di Olivier Dupuis, segretario del Partito Radicale
Roma, 4-8 gennaio 1996
Care compagne, cari compagni,
Ringrazio il presidente del Movimento dei Club ed il coordinatore nazionale per avermi invitato ad esporre lo stato delle iniziative del Partito Radicale.
Mi consentirete pero di dirvi anche, e subito, due parole in qualità di iscritto al Movimento dei Club-Riformatori: di dirvi quindi tutta la mia ammirazione per la tenacia - e non solo la tenacia - che avete dimostrato in questi lunghi mesi. Ed anche la mia gioia per il grande, davvero grande, risultato conseguito.
Mi consentirete di dirvi anche che, seppure non essendo quello della riforma anglosassone - e non mi riferisco ai soli referendum elettorale, ma a tutti - un obiettivo esplicito del Partito Radicale, transnazionale e transpartito, non per questo essa non abbia un grandissimo significato proprio in termini transnazionali. Quello che state facendo, con i referendum, con le azioni nonviolente ha, sia nel metodo sia nell'obiettivo perseguito, uno straordinario valore di esempio per ogni militante democratico, anche fuori d'Italia, in Europa e dovunque. Ovviamente il senso della vostra battaglia non viene percepito, raccolto, dai mass media, né italiani, né degli altri Paesi. E quindi non viene analizzato, non viene capito e trasmesso. Invece ci sarebbero molte, forti ragioni per farlo.
Vi ricordate del nostro Congresso di Budapest, nell'aprile 1989? Già allora mettevamo in guardia i Paesi che stavano per uscire dal sistema totalitario dei rischi del ritorno al sistema "continentale", al sistema proporzionalistico, con le sue decine di partiti, con la sua tendenza alla parastatalizzazione dell'intera società, con la corruzione, gli scandali. 6 anni dopo, lo spettacolo in quei paesi non è particolarmente incoraggiante. Abbiamo assistito ad un nuovo Afghanistan in Cecenia, con migliaia di morti, con distruzioni immense. In Russia la corruzione dilaga ovunque all'ombra del multipartitismo e della lottizzazione. Una criminalità in crescita esponenziale, alimentata dai traffici di droga, di uranio, di armi... In Polonia, l'opposizione storica al totalitarismo comunista, che dette un contributo determinante nella caduta del sistema sovietico e poi nel sapere impostare delle coraggiose riforme economiche, si è lasciata catturare e si è persa nelle gioie del proporzionalismo: e quindi delle liti e
delle divisioni. In Ungheria, in Bulgaria, in Lituania, in tanti altri Paesi del centro e dell'Est europeo, assistiamo alle stesse divisioni, agli stessi tentativi partitocratici - purtroppo spesso riusciti - di occupare lo Stato, con tanto di caccia alle stregue nei mass media, nell'amministrazione pubblica, ecc.
Queste constatazioni, che noi, del Partito Radicale prevedemmo e denunciammo nel 1989, sono anche per noi, nel nostro lavoro, un ostacolo che si fa ogni giorno più grave, pesante... E forse ci rimproveriamo di non aver saputo fare di più per combattere - sul nascere - queste degenerazioni, come voi state facendo, esemplarmente, in Italia... Come ci rimproveriamo spesso di non essere in grado di intervenire sul lento e continuo degrado delle istituzioni di Paesi dell'Unione europea.
D'altra parte sappiamo che è questo il prezzo che accettiamo di pagare per non soccombere al velleitarismo. Passo quindi alle cose che abbiamo fatte per attuare la nostra mozione congressuale.
* Ex Jugoslavia
Nel mio ultimo intervento al Congresso del PR, dicevo che malgrado non vi fosse una menzione testuale nella mozione, avremmo continuato a lottare per tentare di riportare sotto il segno del diritto e della giustizia quanto stava accadendo nella ex Jugoslavia.
Un mese dopo, scompariva il nostro amico Izet MUHAMEDAGIC, vice-ministro della giustizia, iscritto al nostro partito. Mentre si stava recando nella sacca di Bihac, l'elicottero che lo trasportava insieme al ministro degli esteri, veniva abbattuto dai cetnici. Con Izet, grazie ad Izet, a partire da un viaggio a Sarajevo, eravamo riusciti ad impostare da qualche mese un dialogo con il primo ministro bosniaco Haris SILAJGIC sulla questione della adesione immediata della Bosnia all'Unione europea. Alcune centinaia di parlamentari europei e nazionali avevano già dato il loro appoggio alla nostra iniziativa. A giugno, a Cannes, in occasione del Vertice europeo di fine semestre della presidenza francese, oltre 1500 persone, di cui centinaia di cittadini bosniaci, chiedevano con noi che l'Unione europea facesse sua la nostra proposta di adesione.
