Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
lun 24 feb. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Centro Radicale - 9 aprile 1996
Wej Jingsheng, il prigioniero di Tangshan

di Francis Deron

Le Monde, martedi 9 aprile 1996

A quarantasei anni, il dissidente cinese ne ha già trascorsi quattordici in prigione. Il suo mondo si limiterà per altri quindici ai soli muri della sua cella. Il suo crimine: aver denunciato il nuovo despotismo e le violazioni dei diritti dell'uomo nel suo paese.

Certe riflessioni sono fatte apposta per essere incise sui muri di una cella: La volontà d'essere ingannati: è questo il principale pilastro sul quale si regge la condizione di schiavo, scriveva Wej Jingsheng nel 1979, poco prima di diventare il più celebre prigioniero politico cinese. Detenuto per un lungo periodo: quattordici anni e mezzo fino al 1993 e di nuovo imprigionato, nel 1994, per una quindicina d'anni. Fino al 20 novembre 2009, salvo scarcerazione anticipata. La prima volta per volontà di Deng Xiaoping, il capo della Cina che aveva qualificato come "despota", la seconda volta per volontà degli eredi di Deng, a nome di un potere che ancora si riferisce al comunismo. A quarantasei anni è caro dover ancora pagare per il rifiuto di essere schiavo. Non si chiederà, come già altri, se il prezzo non sia troppo elevato? Nel 1994, poco prima di tornare in prigione, assicurava di no. Non sappiamo però molto di ciò che pensa oggi Wej nella sua cella. Contrariamente ad altri detenuti politici, Wej non comuni

ca molto con il mondo esterno. La sua prigione si trova a un centinaio di chilometri da Pechino, nei pressi della città di Tangshan - epicentro di uno spaventoso terremoto avvenuto nel 1976, poco prima della morte di Mao Zetung. Le cose sono comunque un po' cambiate rispetto al passato. Ci fu infatti un periodo in cui la sua famiglia riceveva scarsissime informazioni riguardo a lui e, in ogni caso, non parlava ai giornalisti stranieri per paura della polizia. L'onta del prigioniero ricadeva sui suoi familiari. Una vita difficile: in particolare per suo padre, con il quale Wej era in discordia: buon comunista dell'era delle speranze durante la lotta che condusse alla fondazione del regime, aveva rotto quasi tutti i ponti con il suo irrequieto rampollo, uno dei suoi quattro figli.

Nato nel 1950 a Pechino, costui porta un nome che i genitori speravano di buon auspicio: Nato nella capitale Il figlio incarnava allora la fierezza di una Cina che stava rinascendo dalla proprie ceneri, dopo un secolo e mezzo di guerre, umiliazioni e oppressione. Oggi, al contrario, è il simbolo della determinazione di ogni oppositore all'arbitrio di un regime che aveva invece promesso giustizia al proprio popolo. Sono ormai trent'anni che Wej, con una costanza non ancora intaccata dalla repressione, conduce l'opposizione su tutti punti: democrazia, antimilitarismo, problema del Tibet... Questa forza di carattere la deve allo stesso regime che lo ha condannato, con metodi da dittatura del proletariato, a riflettere da autodidatta.

É stato Mao Zetung a far nascere in politica Wej. Nel dicembre 1966, mentre la Cina è data in pasto alle Guardie Rosse lanciate nella rivoluzione culturale, Wej e altri figli di quadri del regime si raccolgono in un movimento, Il comitato d'azione unita delle guardie rosse della Capitale, deciso a lottare contro i dirigenti dalle tendenze estremiste riuniti attorno a Jiang Qing, sposa di Mao, egeria dell'ondata che minaccia di travolgere il sistema. Questi adolescenti - Wej ha sedici anni - s'offrono il lusso di prendere d'assalto la cittadella della polizia politicae di distruggervi una parte degli archivi segreti raccolti sui loro familiari. L'episodio testimonia l'esistenza, tra le guardie rosse, affascinanti nel loro insieme, di tendenze prodemocratiche in rivolta contro il sistema repressivo. Smantellate le organizzazioni delle guardie rosse alla ripresa del potere da parte dell'esercito, Wej, come milioni di altre persone, e spedito alla campagna. Vi scopre la miseria e le ondate di carestia degli anni

