Dal "Manifesto", mercoledì 11 settembre 1996
pag. 19
di Benedetto Vecchi
Vita dura per i naviganti del cyberspazio che salpano dal paese di Deng Tsiao Ping. Già alcuni mesi fa il governo di Pechino aveva imposto ai possessori di un computer e di un modem di presentarsi al più vicino commissariato di polizia per denunciare l'uso delle due macchine. Nei giorni scorsi il Ministero delle Poste e delle telecomunicazioni ha chiuso cento siti lnternet perché ospitavano forum di discussione e giornali elettronici < non graditi >. E' stata per prima l'ambasciata americana a segnalare la chiusura dei siti Internet, dopo che alcuni uomini di affari statunitensi si erano lamentati perché non riuscivano a trovare più sul loro video i giornali elettronici o le newsletter del cuore. Subito dopo è arrivata la conferma delle autorità di Pechino, che hanno motivato il provvedimento di chiusura con un generico richiamo ai tentativi di < inquinamento intellettuale da parte dell'Occidente >. La censura del governo cinese ha colpito i siti che diffondevano le edizioni elettroniche del Los Angeles Tim
e, il Wall Street Journal, la Washington Post e i notiziari della Cnn e di Voice of America. Fin qui tutto < normale > , date le ricorrenti campagne governative cinesi contro il ricordato < inquinamento
occidentale >. E < normali >, cioè scontate sono le motivazioni che hanno portato alla censura dei siti che parlavano della repressione in Tibet o che discutevano sulla violazione dei diritti umani nel regno di Deng Tsiao Ping. In Cina l'uso di Internet è molto recente e coincide, più o meno, con la istituzione delle
regioni < speciali >. Non è infatti un mistero che la posta elettronica è uno dei mezzi di comunicazione delle imprese più usato. E non è un mistero che nelle < regioni speciali > il governo cinese ha permesso ai colossi giapponesi e americani delle telecomunicazioni di investire ingenti capitali per le infrastrutture telematiche. Tuttavia, finora è sempre stato il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni a garantire l'accesso alla madre di tutte le reti. Soltanto che l'uso di Internet era appannaggio degli uomini d'affari o delle università. Anzi, proprio le università avevano chiesto e ottenuto dal governo centrale di riaprire i canali di comunicazione con l'estero dopo che erano stati chiusi in seguito ai < fatti di Tienanmen >. Ma è stato solo con l'istituzione delle regioni speciali che l'uso personale del computer è stato reso possibile. Attualmente, la stima è di oltre cinquecentomila personal computer allacciati a Internet. Un numero molto basso in rapporto con la popolazione, ma destinato comunq
ue a crescere. Il governo di Pechino ha sempre tenuto a precisare che gli affari sono affari e che Internet va bene se serve a scambiare informazioni commerciali. Ma se la madre di tutte le reti è usata per moltiplicare le fonti di informazione allora scatta la censura. E il Ministero delle poste e telecomunicazioni, dopo aver imposto cinque regole di < buon > comportamento in rete che gli utenti devono sottoscrivere se vogliono accedere a Internet, è così solerte a legiferare sui comportamenti in rete che ha già annunciato per il prossimo febbraio una legge contro la pornografia, gli attentati alla sicurezza statale e i comportamenti anomali in rete. Va però segnalato che anche altri governi del lontano Oriente si dilettano a censurare le comunicazioni telematiche, come quello di Singapore, Malaysia e Thailandia, mentre le autorità di Taiwan rendono difficile l'accesso a Internet mantenendo alti i costi di allaccio. Fin qui sembrerebbe la conferma del carattere autoritario del modo di produzione asiatico.
Tuttavia anche alcuni paesi europei non scherzano per quanto riguarda la regolamentazione dei comportamenti in rete. E infatti di pochi giorni fa la notizia che il governo tedesco ha oscurato i siti del libertario Xs4all perché diffondeva i materiali di una rivista tedesca Radikal chiusa dalle autorità di Bonn perché considerata vicina a generici gruppi terroristici.