Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 27 feb. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Giorgio - 14 maggio 1996
Perché il Polo ha perso?
di Andrea Chiti-Batelli

[Volentieri dò occasione al nostro amico Chiti-Batelli di esplicitare ad un più ampio pubblico queste sue considerazioni. Peraltro in molti passaggi da me interamente condivise.

Giorgio Pagano]

CONSIDERAZIONI SUL RISULTATO DELLE ELEZIONI DEL 21 APRILE

Premetto - pur sapendo di andar contro corrente - che accetto nelle grandi linee (anche se con qualche punta polemica in meno) il giudizio sull'»Ulivo , e sulla sua natura, che dà Marco Pannella. Questa formazione ha vinto perché riunisce in sé tutte le tendenze restauratrici della cosiddetta Prima - e perdurante - Repubblica nei suoi peggiori aspetti partitocratici, consociativi e assistenziali, all'insegna di una sostanziale conservazione (Rifondazione comunista non credo altererà molto questa connotazione): una conservazione che ha come il simbolo nel faccione riciclato di Prodi (con, nel sottofondo, il volto ammiccante di De Mita), e la sua consacrazione nell'accoglienza più che favorevole che alla vittoria dell'»Ulivo hanno riservato borsa, mercati internazionali, cambi, grande finanza: un giudice infallibile, e da sempre interessato solo al continuismo e alla restaurazione1.Perché, allora, il »Polo ha perso?

Esso era riuscito a trasmettere agl'Italiani, nel 1994, la sensazione euforizzante che grazie ad esso l'Italia avrebbe conosciuto un reale rinnovamento, un passaggio alla »Seconda Repubblica , di contro a uno schieramento che, al di là delle apparenze, intendeva solo perpetuare i difetti peggiori della Prima. Nel 1996 invece il »Polo non è stato capace di far »passare di nuovo questo messaggio: e non vi è riuscito - questa, secondo me, la ragione di fondo - perché di tale disegno rinnovatore è anch'esso, almeno in buona parte, privo.

Certo, si possono addurre mille ragioni occasionali e singoli errori, compiuti negli ultimi due anni e durante la campagna elettorale, che hanno influito negativamente e raffreddato quell'euforia. Su di essi non ci soffermeremo, se non ricordando sia uno degli ultimi (l'improvviso voltafaccia con cui Berlusconi si è detto pronto a un accordo »alto e nobile sulle riforme istituzionali e per prolungare la legislatura, dopo aver gridato »al voto! fino a un momento prima: con l'ulteriore risultato negativo che gli avversari hanno potuto presentare all'opinione pubblica il fallimento di quell'accordo come un »appiattimento di tutto il Polo sulle posizioni più estremiste di Alleanza Nazionale); sia uno dei primi, su cui riferisco in nota2. Ma la ragione vera è quella che ho detto.* * *Sul terreno europeo, anzitutto, il »Polo non ha una strategia »nuova , che sola gioverebbe all'Italia: favorire la nascita della moneta europea (l'Europa non può aspettar i nostri ritardi, né il processo integrativo può esse

r concepito e avanzare secondo gl'interessi e i ritmi italiani), ma battersi per un superamento e integrazione di Maastricht in una Unione politica sovrannazionale che guidi e sia responsabile dell'intera economia europea. Peggio: non solo il Polo non ha una strategia che corregga i difetti che esso imputa a Maastricht, ma ne ha una opposta a quella sopra delineata, e sostanzialmente coincidente con la linea anti-europea britannica, volta a diluire l'U. E. in una semplice Zona di libero scambio, senza più ambizioni sovrannazionali.

Forse ancor più gravi sono le carenze del »Polo in àmbito interno.