Io credo che non furono di poco peso le parole che Marco PANNELLA disse al presidente della Repubblica francese, Jacques CHIRAC che ci riceveva prima dell'apertura del Consiglio europeo, sul cambiamento della politica francese rispetto alla ex Jugoslavia.
Ma abbiamo dovuto pero' aspettare un'altra tragedia, la presa delle enclave di Srebrenica e Zepa e il massacro di alcune migliaia di persone, perché le cose comincino a cambiare dimostrando che la fermezza pagava. Successivamente c'è stato il recupero con la forza - da parte delle autorità di Zagabria - dei territori che i secessionisti serbi controllavano da ormai tre anni, e con questo la fine dell'isolamento della sacca di Bihac; e poi ci fu l'estensione dell'offensiva croata e bosniaca alla Bosnia nord-occidentale. Pero' è apparso presto chiaro che l'intento della comunità internazionale, ovvero dell'Europa e soprattutto degli Stati Uniti, più che riconoscere finalmente la natura del conflitto e quindi l'aggressione del regime di MILOSEVIC, era di cancellare di fronte alle opinioni pubbliche una devastante immagine di impotenza. E comincio quindi il balletto diplomatico dell'abilissimo signor HOLBROECK, incaricato di ottenere a tutti i costi un accordo tra i "contendenti". E cosi è stato. Un accordo di s
partizione - seppure non formale - fu concluso, fornendo una ritrovata buona coscienza all'Europa, all'Occidente: "Ve l'avevamo detto, il problema era di metterli d'accordo..."
Se il rumore dei cannoni si è spento - finalmente ? non è certo - il prezzo pagato è stato enorme: la pulizia etnica ed il suo correlato di orrori sono stati legittimati quale metodo di risoluzione dei conflitti e forse ancor più gravemente per le conseguenze a breve termine una nuova legittimità è stata regalata a MILOSEVIC, l'artefice principale della guerra, e quindi una ulteriore difficoltà si è aggiunta per i Serbi, per il popolo serbo, nel capire la natura vera della politica messa in atto dalle loro autorità politiche in questi anni.
Non so se la storia finirà cosi. I rancori, gli odi, i problemi rimasti aperti - primo fra i quali quello del Kosovo - sono tanti. E MILOSEVIC è sempre al suo posto. Rimane, è vero, il Tribunale Internazionale sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Avrà la forza di andare avanti ? Non sarà la sua neutralizzazione un'altra delle concessioni fatte a MILOSEVIC ? Non è certamente da escludere. E' certo comunque che dovremmo vigilare ed essere pronti ad agire se cosi dovesse apparire.
Credo che dobbiamo comunque prendere atto che la lunga battaglia per la Jugoslavia intrapresa dal 1979 con la prima richiesta fatta da Marco PANNELLA al Parlamento europeo di "offrire" alla Jugoslavia di allora di entrare a fare parte dell'allora Comunità europea come mezzo per superare le gravi sue contraddizioni che - da soli - avevamo già allora individuato, è stata una battaglia persa. Ma, come ne prevedemmo lo scoppio, dobbiamo ora denunciare le conseguenze molto gravi che questa disfatta europea sicuramente avrà per il futuro dell'Europa stessa. Forse già tocca a noi riuscire ad individuare nuove battaglie, nuove frontiere in termini di diritto e di giustizia, attraverso le quali dare all'Europa una nuova capacità di capire ed anticipare i problemi e di dare loro delle risposte che non siano dei meri appiattimenti sul probabile ma concepimento del possibile e del necessario.
* Tribunale internazionale
E' quindi del tutto logicamente che passo ora a parlarvi della nostra battaglia per la istituzione del Tribunale Penale Internazionale Permanente. Oltre i Tribunali ad hoc, che ben che vada, possono solo - e non e poco - riportare delle gravissime violazioni della legge internazionali a momenti di diritto e di giustizia, un strumento permanente di giustizia penale inter e sopranazionale potrebbe, dovrebbe invece avere una effettiva funzione di deterrente, potrebbe cioè impedire che le politiche criminali perseguite dai MILOSEVIC diventino esempi che si possono seguire impunemente.
