di Angiolo Bandinelli"L'Opinione", 8 marzo 1996
L'offensiva scatenata dal terrorismo islamico a Gerusalemme, Askhelon e Tel Aviv ha riproposto scenari di morte ed orrori che credevamo chiusi per sempre. E ora lo sappiamo: tagliare le radici del conflitto arabo-israeliano è cosa diversa e ben più difficile che applaudire agli accordi di Oslo.
Si apre una crisi internazionale dalle prospettive oscure. E richiamarsi, per esorcizzarla, alla stretta di mano tra Peres e Arafat esibita in diretta televisiva al mondo intero, durante la famosa cerimonia di Washington, sarebbe senza senso. Da ieri gli israeliani sanno che l'avversario è di nuovo pronto a colpire e che il loro paese è di nuovo a rischio, forse ancor più di prima: perché non solo le sue frontiere si sono aperte, ma quella concentrazione e quella determinazione alla difesa, alla vigilanza, alla prudenza, che gli hanno consentito di superare mezzo secolo di difficoltà e di pericoli si sono allentate, adagiate in una troppo fiduciosa sicurezza. Non a caso a Tel Aviv si pensa ora di associare nel governo tutte le forze politiche, morali e civili: si vuole fare blocco, riportando tutte le energie ad uno stato di vigilanza e di tensione, a quella psicologia di guerra che gli è stata fino a ieri usuale perché necessaria. La diffidenza e la paura torneranno ad essere il condimento amaro della quoti
dianità.
Il dramma in cui Israele è di nuovo precipitato ci coinvolge, per l'orrore dei patti violati e per la pietà verso le vittime innocenti. Ma anche per la certezza che l'intero Medio Oriente sta per ripiombare in un conflitto permanente e dalle connotazioni ideologiche ancor più esacerbate, e che questa regressione potrà travolgere per un tempo indefinito la sicurezza e gli equilibri del Mediterraneo, in un momento in cui invece sembrava (anche a seguito della pace raggiunta in Israele) che qualcosa si stesse positivamente muovendo in un'area geografica e politica i cui problemi si fanno sempre più gravi e pericolosi.
Occorre dunque intervenire, superando lo sgomento e cercando di assumere precise responsabilità. Il tempo incalza, non consente distrazioni. Occorre subito muoversi a fianco di Israele impedendo che il paese, preda di una comprensibile psicosi dell'accerchiamento, si senta costretto ad una chiusura ancor più intransigente, ad un arroccamento senza speranza ma anche senza prospettive. Perché tale atteggiamento non prevalga e prenda invece corpo la speranza di una soluzione flessibile ed aperta c'è solo una via: offrire ad Israele un ombrello fatto di sicurezza reale, di garanzie positive e di dimostrazione di una forte volontà e capacità di mantenerle. Israele deve poter sentire che qualunque possa essere il livello del suo confronto con il fondamentalismo islamico che l'accerchia esso non sarà solo né dovrà poter contare solamente sul suo potente ma lontano alleato, gli Stati Uniti.
Il compito di fornire questo ombrello di sicurezza tocca all'Europa. L'Europa non può restare assente, o limitarsi ad un ruolo secondario. Deve subito assumere iniziative decise, all'altezza del momento e delle sue possibilità, che sono ancora rilevanti. Una iniziativa, forse la decisiva, sarebbe che l'Unione Europea - l'organismo in cui si definisce il ruolo politico del continente - dichiari immediatamente la sua volontà di aprirsi alla adesione di Tel Aviv. E' la proposta, suggestiva quanto praticabile, avanzata dai deputati radicali al Parlamento di Strasburgo. Tra tante richieste di apertura all'Est, questa attenzione verso il sud e il Mediterraneo sarebbe qualificante anche per determinare un riequilibro non puramente geografico ma di forte valenza politica.
Nelle settimane scorse, un importante trattato è stato firmato tra l'Unione Europea e il Marocco. Inizialmente, il contenzioso riguardava solo un settore assai specifico, quello della pesca, e come sua controparte il Marocco aveva solo la Spagna, la nazione con maggiori interessi nella pesca atlantica esercitata sulle coste africane. Visto che i due Paesi stentavano a concludere la loro diatriba settoriale, si è fatta avanti l'UE con la sua Commissaria alla pesca, l'italiana (e radicale) Emma Bonino. I nostri giornali non ne hanno parlato, ma la Commissaria Bonino è riuscita in una impresa di rilievo, stringendo il Marocco in un accordo con l'Europa molto complesso, riempito di forti valenze politiche. Non è stato difficile rilevare che accordi simili potrebbero presto interessare altri paesi rivieraschi e dirimpettai dell'Europa.
Ma poiché si tratta di paesi islamici, la riapertura del conflitto con Israele, così carico di valenze religiose ed oltranziste, potrebbe rimettere tutto in discussione. Ancora una volta, la prospettiva di una più fruttuosa collaborazione tra le due sponde del Mediterraneo si allontanerebbe, con pregiudizio della pace innanzitutto ma anche di questioni aperte e spinosissime, dalla salvaguardia di un mare altrimenti condannato alla morte biologica al contenimento dei flussi migratori, oggi avvertiti come fortemente destabilizzanti perché incontrollati.
La pace nel Mediterraneo è un obiettivo politico di prima grandezza, ma il suo raggiungimento passa per la sicurezza di Israele. E' questo il prius su cui dovrebbe applicarsi la diplomazia europea come anche quella dei singoli paesi, con iniziative risolutive e capaci di imprimere una svolta agli equilibri diplomatici e militari. Ecco perché la proposta dell'ingresso di Israele nella Unione Europea dovrebbe essere immediatamente raccolta, esaminata nelle sue implicazioni e assecondata in ogni modo.
Sarebbe auspicabile che l'Italia potesse muoversi in questo frangente con sicurezza e determinazione, alla guida della diplomazia (o almeno dell'immagine) europea. Purtroppo la crisi politica, nonostante l'agitarsi del ministro Agnelli, appare un freno deleterio, in particolare nel confronto con il semestre di presidenza spagnola appena scaduto, segnato da importanti successi che pongono la candidatura della Spagna ad un ruolo nuovo e più incisivo, a fianco della Francia e a detrimento del nostro Paese. Senza essere nazionalisti ad oltranza, certe cose possono spiacerci, ed essere obiettivamente negative.