Il successo della Lega ha mostrato ancora una volta - ed è stata una riprova non necessaria - quanto viva e reale sia nel Nord l'esigenza autonomista e riformatrice (che è anzitutto istituzionale, e non può ridursi a una protesta fiscale). Sarebbe stato e sarebbe compito di una forza di rinnovamento interpretare e razionalizzare quanto c'è ancora di rozzo, di egoista, di provincialmente limitato al Nord nella protesta leghista, trasformandola da protesta in proposta grazie a un organico progetto di rifondazione dello Stato italiano in senso federale, e mostrando quanto tale rifondazione appaia utile, e anzi indispensabile anche al resto d'Italia, e in particolare al Mezzogiorno. Si tratta di articolare la Penisola in quattro o cinque »Grandi Regioni , veri Stati membri con poteri analoghi a quelli degli states americani, come la California o il Texas, andando molto al di là anche delle autonomie di cui godono i Länder tedeschi (per non parlare delle proposte, quanto mai deludenti e modeste, della stessa Lega

, testimoniate dai due disegni di legge 1304 e 1403 da essa presentati al Senato nella Legislatura conclusasi il 21 aprile).

Il »Polo ha invece mostrato un'assoluta indifferenza in proposito, per mancanza di ogni seria riflessione sull'argomento e per influenza del sopravvivente centralismo-nazionalismo di A.N. Indifferenza che non di rado si è spinta fino ai giudizi di Saverio Vertone, che non perde occasione per ripetere urbi et orbi che egli vede nel fenomeno leghista unicamente un »nuovo nazismo (e questa non è, ripeto, solo una sua personale »obnubilazione , per usar un blando eufemismo).

Tale insensibilità, quando non ostilità, è stata tanto più grave perché non solo ha largamente favorito il successo, al di là di ogni previsione, della Lega (causa prima della sconfitta del Polo), ma perché ha considerevolmente nociuto anche al progetto presidenzialista. Questo, invero, può esser validamente prospettato all'opinione pubblica, in modo da far risaltare come meramente pretestuosi timori di deriva autoritaria che si manifestano da sinistra, solo se viene proposto entro uno Stato avente, appunto, struttura federale: dove gli stati membri, con l'ampiezza dei loro poteri, bilanciano ed equilibrano il peso dell'Esecutivo centrale, il quale a sua volta, con la sua solidità, fa da cerniera dell'insieme e ne assicura l'unità nella diversità.

Per realizzare un così profondo cambiamento di progetto politico e di strategia istituzionale occorre però non un semplice calcolo di opportunità, ma una vera e propria »rivoluzione culturale , frutto di un attento ripensamento che sostituisca a concezioni liberali ancora sostanzialmente naziocentriche e centralistiche, di perdurante stampo ottocentesco, una nuova idea dello Stato, federalisticamente articolato a livello infra e sovrannazionale. E se tale nuova visione manca all'»Ulivo (»io posso andarmene a cena con leaders socialdemocratici europei, Berlusconi no : così va ripetendo D'Alema, e questo è tutto ciò che è rimasto del PdS dell'insegnamento di Spinelli, che pure è stato parlamentare di quel partito), tale visione non è presente neppure nel »Polo , che anche per questo mal può pretendere di rappresentare l'alternativa del rinnovamento.

La prospettiva europea era ed è poi fondamentale per proporre una soluzione valida del problema della disoccupazione, come pure di quello di un rinnovamento dell'economia e delle privatizzazioni.

Su quest'ultimo punto non si è andati oltre le parole, probabilmente per il freno di A.N., contraddicendo così la filosofia liberista a cui si diceva di ispirarsi.

Quanto alla lotta contro la disoccupazione si doveva mostrare - e non si è fatto - che essa è possibile solo in una dimensione europea; che il »piano Delors è un buono strumento e un valido inizio, se si attribuiscono all'Unione europea poteri sovrannazionali che le consentano di attuarlo; che nell'ambito di un tale piano europeo è possibile, anche se non immediatamente, porre allo studio una futura riduzione delle ore di lavoro settimanali. (Questa - sostengono anche illustri futurologi statunitensi, come il Rifkin, e non solo Bertinotti - a un certo punto sarà imposta dal processo di automazione: che, a differenza del progresso tecnologico del passato, distrugge più posti di lavoro di quanto non ne crei, indirettamente, stimolando nuove attività).

