di Dimitri Buffa
L'Indipendente, 1 maggio '96, pag. 8
Il regime ha fatto pressioni sull'India perché cacciasse i cineasti dal Kashmir. E così è stato. Pechino: la vita del Dalai Lama non va portata sugli schermi. Veto anche per Annaud.
Non si facciano film sul Dalai Lama e sulla tragedia del popolo tibetano. Il diktat, che ricorda quelli dei "bei tempi" della rivoluzione culturale di Mao Tse Tung, viene dal governo cinese e investe i Paesi confinanti come India, Pakistan, Nepal, opportunamente "dissuasi" dal rilasciare permessi di soggiorno e di lavoro agli europei che intendano fare film di questo genere. L'atteggiamento di Pechino ha già mandato all'aria i progetti di due produzioni cinematografiche molto importanti, una americana e una francese. I nomi dei registi vittime della real politik della Cina sono illustri: Martin Scorsese e Jean Jacques Annaud. Entrambi avevano già impiantato le cineprese e i propri uomini nelle regioni del kashmir, ma all'ultimo momento hanno dovuto levare le tende perché il governo di Nuova Delhi non ne ha voluto sapere di inimicarsi i rapporti con Pechino per fare due grosse produzioni cinematografiche occidentali. Troppo grosso il rischio di rappresaglie economiche e armate ai confini del Kashmir dove da a
nni si svolge in silenzio una sorta di guerra civile strisciante, fomentata, pare, proprio dai Servizi segreti militari dell'ingombrante Paese confinante.
La violenza e l'arroganza cinese non è un caso che si appuntino ancora una volta sulla figura del Dalai Lama, che sarà, fra l'altro, in Italia ai primi di maggio per una serie di visite politiche e di conferenze culturali e per un ritiro religioso nel monastero tibetano zen di Pomaia. Il problema dell'esodo del popolo tibetano dopo l'invasione cinese del 1959 riemerge periodicamente anche per le battaglie del Partito radicale transnazionale che proprio lo scorso 10 marzo organizzò una manifestazione europea perché ciascun sindaco della comunità economica facesse sventolare una bandiera tibetana accanto al vessillo della propria città. La manifestazione ebbe una grande adesione, ma anche in quell'occasione non mancarono polemiche e dinieghi di autorizzazione da parte di alcune prefetture in Italia (Forlì, Cesena e Treviso) e in Belgio. Preferendo evitare l'incidente diplomatico con un partner commerciale che fa gola a tutti come è la Cina di Li Peng, alcuni prefetti preferirono mettere in cantina gli ideali d
i una sacrosanta battaglia vietando ad alcuni Comuni di esporre la bandiera del Tibet. Oggi siamo al boicottaggio cinematografico ma il discorso non cambia.
LA CINA BOICOTTA IL FILM DI SCORSESE
di Dimitri Buffa
L'Indipendente, 1 maggio '96, pag. 8