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Partito Radicale Budapest - 29 maggio 1996
LIBERTA' PER IL TIBET/DEMOCRAZIA PER LA CINA-FAX N.24

Bollettino di informazione sulle campagne del Partito Radicale Transnazionale per la libertà del Tibet e per la democrazia in Cina.

"I truly believe that individuals can make a difference in society. Since periods of great change such as the present one come so rarely in human history, it is up to each of us to make the best use of our time to help create a happier world".

S.S. il XIV.mo Dalai Lama, 1992

Numero 24 del 29 maggio 1996

Redazione: Massimo Lensi, Dorottya u. 3.III.em 6. - 1051 Budapest (H) - Tel. +36-1-266.34.86 - 266.09.35 - Fax. 11.87.937 - e-mail M.Lensi@agora.stm.it - WWW-Url: http//:www.agora.stm.it/pr - Telnet: Agora.stm.it

Distribuzione: Alberto Novi - rue Belliard 89 - Rem 508, 1047 Bruxelles (B); tel.+32-2-2304121, fax +32-2-2303670.

Pubblicato in inglese, francese, spagnolo, italiano, ungherese, croato e rumeno.

WEJ JINGSHENG: CHI ERA COSTUI?

Essendoci pervenute diverse richieste di approfondimento e di maggiore informazione sulla vita e sull'opera di Wej Jingsheng, abbiamo deciso di pubblicare un lungo articolo sul dissidente cinese apparso sul quotidiano francese "Le Monde". Oltre a far meglio conoscere Wej, la nostra speranza è anche che questo articolo possa meglio aiutare a convincere dell'importanza e dell'urgenza di raccogliere le proposte di candidatura del dissidente cinese a Premio Nobel per la Pace 1997. Certamente questo testo non attenua il nostro giudizio sulla censura che molti organi di informazione stanno istituendo sul movimento della dissidenza democratica dentro e fuori la Cina cosi' come sulle aspirazioni del Governo tibetano in esilio. Stampa e Tv che con rare eccezioni, come per l'appunto quella che qui riportiamo, si dispongono sempre di più come vere mosche cocchiere del presunto - ed ancora molto lontano - processo di democratizzazione e modernizzazione della Repubblica Popolare cinese di Deng, Zemin, Li Peng e dei famig

erati laogai.

Wej è in pericolo di vita per le idee in cui crede ed il rischio di sentirsi porre un giorno la domanda "chi era costui?" è concreto. Come è altresi' concreto il rischio di abbandonare nel dimenticatoio tutti quelli che, come lui, hanno deciso di vivere la democrazia e che stanno pagando con anni ed anni di carcere questa loro scelta. Inutile dire che con l'assegnazione del Premio Nobel a Wej, anche loro sarebbero premiati e sicuramente aiutati. La Polonia ce lo insegna.

Abbiamo inoltre ritenuto importante pubblicare intergralmente il testo della Risoluzione approvata il 23 maggio dal Parlamento europeo sulle violazioni dei diritti umani in Tibet. Un ulteriore significativo passo in avanti del processo di riconoscimento e di denuncia istituzionale delle devastazioni che il "Tetto del Mondo" giorno dopo giorno subisce senza che ci siano significative inversioni di rotta delle autorità cinesi ma neanche dei governi occidentali.

Per ragioni di spazio le informazioni relative alle campagne politiche in corso per la liberazione del Panchen Lama e per la richiesta urgente di incontro tra il Segretario Generale delle Nazioni Unite ed il Dalai Lama sono state rinviate al prossimo numero di "Liberta' per il Tibet - Democrazia per la Cina Fax".

PARLAMENTO EUROPEO/RISOLUZIONE SUL TIBET

Il 23 maggio il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sul rispetto dei diritti umani in Tibet. Il documento è stato presentato dagli eurodeputati MOORHOUSE e MAIJ-WEGGEN per il PPE, AGLIETTA e ORLANDO per i Verdi, DUPUIS, DELL'ALBA e MAMERE per il gruppo ARE, LARIVE e ANDRE-LEONARD per il gruppo ELDR, D'ANCONA per il gruppo PSE.