Infine solo in ambito europeo può e deve esser concepito un grande progetto ecologico: grande assente anch'esso nei programmi del »Polo (che ha per di più sulla coscienza la politica anti-ecologica del suo ministro dell'ambiente Matteoli).

Per completare questo quadro negativo occorre ancora aggiungere che il »Polo disponeva, invece, di un buon programma di snellimento e ammodernamento dello Stato, di lotta contro le degenerazioni assistenziali, di riduzione della spesa pubblica, di riforma fiscale. Ma non ha saputo prospettarlo in modo convincente, ed è stato facilmente vittima della propaganda avversaria, che ha presentato il »Polo come affossatore dello Stato sociale, nemico del popolo lavoratore, tiranno delle lavoratrici madri e delle puerpere del Bel Paese. E in questo clima anche il conflitto d'interessi, ingigantito dalla persecuzione giudiziaria, ha costituito un handicap non lieve, tanto più che - è bene dirlo in chiare lettere - tale conflitto è oggettivamente in contrasto con i principi liberali affichés e richiede quindi una soluzione rapida e non apparente.

Ho detto e ripeto che molti altri errori e difetti occasionali (come la mancanza di un radicamento territoriale di »Forza Italia ), congiunti alla »spregiudicata propaganda avversaria (per usar anche qui un eufemismo), hanno aggravato le carenze ideologiche sopra denunziate: e fra questi errori, forse più grave di tutti, quello di unir a toni fieramente intransigenti atti concreti più che accomodanti (e spesso in modo incoerente): che è, ancora una volta, la caratteristica, sempre perdente, delle »tigri di carta . Ma le cause di fondo della sconfitta sono quelle che ho sopra indicate. E ciò è sufficiente a porsi la domanda: l'alternativa in gioco nelle ultime elezioni era davvero fra una coalizione di forze conservatrici-restauratrici (l'»Ulivo ) e una coalizione rinnovatrice (il »Polo ), o fra due forze entrambe, sia pur in modo diverso, conservatrici, ed entrambe ispirantisi, in realtà, al principio gattopardesco che bisogna cambiar qualcosa solo perché tutto possa restar come prima? Io propendo forteme

nte, come giudizio generale, per questa seconda tesi, che è come evidenziata e resa palpabile dal numero di riciclati e zombies che operano in entrambi i poli (è stato fatto il calcolo, davvero impressionante, degli ex democristiani che ancora sopravvivono - in numero pressoché uguale e in perfetta par condicio - nelle due formazioni). E ciò m'induce a considerar più che mai valida la tesi classica di Lelio Basso: secondo cui, alla vecchia insegna del trasformismo - oggi ribattezzato consociativismo -, domina in Italia da sempre, incontrastato, sia pur con atteggiamenti diversi (appunto gattopardeschi), un »partito unico di governo (che ha oggi in Dini, fautore di un nuovo »grande centro . il suo non commendevole emblema).

In àmbito nazionale - questa è l'argomentazione, estranea a Basso, che aggiungono i federalisti - le forze favorevoli a un effettivo rinnovamento sono destinate a restar eterna minoranza (fin qui il vecchio leader socialista ha ragione); ma non in un »quadro europeo.

Come un cambiamento reale, un superamento dell'ancien régime austriacante, non era possibile nel secolo scorso nell'àmbito del Ducato di Modena, o anche del Granducato di Toscana, e aveva come condizione essenziale l'unità d'Italia, così oggi il superamento del regime partitocratico, l'avviamento a forme più moderne di democrazia, ha come premessa la creazione di un àmbito politico europeo. »A noi convien tenere altro viaggio : solo una forza che sia davvero consapevole di questo, e agisca e progetti in conseguenza, riuscirà davvero a realizzare un cambiamento qualitativo, e cioè reale e profondo, della vita politica italiana.