I progressi conseguiti quest'anno su questo tema non sono stati di poco conto, anche se non se ne è parlato per niente nei mass media. Grazie ad una presa di posizione molto chiara che siamo riusciti a far adottare al Parlamento europeo e grazie a una pressione sui governi e sulle loro delegazioni permanenti all'ONU, l'Assemblea Generale ha - finalmente - deciso di istituire un Comitato preparatorio incaricato di organizzare la Conferenza plenipotenziaria istitutiva del Tribunale.
Se saremo capaci (insieme alle poche forze che al livello internazionale perseguono questo nostro obiettivo) di intensificare la pressione, potremmo ottenere che la prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite prenda la decisione di convocare già nel 1997 la Conferenza plenipotenziaria.
* Abolizione della Pena di Morte
Su questa nuova frontiera di diritto e di giustizia internazionale il 1996 potrebbe diventare, dopo il primo tentativo del 1994 che vide l'Assemblea generale bocciare per pochissimi voti la nostra proposta, l'anno della istituzione della moratoria universale delle esecuzioni capitali. L'anno che si è appena concluso non è stato pero' inutile. Oltre all'Italia e alla Spagna, che hanno riconfermato il loro intento di iscrivere la questione all'ordine del giorno dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, possiamo contare su nuovi appoggi: primi fra i quali quello dell'Ucraina. Dalla nostra sede di New York, dai vari Paesi dove siamo presenti, il Partito in quanto tale, in collaborazione con l'Associazione Nessuno Tocchi Caino con la quale è stato stipulato un patto di federazione, moltiplicherà le iniziative perché - da qui ad agosto - il fronte dei Paesi sostenitori della mozione venga fortemente allargato.
* Libertà per il Tibet
Numerose sono le ragioni che sollecitano il nostro impegno sul Tibet: la difesa e la promozione della democrazia, del rispetto del diritto e della legalità internazionali, la preoccupazione per la salvaguardia del carattere unico della storia, delle tradizioni e della cultura del Tibet e del suo popolo... E molte altre ancora, che sono anche, credo, le stesse ragioni che sono alla base del nostro fare politica. Ce ne è una pero' che vorrei sottolineare. La libertà e la liberazione del Tibet dalla doppia oppressione - totalitaria ed imperiale - del regime cinese attraverso una battaglia nonviolenta, potrebbero diventare un esempio formidabile per tutti gli oppressi della terra, popoli, minoranze o persone. Sarebbe, dopo Gandhi e la liberazione nonviolenta dell'India dal colonizzatore britannico (non-totalitario!), la dimostrazione che la forza brutale, la violenza, il terrorismo o la lotta armata non sono gli unici strumenti possibili e che esiste un'altra arma, più forte, più efficace e, soprattutto, più ris
pettosa dell'avversario (e quale avversario in questo caso !) ma anche di noi stessi, di ciascuno di noi, Tibetani, Cinesi, Europei, Americani, ... Questa forza è la forza del dialogo e della verità: della nonviolenza.
La politica europea rispetto alla Cina invece ci riporta direttamente a quella che fu per oltre 50 anni la sua politica rispetto all'Unione sovietica e che è stata anche la politica dell'Unione europea rispetto alla ex Jugoslavia. Siamo di fronte a comportamenti che si ripetono, fatti di sostanziale complicità con il totalitarismo. Una tale impostazione, rinunziataria rispetto ai diritti fondamentali, al diritto, alla democrazia per un miliardo e due cento milioni di persone, viene ancora rafforzata dagli appetiti suscitati dall'enorme potenziale in termini di mercato e di produzione sottocosto che viene individuato nella Repubblica Popolare di Cina dalle forze imprenditoriali attente solo al profitto e da quegli Stati che guardano solo a questi aspetti della loro politica "estera". Ma gli appetiti non solo non fanno una politica ma possono avere effetti devastanti anche in termini economici. Cosi è e cosi sarà sempre più se invece di definire una vera e propria politica europea nei confronti della Cina, le
istituzioni europee si limitano a garantire la pari opportunità commerciale dei Paesi membri e delle loro imprese di fronte a quel mercato. Con conseguenze disastrose oltreché per i stessi Cinesi e per i Tibetani, anche per il tessuto economico dei Paesi europei che vanno incontro ad una crescita delle "delocalizzazioni", della disoccupazione, dei fallimenti,...
