di Olivier Dupuis (*)
in "Actualités Tibétaines", Parigi, Settembre 1996
Dharamsala, Agosto 1996. Se si dovesse riassumere in due parole la visita che ho effettuato con la Commissaria europea Emma Bonino presso la sede del governo tibetano in esilio, la migliore definizione sarebbe quella di "visita di Stato", tanto tutto fu organizzato con massima cura nei minimi dettagli. Ma tale definizione non farebbe onore a qualcosa di ancor più significativo che ci ha accompagnato senza sosta nel corso di quei giorni: la percezione di una calorosa simpatia tanto intensa quanto diffusa.
Giusto una sola immagine emblematica è forse sufficiente a rendere in parole l'idea dell'emozione provata anche in diversi altri singoli episodi: duecento giovani, allineati sui due lati della strada che loro stessi hanno costruito, ci hanno accolto con protratti e calorosi saluti "Tashi Delek", scomparendo poi in batter d'occhio per raggiungere le loro aule di studio. Tutto è ordinato e pulito, ma gli edifici sono ancora di latta. Calda è l'estate, e freddo l'inverno. Oh, che stridente contrasto con il "Tibetan Children Village" che ho un po' maliziosamente consigliato agli amici del overno di non far troppo conoscere agli stranieri, talmente il successo ne è evidente ovunque, e soprattutto sui volti dei bambini e degli adolescenti. Ovviamente restano da fare tante cose: manca lo spazio, mancano i letti... E la medesima constatazione allo stabilimento di produzione di farmaci tibetani: un'impressionante cocktail di organizzazione, tradizione e modernità. E all'ospedale, alla biblioteca dove sono "religiosam
ente" conservati i manoscritti strappati uno ad uno da sicura distruzione ed il cui incerto viaggio dal Tibet occupato fino a Dharamsala è di volta in volta una storia che di per sé meriterebbe un nuovo libro per raccontarla.
Nel tardo pomeriggio arrivammo al Centro Norbu Linka: altro luogo e paesaggio, situato a pochi chilometri da Dharamsala nel mezzo delle risiere, dove voltando le spalle alle montagne s'innalza un tempio circoscritto da casermoni e qui, sotto l'occhio attento di veri maestri, 250 ragazzi di dedicano all'apprendistato di mestieri e tradizioni secolari. Trattasi di arte o di artigianato ? Ferraiolo, falegname, confezionista di "Tankas", abiti, ricami, o statuette... Tutto in questo centro è fatto con cura: niente si risparmia per fare bene qualcosa che "resti qui quando ritorneremo in Tibet". Un segno di gratitudine verso il popolo dell'India che li ha cosi' cosi' generosamewnte accolti.
Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze. La situazione dei rifugiati tibetani in India è tutt'altro che idilliaca. Certo, il governo ha fatto grandi cose partendo quasi da zero: ha assicurato servizi fondamentali come in primo luogo l'istruzione, la sanità e - da ultimo ma non meno importante -, la conservazione dell'eredità culturale tibetana. Ma se pure la gran parte delle famiglie tibetane vivono decorosamente, i loro mezzi di sussistenza restano comunque molto limitati, raramente oltrepassando il livello minimo di povertà. A cio' si aggiunga da qualche tempo un serio problema di disoccupazione, dovuto tanto al naturale aumento demografico ed al livello d'istruzione progressivamente sempre più elevato, quanto alla continua ondata di rifugiati: un problema che oggigiorno riguarda circa il 18% della popolazione e che costituisce la priorità del governo tibetano. Dal che se ne adduce l'importanza delle nuove linee di credito della Unione europea per i rifugiati tibetani. Intanto è arrivato settemb
re e sono cominciate le grandi manovre autunnali al Parlamento europeo, ed è una minaccia ben tangibile che queste linee di credito possano divenire vittime dei tagli di bilancio del Consiglio europeo. Dovremo quindi battagliare duramente per consentire la messa in opera dei progetti diretti a creare al più presto possibile una piena autosufficienza della comunità tibetana nel suo insieme.
I monsoni non si smentiscono: è sotto una specie di diluvio universale che raggiungiamo la residenza del Dalai Lama, e col suo grande ed inconfondibile sorriso ci mostra le fotografie della conferenza stampa sugli incontri con il Presidente della repubblica italiana ed il Primo ministro (conferenza stampa del Dalai Lama tenutasi con Marco Pannella ed Emma Bonino a Roma nel 1994). Che fare della nonviolenza, del dialogo, della libertà per il Tibet? Ci si butta in una discussione diretta e profonda. Inutili i preliminari: il Dalai Lama accoglie con entusiasmo l'idea che da tempo coltiviamo con Samdhong Rimpoche di passare progressivamente, per tramite di concrete iniziative nonviolente, alla fase di preparazione del Satyagraha per la libertà del Tibet. E riflettiamo insieme sugli obiettivi di questo primo digiuno di dialogo, Sua Santità insistendo sul dialogo, la nonviolenza, il rilascio del Panchen Lama e la libertà per Wei Jingsheng: due simboli al tempo stesso differenti eppure cosi' simili per il futuro de
i popoli tibetano e cinese, e dell'intera umanità. Quindi è deciso che si faranno tre giorni di digiuno dal 29 settembre al 2 ottobre, anniversario della nascita di Ghandi. L'ora dell'offerta della katas è arrivata. Ultime foto e ultimi sorrisi...
Più tardi, durante le cene offerte dapprima dal governo ed in seguito nelle lunghe discussioni con lo stesso Ministro degli Affari esteri, Tashi Wangdi, e il Segretario di Stato per l'Informazione, Tempa Tsering, abbiamo ri-discusso queste iniziative e quelle deliberate a Bonn nel giugno ultimo scorso. Abbiamo riflettuto insieme sui migliori modi di renderle effettive: il grande appuntamento a Ginevra del 9 e 10 marzo 1997 dove doremmo trovarci in almeno 10mila se non 15mila; l'obiettivo di 3mila sindaci per la nuova campagna "Una bandiera per il Tibet"; e quello di 2mila firme sull'appello al Segretario generale delle Nazioni unite per l'iniziazione di negoziazioni sino-tibetane; la campagna per l'assegnazione del premio Nobel a Wei Jingsheng... Insomma, cosi' come non mancano i problemi, mi pare proprio che parallelamente non difetti il nostro impegno, come del resto abbiamo dimostrato di saper fare... E peraltro non dubito che potremo lavorare insieme con l'obiettivo comune della libertà del Tibet e della
democrazia in Cina. Intanto non c'è tempo da perdere: presto ci aspetta il 2 ottobre.
(*) Segretario generale del Partito Radicale, deputato al Parlamento europeo.