Chi vorrà esercitare un'opposizione seria e costruttiva dovrà, pertanto, da un lato riproporre intransigentemente i temi europei, federalisti, presidenziali sopra prospettati, in congiunzione con quelli di politica economica, sociale, scolastica, sanitaria proprî del »Polo ; dall'altro controllare - con serena obiettività, ma con assoluto rigore - in che proporzione il nuovo governo espresso dall'»Ulivo resterà statalista, consociativista, assistenziale, centralista (e, in ognuno di questi aspetti, gattopardesco, e cioè simulante correzioni solo apparenti dei vecchi andazzi); o sarà invece capace davvero di voltar pagina, nelle riforme istituzionali come nelle politiche concrete.

E più che probabile che col 21 aprile, e per i prossimi cinque anni, abbia vinto su tutta la linea la Prima Repubblica (condivido, ripeto, il giudizio di Pannella, a cui però rinfaccio le stesse carenze culturali che ravviso nel »Polo : il suo europeismo e federalismo solo verbali, lip services che non costituiscono affatto una strategia, un asse portante della sua proposta politica, come ulteriormente chiarisco in nota3). Ma »la storia è un processo sempre aperto , diceva Benedetto Croce_e così la politica. Il dopo non è predeterminato, e si comincia a prepararlo da oggi, se si hanno la lucidità intellettuale e la forza morale necessarie.

1 Il mio giudizio è ulteriormente aggravato dalla farsa post-elettorale »Di Pietro , che l'»Ulivo ha corteggiato offrendogli ministeri importanti. Non si può non condividere in proposito il tagliente giudizio di Sergio Romano (»La Stampa , 28 aprile 1996): »Il Paese ha bisogno di un sistema politico in cui il cittadino italiano elegga il governo, non i plenipotenziari di una trattativa a cui può assistere, tutt'al più, dal loggione .

2 Il primo è forse quello che ha avuto per il »Polo le conseguenze più negative: tanto più che da tutti sottaciute, o almeno sottovalutate. Al momento del ribaltone Berlusconi avrebbe dovuto anzitutto richieder il voto delle Camere, e proprio in nome della correttezza costituzionale; e contro la poca correttezza del presidente della Repubblica che gli offriva astutamente di »far un passo indietro , e di designar lui il presidente del Consiglio (che è stato poi Dini), non avrebbe dovuto aver l'ingenuità di accettare (ingenuità come sempre suggerita dalla paura che un altro presidente del Consiglio e un altro governo fosse troppo pericoloso per i suoi interessi), e avrebbe dovuto, di passi indietro, farne due e insegnare a Scalfaro quali sono le regole di un sistema parlamentare: chi provoca una crisi ha il diritto-dovere di formar lui, se ci riesce, il nuovo governo; se non ci riesce, la mano passa a quelli che gli hanno tenuto bordone; se non ci riescono neppur costoro si va per forza alle urne. Chi non h

a la lucidità, il coraggio, la lungimiranza di agir così sembra, sì, un »decisionista (a parole), ma è in realtà una »tigre di carta nei fatti. E si è perciò meritato il dilemma suicida a cui subito dopo la sua insipienza lo ha costretto: o procedere di cedimento in cedimento, o mettersi contro Dini, inimicandoselo.

3 Non è un caso infatti che Pannella abbia chiesto al »Polo , per un'alleanza dell'ultim'ora, un impegno sul presidenzialismo e sul turno unico, ma non gli sia neppur passato per la mente di chieder invece un impegno per una politica europea capace di corregger radicalmente quella di Martino e per un federalismo interno in grado di accoglier le istanze valide della Lega. E chi noon avverte questo préalable non è un federalista, né europeo né interno.

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail