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Partito Radicale Centro Radicale - 13 marzo 1996
10 marzo 1996: discorso del Prof. Samdhong Rinpoche

COMMEMORAZIONE A BRUXELLES DEL XXXVII ANNIVERSARIO DELL'INSURREZIONE NAZIONALE TIBETANA

10 marzo 1996

Prof. Samdhong Rinpoche

Presidente dell'Assemblea dei deputati del popolo tibetano

Sono estremamente felice di essere oggi qui tra voi tutti per commemorare l'insurrezione nazionale del 1959 del popolo tibetano contro il sequestro illegale del nostro territorio e la sua continua occupazione da parte delle forze armate cinesi. L'insurrezione dell'intero popolo tibetano fu l'apice del movimento di resistenza che comincio' dopo l'invasione cinese nel 1949, un'insurrezione pacifica che fu la manifestazione popolare di rigetto del tentativo cinese di annessione del Tibet in violazione del diritto internazionale e della volontà del popolo tibetano. Questo giorno ha quindi un grande significato per ogni tibetano, sia che viva dentro o fuori dal Tibet.

Sono molto commosso, sopraffatto dalla commozione, nel vedere questo enorme raduno di cittadini e deputati di tutti i paesi europei e non solo europei, venuti qui per esprimere la loro simpatia e solidarietà con la causa del popolo tibetano e per protestare contro la colonizzazione del Tibet e il malgoverno dei comunisti cinesi. Non trovo parole adeguate per esprimere i miei profondi sentimenti. Sono qui per ringraziarvi a nome dei sei milioni di tibetani e del loro legittimo organo rappresentativo, il parlamento tibetano. Noi tutti siamo pienamente consci del fatto che il vostro sostegno sincero e disinteressato ha un valore inestimabile per tutti noi, perché il vostro sostegno riflette la vostra fede nei valori umani e nelle responsabilità morali. Io non considero i sostenitori del Tibet come semplicemente pro-Tibet e/o anti-Cina. Essi sono piuttosto sostenitori della giustizia contro l'ingiustizia, dell'amore e la pietà contro la violenza e l'oppressione, della promozione della dignità umana e dei valori

morali contro la violazione dei diritti umani e le azioni immorali. Voi sostenete il Tibet per scrupolo umanitario, senza aspettarvi alcun guadagno materiale. A differenza di altri paesi, il Tibet non ha nulla da offrirvi, né ora né quando avrà riconquistato la sua libertà, che possa esservi di profitto materiale o politico. Nonostante voi sappiate questo fatto, state lavorando incessantemente e instancabilmente, mettendoci i vostri soldi, energie, il vostro tempo prezioso, il che dimostra che siete propugnatori dei valori e della dignità umani.

Voi tutti siete molto bene a conoscenza dei fatti e della situazione in Tibet, non c'è bisogno di raccontarvi la sofferenza subita dal popolo, ma vorrei semplicemente e molto brevemente ricordarvi tre punti fondamentali per rinfrescare la vostra comprensione della lotta tibetana:

I. Il presente status del Tibet;

II. La natura e l'impegno della lotta tibetana;

III. Le attuali politiche dei tibetani;

Governo in esilio: cosicché le vostre iniziative in sostegno del Tibet possano intensificarsi e consolidarsi con le ben definite politiche di Sua Santità il Dalai Lama e il Suo governo.

I. Quando l'aggressione militare cinese ebbe luogo nel 1949/50, il Tibet era uno stato sovrano e indipendente, in possesso di tutti gli attributi requisiti dal diritto internazionale. L'invasione fu un atto aggressivo di sequestro illegale del territorio tibetano, in violazione della Carta delle Nazioni Unite e del Patto di Parigi. L'accordo conosciuto come "Accordo dei 17 punti" fu imposto dalle autorità cinesi allo stato del Tibet sotto costrizione, con la minaccia e l'uso della forza, in violazione della Convenzione di Vienna riguardante i trattati. Quindi quell'accordo non fu mai validamente concluso, come poi riconfermato dal ripudio dell'accordo da parte di Sua Santità il Dalai Lama nella prima occasione disponibile, nel 1959. Da allora, niente è successo che abbia cambiato lo status del Tibet trasferendone la sovranità alla Cina o legittimandone la dominazione cinese per volontà del popolo tibetano. A tutt'oggi il Tibet non è né parte integrante né una regione della Cina, ma rimane invece un territori

o sotto occupazione illegale. Questo fatto impone ad altri stati e alla comunità internazionale l'obbligo di non coinvolgersi in atti che possano risultare nel sancire i tentativi cinesi di annettere il Tibet.