Come vedete, la questione del Tibet ci porta, irresistibilmente, a dover affrontare una delle grandi questioni del prossimo secolo: quella della Cina, del suo sviluppo interno e del suo ruolo sulla scena internazionale. Ci porta anche ad un'altra grande questione, quella demografica, che il partito da anni, attraverso i suoi giornali, tenta di porre alla attenzione delle classi dirigenti. E' per l'attenzione che abbiamo per questo tema che stiamo, seppure limitatamente, cominciando a cogliere le occasioni che ci si presentano; per esempio, partecipando alla campagna per la candidatura di WEI Jingsheng, il più famoso dissidente cinese, al Premio Nobel per la Pace 1996.
Ma il punto focale della nostra iniziativa è la campagna per la libertà e la liberazione del Tibet. Su questo fronte, dopo l'anno 1994 che vide, per la prima volta in Italia, un governo - il governo BERLUSCONI, accogliere la proposta dei Riformatori, accogliendo ufficialmente il DALAI LAMA, il 1995 è stato l'anno in cui, per la prima volta, un Parlamento d'Europa - il Parlamento europeo - ha preso posizione, condannando senza mezzi termini la invasione e poi l'occupazione del Tibet da parte della Repubblica Popolare di Cina. Sempre nel 1995 - pochissime settimane fa - lo stesso parlamento è ritornato sulla questione del Tibet, condannando senza mezzi termini la politica seguita dalle autorità di Pechino nella faccenda della nomina del Panchen Lama.
Mozioni simili sono state depositate in vari Parlamenti nazionali. In Italia, oltre sessanta parlamentari - primo firmatario Lorenzo STRIK LIEVERS - hanno depositato un testo molto impegnativo. Purtroppo per via della situazione che ben conoscete, non è stato ancora possibile adoperarsi perché il documento venga discusso.
Ma di fronte alla gravità della situazione in Tibet, dove lo stesso popolo tibetano è di già oggi minoranza nel proprio Paese e mentre sono previsti nuovi e massici trasferimenti di popolazioni cinesi, le nostre iniziative non si possono limitare alle sfere parlamentari. La questione del Tibet, l'impegno per la sua liberazione devono tradursi al più presto in gesti concreti di migliaia di cittadini, di responsabili locali, coinvolti in dimostrazioni di forte solidarietà. Da questa necessità è nata l'idea di coinvolgere i sindaci di centinaia, migliaia di città, proponendogli di far sventolare una bandiera nazionale tibetana sulle sedi dei loro comuni il 10 Marzo prossimo, giorno anniversario dell'insurrezione di Lhassa del 1959. Da qui, anche, la proposta fatta a tutti i cittadini, a voi, di far sventolare quella bandiera ovunque sia possibile, sui vostri balconi, alle vostre finestre, sui pennoni delle vostre università, sulle scuole, sulle chiese ... Ad oggi con Francesco RUTELLI, con il sindaco di Sarajev
o, oltre 50 sindaci e presidenti di provincia di 14 Paesi hanno aderito all'iniziativa che grazie all'appoggio di Enzo BIANCO, sindaco di Catania e presidente dell'Associazione Nazionale Comuni Italiani, verrà proposta nei prossimi giorni a tutti i sindaci italiani.
Da qui, ancora, l'idea di organizzare a Bruxelles, sempre il 10 marzo prossimo, la prima manifestazione europea per la libertà del Tibet. Un appuntamento che deve vedere confluire su quella città ALMENO 5000 persone, pena il dover ammettere, dinanzi alla Cina e al mondo, che la battaglia dei Tibetani è una battaglia sbagliata o persa, che raduna solo pochi "intimi".
Con l'obiettivo di innalzare il livello del confronto internazionale su questo problema, abbiamo infine rivolto un Appello a BOUTROS GHALI perché riceva il Dalai Lama, al fine di definire con lui le tappe possibili di una soluzione pacifica della questione della occupazione del Tibet. L'Appello è già stato sottoscritto da oltre 150 parlamentari di vari Paesi.