60, provocate dagli errori del regime. Ne conclude che il miracolo economico vantato dalla propaganda è frutto di finzione e ne trae delle conclusioni definitive sui meriti del comunismo. Tornato in città, trova lavoro come elettricista allo zoo di Pechino. Ma Wej non è un Lech Walesa: riflette, legge molto, ma non pensa all'azione sindacale indipendente nell'ambiente operaio. Preferisce essere polemista. Partecipa, a distanza, al primo motto antigovernativo che scoppia sulla piazza Tienanmen il 5 aprile 1976, con Mao ancora in vita. Due anni dopo la morte di quest'ultimo appare, nei pressi di uno dei principali incroci della capitale, il Muro della Democrazia: un angolo di muro dove sono affissi i tazebao della contestazione democratica, brevemente autorizzata ad esprimersi da un Deng Xiaoping che sfrutta il movimento per sbarazzarsi degli avversari politici maoisti. Il 5 dicembre 1978 affigge il testo che lo renderà celebre, La Quinta Modernizzazione, dove sviluppa l'idea che il progresso economico del pa

ese ( le quattro modernizzazioni che esalta il regime) deve passare attraverso la democratizzazione del sistema, mancando la quale il popolo non ne beneficierà assolutamente. Fonda una rivista, Esplorazioni, stampata su una pessima carta pagata a caro prezzo e distribuita al pubblico del Muro. Wej vi denuncia con eloquenza la detenzione per motivi politici, la miseria di una parte della popolazione, le origini politiche della delinquenza giovanile, la vendita di bambini per le strade di Pechino. Scopre contemporaneamente un problema che comincia a conoscere grazie alla sua compagna d'allora: una Tibetana: la repressione sul tetto del Mondo. L'idea che vi si sia prodotta una forma primaria di colonialismo sarà ripresa da un segretario generale del Partito Comunista, che ne perderà il posto. Ben presto Wej si trova in rotta di collisione con Deng Xiaoping il quale, prese saldamente in mano le redini del regime, sta per suonare il rientro all'ordine. Wej s'oppone all'attacco cinese le limitrofe provincie vietna

mite, lanciato a metà aprile 1979. Denuncia il nuovo despotismo dell'uomo-guida dell'era post-maoista. E' arrestato il 29 marzo e sparisce nel gulag cinese dopo un processo detto falsamente pubblico dal regime, che si accontenta di rendere pubblica una foto di Wej, cranio rasato, mentre legge lui stesso la propria difesa. Il potere non aveva previsto che le sue dichiarazioni sarebbero state registrate da un dissidente infiltrato tre le guardie. Rese note all'esterno, queste dichiarazioni mostreranno Wej rigettare calmamente le accuse mosse contro di lui, così come la natura controrivoluzionaria dei suoi scritti (questi ultimi, come le dichiarazioni di Wej Jingsheng sono state per l'appunto pubblicate in Francese in "Un bol de nids d'hirondelles ne fait pas le printemps de Pékin" (Biblothèque asiatique, Christian Bourgois éditeur, 1980). Si rimprovera inoltre al dissidente di avere trasmesso a dei giornalisti stranieri dei segreti militari; si tratta in realtà di informazioni non ufficiali, largamente diffuse

, sulle operazioni in Vietnam. Altri dissidentiperderanno la loro libertà per essersi schierati dalla parte di Wej o per aver contribuito a farne conoscere le dichiarazioni. Da allora circolano rumori allarmisti sulla sua sorte. Lo si dice pazzo. Si ostina a rifiutare il pentimento, mentre il sistema carcerario tenta di farlo a pezzi. Durante i primi due anni di detenzione a Pechino, viene relegato in una cella sotterranea, priva di luce. In seguito le cosi migliorano relativamente. Verso la fine, racconterà, godevo di un certo rispetto da parte dei guardiani dei campi dei lavori forzati. Il fatto d'aver rifiutato di riconoscere il mio errore mi ha aiutato presso di loro: ero il prigioniero personale di Deng Xiaoping. Quando chiede della carta per scrivere al Patriarca - meno per lamentarsi della propria condizione che per tentare di far passare delle idee politiche contestatrici - gli viene data soddisfazione. In occidente, in particolar modo in Francia, Wej diviene il simbolo cinese della lotta per i dirit