Ma anche ammesso e non concesso che i fattori storici e legali non vengano presi in considerazione, la legittimità di uno stato dev'essere giudicata dagli adempimenti del suo governo, il quale ha tre funzioni fondamentali: (1) protezione del popolo; (2) promozione del suo benessere sociale, economico, culturale e spirituale; (3) rappresentanza all'estero degli interessi del suo popolo. Rispetto al Tibet La Cina non ha adempiuto a nessuna di queste funzioni. Al contrario, si è permessa di lasciarsi andare in massicce e brutali violazioni dei diritti umani, in trasferimenti di popolazione, repressione della cultura e della libertà di culto, discriminazioni razziali, distruzione dell'ambiente e un indecente sfruttamento economico. Per tramite dei massicci trasferimenti di popolazione e della cosiddetta rivoluzione culturale, ha praticato una politica tesa a distruggere la cultura e l'identità nazionale del popolo tibetano, e ne ha travisato la situazione e le aspirazioni dinanzi la comunità internazionale. Ma è

soprattutto il persistere del movimento di resistenza in tutto il Tibet, fatto questo ripetutamente riconosciuto dalle stesse autorità comuniste cinesi, che prova la loro mancanza di legittimità legale, morale e politica per governare il Tibet. Dall'altra parte ci sono Sua Santità il Dalai Lama, simbolo della volontà comune del popolo tibetano, e il Suo governo in esilio, continuazione del governo di Gaden Phodrarg instaurato dal V Dalai Lama, depositario della legittimità legale, morale e politica per governare e rappresentare il popolo del Tibet.

II. La natura della lotta tibetana non risiede né nel confronto tra ideologie politiche né nello scontro tra gruppi etnici. Il problema del Tibet non puo' essere compreso isolandosi: dev'essere visto come il sintomo di un diffuso problema dell'umanità, quello della lotta tra verità e falsità, tra giustizia e ingiustizia, moralità e immoralità, giusto e sbagliato. L'aspirazione del popolo tibetano per la libertà non è semplicemente per un mero fatto di identità politica. Per noi la libertà politica non è un fine in sé, ma è un mezzo per adempiere i nostri giusti doveri verso tutti gli esseri sensibili. Il popolo tibetano ha ereditato lungo i secoli la responsabilità di preservare, promuovere e disseminare una cultura e delle tradizioni spirituali e di coscienza uniche al mondo, a vantaggio di tutte le persone sensibili. Per far si' che il popolo del Tibet possa adempiere a questi compiti, abbiamo bisogno di una favorevole situazione sociale, politica, economica ed ambientale. L'intelligenza umana non puo' est

endersi in pieno in un'atmosfera di oppressione e terrore. Inoltre un'eredità culturale sradicata non puo' ricrescere propriamente da qualche altra parte. Ecco dunque perché l'indipendenza e la libertà politiche sono mezzi indispensabili.

Gli insegnamenti sulla Responsabilità Umana di Sua Santità il Dalai Lama ci hanno fatto prendere coscienza dei nostri doveri verso tutte gli esseri sensibili, l'umanità in generale e il popolo cinese in particolare. Noi non nutriamo odio o cattivi sentimenti verso il popolo cinese, che merita il nostro amore e la nostra compassione. Il Mahatma Ghandi giustamente disse: "Odia il peccato, non il peccatore". Noi ci opponiamo all'operato del governo cinese, non al popolo cinese. In questo spirito noi continuiamo la nostra missione per conseguire il nostro obiettivo, e lo facciamo con metodi schietti. In essenza, noi tibetani abbiamo tre impegni irrinunciabili nei nostri sforzi per riconquistare la libertà:

1. La Verità

2. La Nonviolenza

3. La Democrazia

III. Durante gli ultimi 37 anni il popolo tibetano e il suo governo in esilio hanno tenacemente perseguito gli impegni summenzionati. Il 17 aprile 1959 Sua Santità il Dalai Lama e il Suo governo arrivarono in India e lanciarono la lotta per riconquistare la nostra indipendenza con metodi democratici e nonviolenti, e lo sforzo è continuato incessantemente fino ad oggi. Al tempo stesso noi crediamo che l'unico modo efficace di risolvere il problema del Tibet consista in pacifici negoziati con la Cina. Nel 1979 il leader cinese Deng Xiao Ping affermo' che tutto poteva essere discusso e risolto, tranne l'indipendenza. Sua Santità rispose a tale invito con mentalità aperta, accettandone l'impostazione, e in un sincero sforzo di iniziare il processo di negoziazione, nel 1987 Sua Santità annuncio' un largo programma di negoziazioni nella forma del "Piano di Pace in Cinque Punti", che poi Egli sviluppo' ulteriormente nel 1988 in un dettagliato piano conosciuto come Proposta di Strasburgo. Quattordici lunghi anni tra

scorsero nei nostri tentativi di iniziare un processo di negoziati con la Cina, ma senza alcuna risposta. Infine, nelle sue dichiarazioni per i 10 di marzo del 1994 e del 1995, Sua Santità propose un referendum per decidere la futura rotta di azione del popolo tibetano. L'effettuazione di questo referendum è attualmente in corso e speriamo che sia completata in un ragionevole periodo di tempo, dopodiché saremo vincolati dalla decisione che ne emergerà. Nel frattempo continuerà come prima la politica del governo in esilio per la lotta per la libertà, e al tempo stesso l'approccio moderato di Sua Santità rimane una possibile base per negoziare, in qualsiasi momento e senza alcuna precondizione. Noi non abbiamo ancora rinunciato alla speranza che le autorità cinesi rispondano alla logica e alla ragione, e vengano prima o poi al tavolo dei negoziati; ma cio' non significa che abbiamo rinunciato alle nostre attività prima di giungere ad un qualche accordo che incontri il consenso del popolo tibetano. Questa posiz

ione dev'essere chiara, al di là di ogni dubbio, a tutti i sostenitori tibetani.

Per tutta la gente del Tibet, questa grande dimostrazione in nostro sostegno fa di oggi un giorno memorabile e molto significativo. Gli anni 1994 e 1995 ci hanno causato grande preoccupazione. La repressione cinese in Tibet ha raggiunto le sue forme peggiori: il divieto di esporre immagini di Sua Santità; la riconvocazione dei bambini tibetani che studiano all'estero; il rinnovato zelo nel combattere il Dalai Lama e la sua "cricca" come il nemico numero uno della Repubblica popolare cinese; il rinvigorirsi delle politiche di militarizzazione, nuclearizzazione e cinesizzazione del Tibet. Tutto cio' ha causato grande pena al popolo tibetano, trasformandolo in una impotente minoranza nella sua stessa terra. Queste misure repressive hanno raggiunto l'apice con l'imprigionamento dell'innocente bambino di 6 anni Gedhun Choekyi Nyima, che Sua Santità ha riconosciuto come autentica reincarnazione del X Panchen Lama. Insieme a lui e alla sua famiglia sono stati arrestati molti inermi monaci del monastero di Tashi Lhu

npo. L'imposizione di un Panchen Lama di loro scelta non è che un'altra faccia della paradossale azione repressiva cinese: scredita la mitica teoria sostenuta dalla Cina secondo la quale il Tibet godrebbe di vera autonomia. Colgo questa occasione per ringraziare tutti i nostri amici e sostenitori in Europa, nel parlamento europeo e in molti altri organi legislativi in tutto il mondo che hanno condannato l'operato illegale della Cina e sostenuto la scelta di Sua Santità per il Panchen Lama.

Nel Suo messaggio per l'anniversario del 10 marzo, Sua Santità il Dalai Lama descrive esplicitamente l'attuale situazione in Tibet. Non c'è bisogno di rileggervelo poiché copie del messaggio vi sono distribuite ora.

L'attuale politica mondiale è ispirata da interessi economici e di difesa, invece che dalla moralità e dalla giustizia. I paesi occidentali guardano alla Cina come un grande mercato, e i paesi orientali sono intimoriti dalla potenza cinese, considerandola come una minaccia in difesa dei loro interessi nazionali. La combinazione di questi elementi di "avidità e paura" impedisce a molti governi del mondo di parlar chiaro e agire saggiamente. Ne consegue che gruppi o singole persone preoccupati per la pace, la moralità, le libertà, la responsabilità universale e la protezione dell'ambiente, sono confinati, limitati nell'alzare la loro voce per la giustizia. Si', c'è gente che pensa che l'unica soluzione efficace per tutti i problemi sia per tramite della violenza. Questa è la maggiore causa di violenza e disordine, e questo accade perché i movimenti nonviolenti sono incapaci di attrarre l'attenzione della comunità mondiale. C'è quindi la necessità di solidarietà e sostegno al principio della nonviolenza ed alle

azioni che ne derivano.

Vorrei concludere con una nota personale. Come voi tutti sapete bene, la lotta per la libertà del Tibet è piuttosto diversa da quella dei movimenti di liberazione in altri paesi. L'azione di cinesizzazione per tramite della politica dei massicci trasferimenti di popolazione ha lo scopo di annientare l'identità fondamentale del Tibet. Dunque il tempo stringe, siamo in grande urgenza. E' arrivata l'ora di fare. O morire. Indipendentemente dal risultato che ne verrà, il popolo del Tibet deve ora alzare la testa per contrastare il malgoverno cinese. Stiamo dunque considerando di lanciare un "Movimento Satyagraha" nel Tibet, non appena sarà concluso il proposto referendum. Il premio Nobel Elie Wiesel disse giustamente che "La neutralità aiuta l'oppressore, mai la vittima. Il silenzio stimola il vessatore, mai incoraggia il torturato". Io sono convinto che stare zitti su un delitto significhi prendervi parte. Percio' morire volontariamente ed elegantemente contrastando i misfatti assume un ben più grande significa

to che il vivere sopportandoli. Siamo consapevoli di a che cosa andiamo incontro: la dimensione della nostra popolazione in confronto alla potenza della Cina e la sua crudeltà. Il nostro Satyagraha potrebbe risultare in un'azione suicida. Cio' nonostante siamo orientati a scegliere questa opzione, perché non abbiamo altra scelta.

Arrivati a questo punto, non ho appelli da fare, né cercare qualcosa da voi. La vostra coscienza sarà il miglior giudice delle vostre azioni. E di nuovo esprimo la mia gratitudine per le vostre simpatia, sostegno e solidarietà.

Prego per tutti gli esseri sensibili di vivere felicemente in pace.

 
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