* Risoluzione sui diritti umani in Tibet

Il parlamento europeo,

- ricordando le sue precedenti risoluzioni sulla situazione in Tibet;

A. seriamente preoccupato per le notizie provenienti da Pechino e da Lhasa secondo cui le autorità cinesi nel Tibet occupato hanno esteso alle scuole e alle case private il divieto già vigente di affiggere le immagini del Dalai Lama nei monasteri e nei templi, e considerando che le immagini del Dalai Lama in Tibet erano state autorizzate dopo il 1979;

B. deplorando che secondo tali notizie vengono effettuate perquisizioni casa per casa per verificare il possesso di di fotografie del Dalai Lama;

C. prendendo atto delle notizie relative a morti e feriti gravi tra i tibetani a seguito della violenta repressione delle proteste;

1. deplora la crescente politica di repressione e intimidazione da parte della Cina in Tibet, nonché la sua continua politica dei trasferimenti di popolazione;

2. chiede alle autorità cinesi di rispettare il diritto di libertà religiosa del popolo tibetano;

3. sollecita le autorità cinesi a garantire a tutti i feriti l'accesso all'assistenza medica senza timore di arresti o intimidazioni;

4. incarica la sua delegazione per le relazioni con la Cina di sollevare in modo adeguato tali questioni con i loro omologhi durante l'imminente riunione a Pechino;

5. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione, al Consiglio, al governo cinese e al governo tibetano in esilio.

TIBET TELEX

TIBET/INIZIANO LE TRASMISSIONI DI "VOICE OF TIBET"

Il 22 maggio in un comunicato congiunto Paolo VIGEVANO, amministratore di Radio Radicale, ed Olivier DUPUIS, segretario del Partito Radicale e deputato europeo, hanno dato l'importante annuncio dell'inizio delle trasmissioni di radio "Voice of Tibet". Il testo del comunicato diffuso alle agenzie di stampa: "Oggi iniziano le trasmissioni di Voice of Tibet (VOT), una nuova stazione radiofonica che trasmetterà, su bande a onde corte, 15 minuti al giorno di informazione nei due principali dialetti tibetani per gli ascoltatori in Tibet ed in altre parti dell'Asia. I programmi vengono realizzati da uno staff editoriale tibetano in cooperazione con gruppi di sostegno indipendenti per i diritti umani in numerose nazioni, tra cui la Norvegia, l'Italia, la Gran Bretagna, l'India e gli Stati Uniti. Dopo un breve periodo di prova, la VOT inizia oggi le trasmissioni ufficiali. La nascita della Voice of Tibet ha coinciso con la visita in Europa del Dalai Lama, Premio Nobel per la Pace, leader spirituale tibetano, costrett

o all'esilio in India dal 1959."

CANADA/PROPOSTA DI RISOLUZIONE SU WEJ

E' stata presentata al Parlamento canadese una proposta di risoluzione comune su WEJ Jingsheng. Nel testo depositato si chiede "al Governo della repubblica Popolare di Cina di rilasciare immediatamente Wej Jingsheng, di assicurarsi che gli siano garantite cure mediche e di dare avvio immediatamente ad un riesame giuridico indipendente e aperto del suo caso; un riesame che permetta la piena partecipazione di esperti legali internazionalmente riconosciuti."

RASSEGNA STAMPA

CAMPAGNA PER WEJ JINGSHENG PREMIO NOBEL PER LA PACE 1997

In questo numero di "Libertà per il Tibet - Democrazia per la Cina Fax" abbiamo ritenuto opportuno pubblicare questo lungo articolo di Francis DERON apparso alcune settimane fa sul quotidiano francese "Le Monde". DERON compie una completa panoramica sulla vita del dissidente cinese Wej e sull'importanza della sua figura nell'ambito della lotta per una Cina democratica. Suggeriamo ai gruppi di raccolta delle adesioni di allegarlo al modulo di proposta di candidatura per consentire alla persona a cui viene richiesto il sostegno una migliore comprensione della vita di Wej Jinghseng. Ricordiamo infine come più volte scritto su questo foglio che ai sensi del Regolamento del Comitato norvegese sono abilitate a candidare a premio Nobel per la Pace solo poche categorie di soggetti tra cui i parlamentari ed i professori universitari titolari delle cattedre di Diritto, Storia, Scienze Politiche e Filosofia. Buon lavoro a tutti.

WEJ JINGSHENG, IL PRIGIONIERO DI TANGSHAN

di Francis Deron

("Le Monde, 9 aprile 1996)

A quarantasei anni, il dissidente cinese ne ha già trascorsi quattordici in prigione. Il suo mondo si limiterà per altri quindici ai soli muri della sua cella. Il suo crimine: aver denunciato il nuovo despotismo e le violazioni dei diritti dell'uomo nel suo paese.

Certe riflessioni sono fatte apposta per essere incise sui muri di una cella: La volontà d'essere ingannati: è questo il principale pilastro sul quale si regge la condizione di schiavo, scriveva Wej Jingsheng nel 1979, poco prima di diventare il più celebre prigioniero politico cinese. Detenuto per un lungo periodo: quattordici anni e mezzo fino al 1993 e di nuovo imprigionato, nel 1994, per una quindicina d'anni. Fino al 20 novembre 2009, salvo scarcerazione anticipata. La prima volta per volontà di Deng Xiaoping, il capo della Cina che aveva qualificato come "despota", la seconda volta per volontà degli eredi di Deng, a nome di un potere che ancora si riferisce al comunismo. A quarantasei anni è caro dover ancora pagare per il rifiuto di essere schiavo. Non si chiederà, come già altri, se il prezzo non sia troppo elevato? Nel 1994, poco prima di tornare in prigione, assicurava di no. Non sappiamo però molto di ciò che pensa oggi Wej nella sua cella. Contrariamente ad altri detenuti politici, Wej non comuni

ca molto con il mondo esterno. La sua prigione si trova a un centinaio di chilometri da Pechino, nei pressi della città di Tangshan - epicentro di uno spaventoso terremoto avvenuto nel 1976, poco prima della morte di Mao Zetung. Le cose sono comunque un po' cambiate rispetto al passato. Ci fu infatti un periodo in cui la sua famiglia riceveva scarsissime informazioni riguardo a lui e, in ogni caso, non parlava ai giornalisti stranieri per paura della polizia. L'onta del prigioniero ricadeva sui suoi familiari. Una vita difficile: in particolare per suo padre, con il quale Wej era in discordia: buon comunista dell'era delle speranze durante la lotta che condusse alla fondazione del regime, aveva rotto quasi tutti i ponti con il suo irrequieto rampollo, uno dei suoi quattro figli.

Nato nel 1950 a Pechino, costui porta un nome che i genitori speravano di buon auspicio: Nato nella capitale Il figlio incarnava allora la fierezza di una Cina che stava rinascendo dalla proprie ceneri, dopo un secolo e mezzo di guerre, umiliazioni e oppressione. Oggi, al contrario, è il simbolo della determinazione di ogni oppositore all'arbitrio di un regime che aveva invece promesso giustizia al proprio popolo. Sono ormai trent'anni che Wej, con una costanza non ancora intaccata dalla repressione, conduce l'opposizione su tutti punti: democrazia, antimilitarismo, problema del Tibet... Questa forza di carattere la deve allo stesso regime che lo ha condannato, con metodi da dittatura del proletariato, a riflettere da autodidatta.

E' stato Mao Zetung a far nascere in politica Wej. Nel dicembre 1966, mentre la Cina è data in pasto alle Guardie Rosse lanciate nella rivoluzione culturale, Wej e altri figli di quadri del regime si raccolgono in un movimento, Il comitato d'azione unita delle guardie rosse della Capitale, deciso a lottare contro i dirigenti dalle tendenze estremiste riuniti attorno a Jiang Qing, sposa di Mao, egeria dell'ondata che minaccia di travolgere il sistema. Questi adolescenti - Wej ha sedici anni - s'offrono il lusso di prendere d'assalto la cittadella della polizia politicae di distruggervi una parte degli archivi segreti raccolti sui loro familiari. L'episodio testimonia l'esistenza, tra le guardie rosse, affascinanti nel loro insieme, di tendenze prodemocratiche in rivolta contro il sistema repressivo. Smantellate le organizzazioni delle guardie rosse alla ripresa del potere da parte dell'esercito, Wej, come milioni di altre persone, e spedito alla campagna. Vi scopre la miseria e le ondate di carestia degli ann

i 60, provocate dagli errori del regime. Ne conclude che il miracolo economico vantato dalla propaganda è frutto di finzione e ne trae delle conclusioni definitive sui meriti del comunismo. Tornato in città, trova lavoro come elettricista allo zoo di Pechino. Ma Wej non è un Lech Walesa: riflette, legge molto, ma non pensa all'azione sindacale indipendente nell'ambiente operaio. Preferisce essere polemista. Partecipa, a distanza, al primo motto antigovernativo che scoppia sulla piazza Tienanmen il 5 aprile 1976, con Mao ancora in vita. Due anni dopo la morte di quest'ultimo appare, nei pressi di uno dei principali incroci della capitale, il Muro della Democrazia: un angolo di muro dove sono affissi i tazebao della contestazione democratica, brevemente autorizzata ad esprimersi da un Deng Xiaoping che sfrutta il movimento per sbarazzarsi degli avversari politici maoisti. Il 5 dicembre 1978 affigge il testo che lo renderà celebre, La Quinta Modernizzazione, dove sviluppa l'idea che il progresso economico del p

aese (le "quattro modernizzazioni" che esalta il regime) deve passare attraverso la democratizzazione del sistema, mancando la quale il popolo non ne beneficierà assolutamente. Fonda una rivista, Esplorazioni, stampata su una pessima carta pagata a caro prezzo e distribuita al pubblico del Muro. Wej vi denuncia con eloquenza la detenzione per motivi politici, la miseria di una parte della popolazione, le origini politiche della delinquenza giovanile, la vendita di bambini per le strade di Pechino. Scopre contemporaneamente un problema che comincia a conoscere grazie alla sua compagna d'allora, una tibetana: la repressione sul tetto del Mondo. L'idea che vi si sia prodotta una forma primaria di colonialismo sarà ripresa da un segretario generale del Partito Comunista, che ne perderà il posto. Ben presto Wej si trova in rotta di collisione con Deng Xiaoping il quale, prese saldamente in mano le redini del regime, sta per suonare il rientro all'ordine. Wej s'oppone all'attacco cinese alle limitrofe provincie vi

etnamite, lanciato a metà aprile 1979. Denuncia il nuovo despotismo dell'uomo-guida dell'era post-maoista. E' arrestato il 29 marzo e sparisce nel gulag cinese dopo un processo detto falsamente pubblico dal regime, che si accontenta di rendere pubblica una foto di Wej, cranio rasato, mentre legge lui stesso la propria difesa. Il potere non aveva previsto che le sue dichiarazioni sarebbero state registrate da un dissidente infiltrato tre le guardie. Rese note all'esterno, queste dichiarazioni mostreranno Wej rigettare calmamente le accuse mosse contro di lui, così come la natura controrivoluzionaria dei suoi scritti (questi ultimi, come le dichiarazioni di Wej Jingsheng sono state per l'appunto pubblicate in Francese in "Un bol de nids d'hirondelles ne fait pas le printemps de Pékin" (Biblothèque asiatique, Christian Bourgois éditeur, 1980). Si rimprovera inoltre al dissidente di avere trasmesso a dei giornalisti stranieri dei segreti militari; si tratta in realtà di informazioni non ufficiali, largamente dif

fuse, sulle operazioni in Vietnam. Altri dissidenti perderanno la loro libertà per essersi schierati dalla parte di Wej o per aver contribuito a farne conoscere le dichiarazioni. Da allora circolano rumori allarmisti sulla sua sorte. Lo si dice pazzo. Si ostina a rifiutare il pentimento, mentre il sistema carcerario tenta di farlo a pezzi. Durante i primi due anni di detenzione a Pechino, viene relegato in una cella sotterranea, priva di luce. In seguito le cosi migliorano relativamente. Verso la fine, racconterà, godevo di un certo rispetto da parte dei guardiani dei campi dei lavori forzati. Il fatto d'aver rifiutato di riconoscere il mio errore mi ha aiutato presso di loro: ero il prigioniero personale di Deng Xiaoping. Quando chiede della carta per scrivere al Patriarca - meno per lamentarsi della propria condizione che per tentare di far passare delle idee politiche contestatrici - gli viene data soddisfazione. In occidente, in particolar modo in Francia, Wej diviene il simbolo cinese della lotta per i

diritti dell'uomo. A tal punto che, nel settembre 1993, sei mesi prima della fine della sua pena, viene finalmente liberato. Con tale gesto - che fu probabilmente difficile da ammettere per Deng - Pechino pensa di aggiudicarsi i giochi olimpici per l'anno 2000. Il ricordo dei fatti sanguinosi di Tienanmen, del 1989, spinge il CIO a decidere diversamente. Dal momento della sua scarcerazione Wej riprende la propria libertà di parola, mentre è teoricamente privato dei diritti politici. Meno polemicamente di prima, forse con più riflessione, Wej ritiene di dover orientare la propria azione più vicino alle realtà, di interessarsi, per esempio, alle rivendicazioni operaie, ai movimenti di protesta contro le condizioni degli sfavoriti, dei vessati dal sistema, e di parlargli di democrazia partendo da esperienze concrete. Per qualche mese sembra godere di alte protezioni. Crede di avere strappato la promessa di poter parlare liberamente ai giornali stranieri poiché si è dichiarato d'accordo con il regime per il rico

noscimento di Pechino come città olimpica e per aver invitato gli Stati Uniti a non utilizzare la questione dei diritti dell'uomo per colpire con tasse le esportazioni cinesi. Ma Washington commette una gaffe: John Shattuck, incaricato dei diritti dell'uomo al dipartimento di Stato, lo incontra a Pechino ancor prima di essersi intrattenuto con il suo ospite ufficiale, il ministro degli esteri Qian Qichen. Inoltre il Comitato Olimpico Internazionale preferisce Sidney a Pechino per l'organizzazione dei Giochi. Le relazioni tra Pechino e gli stati Uniti vanno deteriorandosi. Il primo aprile 1994 Wej Jingsheng viene nuovamente arrestato, assieme alla sua compagna Tong Yi, un'ex studentessa che aveva preso parte al movimento di Tenanmen nel 1989. Questa volte il regime inaugura una nuova strategia. In un primo tempo Wej non è processato. Il dissidente e Tong Yi spariscono semplicemente. Persino le loro famiglie ne perdono le tracce. Si sospetta che Pechino voglia convincerlo a scegliere l'esilio. In precedenza, a

veva già scartato questa ipotesi. Cosa farò ora? Continuerò a interpellare il regime. Non so fare altro: esso mi ha condannato alla dissidenza e il mio posto è in Cina, ci aveva detto prima del suo arresto. Infine, il 13 dicembre 1995 Wej è condotto davanti alla Corte. Il processo va per le spiccie. Il tribunale è sordo agli argomenti che Wei stesso e i suoi avvocati svolgono per smentire la tesi della Procura secondo la quale stava complottando per rovesciare il governo. Viene condannato a quindici anni di prigione. Tale simulacro di giustizia non rivela soltanto la volontà del regime di obbediread un formalismo giudiziario. Tende a confermare che alcune forze, minoritarie, spingono per una liberalizzazione moderata del sistema utilizzando - ancora una volta, secondo un metodo provato - questa figura emblematica. Altrimenti la famiglia non avrebbe avuto il piacere di poter ricorrere in appello, la prima volta invano subito dopo la sentenza, la seconda volta il 1 di febbraio. Ne quello di contattare delle or

ganizzazioni per la difesa dei diritti dell'uomo negli Stati Uniti, dove Wej Jingsheng è stato proposto per la prima volta, l'anno scorso, per il Premio Nobel della Pace. Tanto meno quello di inquietarsi pubblicamente per il suo stato di salute dopo sedici anni di detenzione in condizioni estremamente dure - si dice che gli venga negato un fornello elettrico che gli è indispensabile per cuocere gli alimenti dopo la perdita di tutti i denti. Indebolitesi le articolazioni a causa del freddo umido della cella lasciata nel 1993 (seguirà ben presto un caldo soffocante), l'ospite molto speciale della prigione numero uno di Tangshan aspetta che un po' di sollievo si profili di nuovo nel trattamento dei prigionieri politici dell'ultimo grande paese che ancora guarda a Lenin. Medita certamente all'amara ironia della sua situazione, dopo i suoi sforzi di moderazione sostenuti durante il breve passaggio in semi-libertà.

 
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