500 sindaci, 5000 persone a Bruxelles, 1000 parlamentari che sottoscrivono l'appello a Boutros Ghali: questi i tre obiettivi politici, fatti propri dalle Comunità tibetane in Europa e dai Gruppi europei di Sostegno al Tibet che, su iniziativa del Partito Radicale, si sono riuniti insieme ad esponenti del governo tibetano in esilio, al Parlamento europeo, a Strasburgo nel dicembre scorso.
Tutte iniziative che ci devono mettere nelle condizioni di poter lanciare la grande iniziativa nonviolenta che la mozione congressuale ci indica come obiettivo difficilissimo e ambizioso, mai prima pensato: il SATYAGRAHA mondiale per la libertà del Tibet, da tenersi nel 1997.
* Democrazia linguistica
E' stato individuato nel PE e nelle istituzioni europee in generale, un primo obiettivo della battaglia per la democrazia linguistica. E' in corso una raccolta di adesioni di europarlamentari e di dichiarazioni esplicative su un appello che ribadisce la necessità di dotarsi di un strumento di comunicazione neutrale e di facile apprendimento. I risultati sono piuttosto incoraggianti. Ma su questo tema, siamo anche cercando le vie di una iniziativa in seno alle Nazioni Unite, che sono anch'esse confrontate con un grosso problema di comunicazione e dovrebbero quindi, a priori, essere sensibili agli argomenti a favore dell'esperanto.
Puo' la questione della comunicazione e quindi della democrazia linguistica sembrare marginale nel contesto generale della costruzione di un'Europa federale e democratica. Invece - ne sono sempre più convinto - non lo è. Mentre ci stiamo avvicinando in maniera del tutto scontata e di basso profilo al momento della riforma delle istituzioni europee del 1996, quando tutt'al più verranno decisi alcuni aggiustamenti minori delle istituzioni e verranno del tutto esclusi i grandi temi del diritto, dei diritti dei cittadini europei e quindi la possibilità che essi stessi possano diventare protagonisti della costruzione europea. Come sarebbe con le riforme del sistema elettorale europeo, con l'introduzione del partito europeo, con l'introduzione del referendum europeo, cioè con l'introduzione di strumenti europei di "agibilità democratica" per i cittadini mentre quello al quale assistiamo è una crescente parastatalizzazione sul modello di quello che avviene nei vari Paesi membri.
* Democrazia per Cuba
Come sapete, Francisco CHAVIANO, presidente del 'Consejo Nacional por los derechos civiles' di Cuba e iscritto al Partito Radicale è stato condannato a 15 anni di galera al termine di un processo farsa, senza nessuna garanzia processuale. Francisco sta da più di un anno incarcerato nella prigione di Punta del Este. Facendo approvare una risoluzione al Parlamento europeo e con una campagna di cartoline indirizzate direttamente a Fidel CASTRO abbiamo messo in movimento una campagna per la sua liberazione incondizionata e per la liberazione delle centinaia di prigionieri politici che languono nelle carceri cubane. Data la natura del regime cubano, la campagna dovrà essere intensificata, rafforzata con nuove iniziative.
Con il Comitato Pro Derechos Umanos (presente sia a Cuba che a Miami e in Europa) stiamo quindi organizzando un convegno a Bruxelles, al Parlamento europeo, per i primi di luglio, dal titolo: "Cuba: capire l'oggi per costruire il domani". Scopo del Convegno è di smontare la mitologia intorno a Cuba, tuttora molto forte, in particolare in Europa (e all'interno dell'Europa, in Italia), e individuare le strade possibili per rafforzare l'opposizione democratica cubana nella sua lotta nonviolenta verso lo stato di diritto e la democrazia. Un importante "contenitore" del convegno sarà una riflessione sulla questione delle istituzioni future di Cuba, a partire dall'analisi delle istituzioni che videro e resero possibile il cedimento del sistema democratico cubano, prima con l'accesa al potere di BATTISTA e poi con quella di CASTRO. Istituzioni, inutile dirlo, che erano direttamente insperate alle nostre democrazie continentali, proporzionaliste e partitocratiche.
Come avrete capito, i costi di questa iniziativa sono piuttosto elevati, anche perché vorremo dare il maggior spazio possibile ai Cubani di Cuba. Spero che potremmo contare sull'Alto patrocinio della Commissione nonché sul patrocinio di molti parlamentari europei.
