MA UNA CORTE DI GIUSTIZIA. PUNISCA I CRIMINALI."Non so se l'arresto dei generali serbo-bosniaci a Sarajevo sia stato opportuno. Sicuramente è un atto lecito. Sono responsabili di genocidio"
di Adriano Sofri - Il Foglio, 9.2.1996
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Sul Foglio di mercoledì ("Norimberga nei Balcani"), si esprimeva la preoccupazione per le conseguenze che può innescare il perseguimento dei criminali di guerra: tanto più che a Norimberga si processavano i tedeschi sconfitti, mentre i serbi sono tutt'altro che vinti.
La questione è certo difficile: prove di colpevolezza in crimini di guerra potrebbero toccare personalmente Milosevic e Tudjman. Penso piuttosto che senza un operato efficace del Tribunale dell'Aja l'aspettativa di oggi non si tramuterà in pace. Anche per la differenza che avete sottolineato. A Norimberga si dimostrò che la sovranità statale non era assoluta, al punto di comportare l'impunità nei crimini di guerra. Il Tribunale dell'Aja deve realizzare il principio che la sovranità degli stati (e degli pseudo-stati) si ferma davanti al diritto dell'umanità: in particolare, che non potrà esserci pace nell'ex Jugoslavia se la sanzione della giustizia non aiuterà a sventare il bisogno di vendetta.
Il crimine è costitutivo della pulizia etnica
Questo bisogno è la ferita più profonda, sebbene oggi sia la scia delle ferocie commesse a sabotare l'accordo. La cosiddetta guerra civile ex-jugoslava ha offerto un modello modernissimo, e ancora incompreso, di fusione tribale fra nazionalismo aggressivo e criminalità organizzata. Nella Mostar croato-erzegovese fanatici frustrati e bande di gangster tengono ancora il campo della pseudo-guerra ispirata alla pulizia etnica il crimine è un carattere costitutivo, non un eccesso di zelo. La sua sanzione con i mezzi e le norme della giustizia non ha alternative.
Non mi pare che a Dayton si sia "trascurato il problema dei crimini di guerra". Il punto è se gli impegni di Dayton saranno elusi o rispettati. Se si arresteranno i responsabili di crimini di guerra e se ne imporrà la consegna. Se si premetterà al tribunale presieduto da Cassese di agire libero. Non so se la cattura di alti ufficiali cetnici a Sarajevo sia stata opportuna - lecita sì. Non sarebbe lecito, né opportuno, che la comunità internazionale tornasse a coprire i mucchi di morti di Srebrenica e delle altre fosse dell'orrore, dopo aver ostentato di non vedere quando il mattatoio era aperto.
Perfino nella nostra discussione, qui, bisognerà prima o poi decidere se fosse vero o no che si compissero azioni di genocidio; che l'impunità incitasse gli aggressori ad una tracotanza ulteriore; che solo il ricorso internazionale alla forza poteva sperare di metter fine allo scempio. Si è sostenuto che tutti si equivalessero nella violenza: che la violenza si sarebbe arrestata solo per esaurimento interno come un temporale o una sbornia; che l'impiego internazionale della forza sarebbe stato iniquo o inefficace che avrebbe fomentato la violenza e forse scatenato una terza guerra mondiale.
Dello stesso Tribunale dell'Aja, si disse che l'emissione dei mandati di cattura contro Karadzic e Mladic avrebbe opposto un ostacolo insormontabile a ogni negoziato.
Non sarebbe già tempo di tirare qualche somma? Eppure non se ne vedono segni. Il bravo scrittore austriaco Peter Handke scrive un reportage da regioni serbe: il racconto delle sofferenze incontrate viene da lui piegato a scopo di scalpore alla tesi per cui la Serbia è vittima di un antico pregiudizio imperialistico dei poteri europei, rinfocolato dalla propaganda degli inviati di oggi. Handke trova che perfino Karadzic e Mladic siano stati criminalizzati, strana nozione per dei tali criminali. La nostalgia della Jugoslavia diventa tristemente un alibi alla confusione tra il lupo e l'agnello. Le migliaia di massacrati di Srebrenica non ottennero un decimo dello spazio che si assicura al povero "scoop" di Handke.
A sua volta, il nostro ministro degli Esteri vanta di aver avuto ragione nello scegliere Milosevic come proprio interlocutore prediletto: come se a rendere possibile gli accordi di Dayton fosse stata la bonarietà di Milosevic e non i deprecati raid della Nato.
La dirigenza nazionalista-comunista di Belgrado, e la sua banda armata di Pale, avevano lavorato non alla conservazione della federazione ma a conquistarsi la Grande Serbia ben prima dei frettolosi e sparpagliati riconoscimenti internazionali di indipendenza alla Slovenia e alla Croazia (e alla Bosnia). Una propaganda col vizio della morte - e una manesca liquidazione dei dissensi - aveva riempito la popolazione serba di odio e di paura.
Non un centimetro di territorio dello stato serbo è stato toccato dalla guerra e la schiacciante prevalenza delle armi ha permesso ai nazionalisti serbi di impadronirsi di un territorio senza proporzione con la loro popolazione, con la storia e col diritto. In questa aggressione hanno perseguito con ferocia paranoica la pulizia razzista e sessista. Hanno goduto di una immunità completa, quando non della complicità attiva di governi e stati maggiori europei e autorità delle Nazioni Unite; mentre tanti pacifisti e persone di sinistra si inducevano a deprecare il ricorso internazionale alla forza, in nome del rifiuto di ogni arma o di una presunta eredità "di sinistra" della storia serba - e del suo complemento - l'indubbia vocazione "di destra" del nazionalismo croato.
Non offendiamo ulteriormente le vittime
Il pedinamento dei ritorni della storia sui propri passi è, non solo per i Balcani, cattivo consigliere. Handke vede nel complotto antiserbo un retaggio dell'imperialismo austroungarico. Innamorato del proprio anticonformismo, egli si trova in realtà in gran compagnia: come quando ripete l'infamia sui bosniaci autori delle stragi della propria stessa gente al mercato di Sarajevo.
Spacciando le sue bagattelle per un massacro, Handke è arrivato ad opporre una dignità speciale "nell'aspetto" delle popolazioni serbe a una esibizione vittimista di quelle croate o bosniaco-musulmane così come le ha viste in televisione. In Handke forse preme ancora quell'angoscia contro i padri nazisti che aveva spinto tanti giovani tedeschi degli anni '60 e '70 al paradosso di fiancheggiare il terrorismo palestinese contro l'"imperialismo sionista". E negli altri?
Quello dell'Aja non è il "Tribunale della Storia". E' un tribunale di giustizia. Accerti chi e quando si è reso responsabile dei crimini di guerra nella ex Jugoslavia e lo punisca. Non basterà a spaventare i criminali: farà sentire meno sole e offese le vittime.