(La Repubblica, 26 luglio 1996)ATLANTA (c.s.) - Diciotto schermidori della nazionale più altri azzurri dell'atletica dovevano entrare oggi nel braccio della morte del penitenziario di Jackson, a sessanta miglia da Atlanta, per portare solidarietà umana a più di 100 condannati in attesa dell'esecuzione: ma il direttore del carcere ha negato il permesso, la visita non era gradita. E' probabile che il rifiuto sia una reazione per motivi di sicurezza dopo la caduta del Jumbo della Twa.
L'idea era stata dell'associazione "Nessuno tocchi Caino" che si batte per l'abolizione della pena di morte nel mondo. Aveva contattato alcuni atleti, la risposta più convinta ed entusiasta era arrivata proprio dagli schermidori, con Angelo Mazzoni e Diana Bianchedi in testa. »Era un'azione che avremmo fatto volentieri dice la fiorettista azzurra. »La pena di morte è una barbarie, applicata proprio dall'America che si vanta di essere il paese della democrazia e dei diritti dell'individuo . Oltre alla massiccia adesione degli schermidori c'era stata quella di Laurent Ottoz, della Curatolo, di Bettiol, dei marciatori. Avevano dato il loro appoggio anche Mennea e Sara Simeoni, attualmente in Italia, più Chechi e Velasco, impossibilitati però a recarsi in carcere perché impegnati nelle gare. La data del 26 non aveva nulla di simbolico: era solo il giorno prima della partenza per l'Italia della squadra di scherma. "Nessuno tocchi Caino" aveva pensato anche a una soluzione alternativa, nel carcere di Angola, in
Louisiana: ma il direttore era in ferie fino al 29.
L'obiettivo dell'iniziativa non sarebbero stati gli Usa bensì le Nazioni Unite, alle quali gli abolizionisti chiedono una moratoria delle esecuzioni capitali. Per questo motivo "Nessuno tocchi Caino" aveva rinunciato a qualsiasi azione provocatoria negli stadi o nel villaggio, come striscioni, manifestazioni nei campi di gara o in altre situazioni dei Giochi. »Dovevano essere le Olimpiadi ad andare nel braccio della morte e non viceversa dicono all'associazione.