* Antiproibizionismo
E' questo un punto della nostra mozione sul quale siamo in ritardo mentre il Movimento è, a dire poco, molto in avanti. Noi avevamo individuato nella denuncia o nell'emendamento delle attuali Convenzioni internazionali l'asse della nostra proposta antiproibizionista. Dopo tre anni di tentativi e alla luce del persistere - se non del rafforzamento - del fronte proibizionista nel mondo, credo che dovremo in qualche modo modificare la nostra strategia, dandole una capacità di incidere direttamente sui governi - o su alcuni governi - nazionali ma soprattutto una più aperta dimensione militante. Due direzioni di marcia lungo le quali militanti radicali ed esponenti di primissimo piano del Movimento dei Club hanno compiuto, e stanno ancora progettando, azioni di grande valore simbolico e di grande impatto civico. Credo in effetti che dovremmo, anche in quanto partito, incardinare azioni di disobbedienza civile del tipo di quella compiuta ad agosto a Porta Portese e di recente con il regalo di Natale in diretta TV.
Sempre su questo fronte sono successe alcune cose molto importanti, seppure ancora da sviluppare, con la nascita a Bruxelles di un CORA belga, concepito come un elemento di un futuro CORA transnazionale. Il numero significativo di adesioni molto qualificate di politici belgi, seppure successivamente in parte ridimensionato, dimostra che uno spazio di iniziativa c'è, e va coltivato. Questa intuizione, questa anticipazione potrebbe - dovrebbe, credo - essere sviluppata in occasione del prossimo congresso del CORA.
* Che partito vogliamo costruire
7 anni di tentativi, 7 anni di lavoro. Abbiamo fatto qualche passo avanti ?
* PARTITO NONVIOLENTO, dunque partito che non puo', non deve affrontare tutti i problemi, come anche partito che non incentra la sua azione sulle e nelle istituzioni, ma invece sulla presenza attiva, l'azione, le iniziative militanti. Le mozioni parlamentari, il lavoro all'interno delle Nazioni Unite, le iniziative parlamentari e istituzionali insomma, vanno concepite e articolate in funzioni di una più generale economia della nostra presenza fondata sull'impegno diretto, militante e nonviolento di chi condivide i nostri obiettivi e quindi si iscrive al partito, anche a tempo, su una sola iniziativa. Quindi non una lobby internazionale ma un partito nonviolento che sia anche lobby internazionale.
* Partito transnazionale e transpartito
Sulla questione della dimensione transnazionale non ci sono questioni di merito quanto alla necessità che anche le organizzazioni politiche si diano quella dimensione che è, come ben sappiamo da anni, la dimensione dei problemi del nostro tempo. Non per questo, i problemi relativi alla dimensione transnazionale non esistono. Anzi, sono enormi. Pero' sono per lo più problemi di teoria della prassi e di attuazione, problemi quindi di reperimento e di organizzazione di risorse umane e economico-finanziarie.
Da questo punto di vista, con il tesoriere Danilo QUINTO stiamo procedendo, anche in attuazione del dettato congressuale, alla ristrutturazione del partito. Un compito la cui attuazione è particolarmente difficile in un contesto, come quello nostro attuale, di grave crisi economico-finanziaria. Crisi il cui superamento passa attraverso il rilancio del partito nella sua dimensione militante e attraverso l'apertura di "nuovi fronti" e la creazione di nuovi serbatoi in Occidente.
Di altra natura sono le difficoltà legate alla nostra dimensione transpartitica. E vi dico subito che sono sempre convinto che questa dimensione, questa caratteristica, e quindi anche la nostra "non presentabilità" in quanto tale alle elezioni locali come regionali o nazionali, costituisce uno dei pilastri essenziali del nostro progetto politico. E se questa nostra peculiarità va coltivata e rafforzata, con nuove idee, nuovi progetti, nuove "presentazioni", a partire dal nostro riconoscimento come ONG delle Nazioni Unite - che ci ha aperto nuovi e importanti spazi di intervento -, non possiamo nasconderci le difficoltà che derivano da un ambiente politico generale dove l'organizzarsi politicamente è fondato sulla conquista e l'occupazione del potere, e quindi su una concezione clericale, etnica della politica.