ti dell'uomo. A tal punto che, nel settembre 1993, sei mesi prima della fine della sua pena, viene finalmente liberato. Con tale gesto - che fu probabilmente difficile da ammettere per Deng - Pechino pensa di aggiudicarsi i giochi olimpici per l'anno 2000. Il ricordo dei fatti sanguinosi di Tienanmen, del 1989, spinge il CIO a decidere diversamente. Dal momento della sua scarcerazione Wej riprende la propria libertà di parola, mentre è teoricamente privato dei diritti politici. Meno polemicamente di prima, forse con più riflessione, Wej ritiene di dover orientare la propria azione più vicino alle realtà, di interessarsi, per esempio, alle rivendicazioni operaie, ai movimenti di protesta contro le condizioni degli sfavoriti, dei vessati dal sistema, e di parlargli di democrazia partendo da esperienze concrete. Per qualche mese sembra godere di alte protezioni. Crede di avere strappato la promessa di poter parlare liberamente ai giornali stranieri poiché si è dichiarato d'accordo con il regime per il riconosci

mento di Pechino come città olimpica e per aver invitato gli Stati Uniti a non utilizzare la questione dei diritti dell'uomo per colpire con tasse le esportazioni cinesi. Ma Washington commette una gaffe: John Shattuck, incaricato dei diritti dell'uomo al dipartimento di Stato, lo incontra a Pechino ancor prima di essersi intrattenuto con il suo ospite ufficiale, il ministro degli esteri Qian Qichen. Inoltre il Comitato Olimpico Internazionale preferisce Sidney a Pechino per l'organizzazione dei Giochi. Le relazioni tra Pechino e gli stati Uniti vanno deteriorandosi. Il primo aprile 1994 Wej Jingsheng viene nuovamente arrestato, assieme alla sua compagna Tong Yi, un'ex studentessa che aveva preso parte al movimento di Tenanmen nel 1989. Questa volte il regime inaugura una nuova strategia. In un primo tempo Wej non è processato. Il dissidente e Tong Yi spariscono semplicemente. Persino le loro famiglie ne perdono le tracce. Si sospetta che Pechino voglia convincerlo a scegliere l'esilio. In precedenza, aveva

già scartato questa ipotesi. Cosa farò ora? Continuerò a interpellare il regime. Non so fare altro: esso mi ha condannato alla dissidenza e il mio posto è in Cina, ci aveva detto prima del suo arresto. Infine, il 13 dicembre 1995 Wej è condotto davanti alla Corte. Il processo va per le spiccie. Il tribunale è sordo agli argomenti che Wei stesso e i suoi avvocati svolgono per smentire la tesi della Procura secondo la quale stava complottando per rovesciare il governo. Viene condannato a quindici anni di prigione. Tale simulacro di giustizia non rivela soltanto la volontà del regime di obbediread un formalismo giudiziario. Tende a confermare che alcune forze, minoritarie, spingono per una liberalizzazione moderata del sistema utilizzando - ancora una volta, secondo un metodo provato - questa figura emblematica. Altrimenti la famiglia non avrebbe avuto il piacere di poter ricorrere in appello, la prima volta invano subito dopo la sentenza, la seconda volta il 1 di febbraio. Ne quello di contattare delle organiz

zazioni per la difesa dei diritti dell'uomo negli Stati Uniti, dove Wej Jingsheng è stato proposto per la prima volta, l'anno scorso, per il Premio Nobel della Pace. Tanto meno quello di inquietarsi pubblicamente per il suo stato di salute dopo sedici anni di detenzione in condizioni estremamente dure - si dice che gli venga negato un fornello elettrico che gli è indispensabile per cuocere gli alimenti dopo la perdita di tutti i denti. Indebolitesi le articolazioni a causa del freddo umido della cella lasciata nel 1993 (seguirà ben presto un caldo soffocante), l'ospite molto speciale della prigione numero uno di Tangshan aspetta che un po' di sollievo si profili di nuovo nel trattamento dei prigionieri politici dell'ultimo grande paese che ancora guarda a Lenin. Medita certamente all'amara ironia della sua situazione, dopo i suoi sforzi di moderazione sostenuti durante il breve passaggio in semi-libertà.

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail