrealizzabile non per questo va indicato come "fascista". Evitando di discuterne le tesi politiche, Barbara Spinelli accomuna invece, senza riscatto, quella destra alla grande famiglia dei moderni integralismi che inceppano e minano, in scala ormai planetaria, le democrazie: "Eretz Israel" è sorella dell'integralismo islamico e di quello di Farrakhan, così come dei "purificatori etnico-religiosi che massacrano a Sr

ebrenica o a Algeri, a Grozny in Cecenia..." Si tratta di varianti, non importa se di "destra" o di "sinistra", del fascismo, di un "nuovo" fascismo, figlio però del primo. Del "nostro" fascismo.

La tesi di Spinelli ci pare semplificatrice all'estremo. Il fascismo che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle ebbe una caratteristica di enorme rilievo: esso seppe disegnare, piaccia o no, uno Stato e persino - con il Codice Rocco - un "diritto" di grande spessore, che riuscì a far confluire nel suo ambito fattori diversi e opposti, in un equilibrio non instabile: l'anarchismo e il futurismo con il cattolicesimo arcadico dell'Italia contadina, il populismo antiborghese e la costruzione di una borghesia di Stato dai contorni così robusti che hanno resistito - nell'orbita protetta dell'industria pubblica, l'IRI fondata dal "radicale" Beneduce - fino ad oggi, dentro il cuore stesso della ex-DC e della sinistra di Prodi (non dimentichiamolo). E quel fascismo ebbe (spiace per l'amico Bruno Zevi, e non solo per lui) una cultura di cui la Treccani, alla quale collaborarono tre quarti degli "antifascisti" in circolazione, fu un monumento non insignificante.

Hanno, i movimenti ricordati da Barbara Spinelli, una uguale carta di identità? Il loro furore iconoclasta e antidemocratico può essere omologato al disegno complesso di un Gentile? A noi pare proprio di no. Non per questo siamo più teneri con questi fenomeni. Anzi. Ma nel denunciarne la corrosiva virulenza dobbiamo ricordare che essi sono, paradossalmente, figli (degeneri!) della democrazia del nostro tempo.

L'esplosione degli integralismi etnici, culturali, linguistici è questione terribilmente complessa, e se ne dovrebbe parlare addirittura come di problema a livello antropologico, che tocca gli equilibri più profondi dello sviluppo dell'umanità investita dalle conseguenze impreviste di una serie di rivoluzioni tecnologiche, dalla "rivoluzione verde" a quella informatica, che hanno portato alla caduta di ogni modello culturale del passato e a una grandiosa globalizzazione di prospettive.

Quando, negli anni '60, ebbero inizio negli USA i primi movimenti per i diritti civili con l'emergere della "identità" negra, della "identità" sessuale (e omosessuale), della "identità" indiana (o in generale delle minoranze), la fioritura venne salutata con favore, e fu di moda prevedere che sulle nuove tematiche si sarebbero aggregate formazioni politiche destinate a prendere il posto dei partiti di massa fondati sulle contraddizioni e opposizioni di classe. L'affermarsi di queste vecchie e nuove identità, culturali ma anche etniche, sembrò un benefico ampliamento e approfondimento di antiche, tradizionali rivendicazioni liberali. Oggi dobbiamo renderci conto che le cose non sono né così chiare né così semplici a risolvere, come speravamo negli anni '60.

Per adesso, Israele ha potuto ignorare quanto bolliva nel suo stesso cuore, nel profondo degli insediamenti colonici. Ma anche lì ora sono esplosi i primi colpi di pistola, e temiamo che altri ne seguiranno. E anche lì - temiamo - verranno prese misure repressive, verranno messe in forse le più solide e collaudate libertà civili, si avviterà vertiginosamente la spirale dell'odio e della violenza. Ma forse non sarà ancora da lì che si comincerà a prendere di petto il fenomeno, e a proporre soluzioni che prefigurino istituzioni statuali flessibili, articolate su ampi decentramenti di tipo federale, pronte ad accettare le nuove identità e ad inserirle dentro un quadro di solide garanzie democratiche. Non a caso, per indicare una via di uscita a queste tragedie, la stessa Spinelli ci fornisce dei nomi - Mandela o Rabin, Peres e Arafat - ma non ci indica schemi di istituzioni, di strutture di diritto, ecc. Fare nomi degli "eroi" del nostro tempo è facile; elaborare, in un grande sforzo globale, epocale, istituz

ioni e forme nuove di convivenza, che esorcizzino e plachino mostri che abbiamo fatto crescere come frutti e figli nostri solo tardivamente scoprendone la immensa pericolosità, è molto, molto più difficile.

Dubito però che in Israele, o anche in Europa, vi siano oggi classi dirigenti capaci di sforzo di sperimentazione, di apertura, di volontà creatrice e positiva. Classi dirigenti, insomma, "liberali" per il nostro tempo.

Angiolo Bandinelli

 
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