Ci sono pero' alcuni segnali che indicano che siamo, poco a poco, riuscendo a "far passare", a comunicare questa nostra peculiarità e la sua necessità. E non parlo di voi, del Movimento dei Riformatori, ad oggi l'unico partito politico nazionale che abbia fatto propri alcuni degli obiettivi del Partito Radicale. Sulla questione del Tibet, stiamo coinvolgendo sindaci e presidenti di provincie dalle più varie appartenenze politiche nazionali. Sempre sul Tibet, stiamo poco a poco stabilendo dei rapporti di lavoro comune con delle organizzazioni che hanno finora guardato con molta diffidenza ai partiti in generale, ma anche al nostro in particolare. Anche su Cuba, stiamo impostando una campagna con un altro soggetto politico e, credo, che saremmo presto in grado di allargare questa iniziativa ad altre forze politiche. Dei piccoli passi in avanti che, spero, annuncino dei più numerosi coinvolgimenti di organizzazioni politiche.
* Le battaglie del Partito Radicale e gli impegni passati e futuri del Movimento
Al suo primo congresso, nel febbraio scorso, il Movimento assumeva come suoi impegni alcune delle battaglie del Partito Radicale.
In particolare:
- la convocazione entro il 1996 di una Conferenza Internazionale per dare vita ad una Corte Penale permanente;
- il rilancio della proposta per una moratoria internazionale sulle pene capitali;
- la convocazione di una Conferenza Internazionale nel 1996 in Italia per la revisione della Convenzione delle Nazioni Unite in materia di droga.
- l'inserimento nella Carta delle Nazioni Unite della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e l'impegno per la loro promozione attraverso la non-cooperazione con i paesi che li violino e li calpestino in modo sistematico.
Oltre a questi obiettivi, che rimangono ancora aperti, che potrebbero essere raggiunti proprio quest'anno, e che vi chiedo di confermare anche in questo congresso, l'apporto del Movimento potrebbe essere decisivo su tre fronti:
- la campagna per la libertà del Tibet - che richiede sforzi enormi da compiere in brevissimo tempo (siamo a meno di 70 giorni dalla Manifestazione di Bruxelles del 10 marzo);
- la campagna per la democrazia a Cuba e per la liberazione di Francisco CHAVIANO e degli oltre 1.600 prigionieri politici tuttora incarcerati a Cuba;
- la campagna federalista europea che andrebbe incentrata sulla rivendicazione dei diritti dei cittadini e della creazione, al livello europeo, di spazi di "agibilità democratica" per i cittadini, con una attenzione particolare alla questione della comunicazione e della democrazia linguistica.
Ho fiducia che da questo congresso usciranno impegni che rafforzeranno la nostra collaborazione: la nostra comune matrice nonviolenta è garanzia di comunanza di interessi, di progetti: costituiamo, ciascuna con la sua specificità, forze che si muovono in grande consonanza su un terreno largamente comune.
Per questo, ringrazio i militanti del Movimento dei Club Pannella-Riformatori che, pur impegnatissimi nella campagna referendaria, hanno dedicato tempo ed impegno per ottenere l'importantissima adesione del loro sindaco o del loro presidente di provincia all'iniziativa "una bandiera per il Tibet".
Ma colgo anche l'occasione per ringraziare i compagni che, nelle varie sedi, hanno non solo resistito con dei bilanci ridotti all'osso, ma sono pure riusciti a far crescere le nostre iniziative,
e, sopratutto, gli oltre 900 cittadini italiani e italiane che si sono già iscritti o riiscritti al Partito Radicale del 1996, al partito del "valore aggiunto" all'impegno politico nazionale. Molti, ne sono sicuro, sono in questa sala.
Ringrazio i numerosi parlamentari italiani che, con la loro iscrizione, hanno deciso di costituire in Parlamento il transpartito transnazionale del 1996.
Scusandomi per la lunghezza, confidando in una rinnovata e proficua collaborazione tra il Movimento ed il Partito Radicale ed in moltissime iscrizioni di militanti del Movimento al Partito Radicale transnazionale e transpartito, augurandovi nuovi grandi successi nel 1996, buon lavoro e auguri a tutti.
Arrivederci quindi tra qualche mese per la celebrazione del quarantennale della fondazione del Partito Radicale, di un partito che storia vostra e nostra,
Arrivederci in tanti, in tantissimi, il 10 marzo prossimo a Bruxelles, perché in migliaia diamo forza, corpo, gambe, speranza ad una esemplare battaglia di libertà: libertà per il Tibet.