Perugia, 26 settembre 1996.Nota introduttiva.
Nello scorso mese di febbraio, (il giorno 17), insieme ad altre associazioni, gruppi politici e singoli cittadini, impegnati da anni in comuni campagne di difesa dei diritti umani ovunque siano violati, abbiamo manifestato davanti al Palazzo dei Priori, per chiedere al Comune di Perugia e ad altre istituzioni umbre di acquistare una bandiera Tibetana e di farla sventolare sui pennoni delle nostre istituzioni locali il successivo 10 marzo, anniversario della sollevazione nonviolenta di Lhasa, (capitale del Tibet), del 1959.
L'iniziativa di far sventolare la bandiera del Tibet in quella data, voleva essere un modo altamente simbolico non solo per ricordare quell'evento, ma per sostenere la lunga battaglia per la libertà condotta, con i metodi della nonviolenza, dal popolo Tibetano, visto per di più che in Tibet quella bandiera è vietato esporla, pena molti anni di carcere
Nel rivolgere un appello al sindaci e ai presidenti delle istituzioni locali, avevamo sottolineato, con forza, che sarebbe stato grave, se da Perugia, Città della pace, e dagli altri enti locali della nostra Regione, non fosse arrivata una adesione massiccia a quella iniziativa, promossa a livello transnazionale, dal Partito radicale, insieme alla Associazione Italia-Tibet, all'Intergruppo sul Tibet del Parlamento Europeo, alle Comunità tibetane in Europa, ed altre. Iniziativa a cui avevano già risposto positivamente molte centinaia di istituzioni municipali di ogni parte del mondo.
Per delle ragioni francamente risibili, e sulle quali preferiamo sorvolare per non alimentare ancora polemiche, il Comune di Perugia ed altri enti locali hanno ritenuto di non acquistare e di non esporre la bandiera Tibetana, (che, per nostra iniziativa, si è comunque innalzata sul cielo della Città).
Ci è francamente dispiaciuto, che la Città di Aldo Capitini, non abbia avuto in quella occasione, la forza di compiere quel gesto simbolico, nonviolento, che avrebbe accomunato, almeno per quel giorno, realtà lontane geograficamente, ma vicinissime per valori, sentimenti, metodi di lotta sociale e politica.
Diceva Capitini "La nonviolenza non è cosa che riguarda soltanto i gusti e le situazioni degli individui; anzi essa allaccia ed unisce la gente, affratella moltitudini, e bisogna vederla proprio in questa sua virtù, senza logorarsi troppo nella minuta casistica (...) C'è ben altro: c'è la grande prassi dell'unire le masse con il metodo della nonviolenza, portarle ad essere una forza anche se sono fisicamente fragili. (...) La nonviolenza non è inerzia, inattività, lasciar fare; anzi essa è attività, e appunto perché non aspetta di avere armi decisive, cerca di moltiplicare le iniziative e i rapporti con gli altri, e sa bene che si può sempre fare qualcosa, se non altro trovare degli amici, dare la parola, l'affetto, l'esempio il sacrificio; e tante volte accade che i rivoluzionari, gli oppositori che contano solo sulle armi, se non le hanno stanno inerti, e sono sorpassati dai più forti, mentre i nonviolenti, lavorando instancabilmente, hanno tolto il terreno ai potenti, hanno preparato il cambiamento." (1)
Oggi siamo più che mai convinti, che la battaglia del popolo Tibetano, così come quelle di tutti i popoli oppressi, deve essere battaglia comune a tutte le persone e i popoli liberi, proprio perché condotta col metodo nonviolento.
Ed è per questo che ci proponiamo di operare, ed opereremo, insieme a chi ha aderito alla iniziativa odierna, ed ad altri che siamo certi seguiranno, perché Perugia, l'Umbria, divengano per la campagna "Libertà per il Tibet", un punto di riferimento, un luogo di dibattito e di iniziativa politica, come scriveva Aldo Capitini: "... a tessere solidarietà, cooperazione, assistenza, a promuovere campagne nel mondo circostante..." a promuovere " la Internazionale della nonviolenza, per collegamenti ed interventi organici dove occorrano". (2)
In questo spirito, ci auguriamo, naturalmente di riuscire a ritrovare anche con il Comune di Perugia comunanza di obiettivi.
Negli scorsi decenni, seguendo proprio gli insegnamenti di Aldo Capitini, a Perugia, in Umbria, si è dimostrato, (cominciando con la I· Marcia della Pace Perugia - Assisi del 1961, e con quelle che sono seguite dopo la sua morte), che singole persone, piccoli gruppi, possono mobilitare le moltitudini, e insieme lottare per il superamento di barriere ideologiche, culturali, religiose, per affermare il diritto dei popoli di ogni parte del mondo alla pace, alla democrazia, alla libertà.
Perugia e l'Umbria, nei difficili anni della guerra fredda, sono stati luoghi di incontro di persone, associazioni, esponenti politici, uomini di governo di ogni provenienza geografica, il che ha contribuito a far germogliare il seme della comprensione, del dialogo tra popoli che dopo la seconda guerra mondiale si erano ritrovati collocati in opposti schieramenti ideologici e militari.
Le grandi marce della pace, i convegni internazionali, le altre iniziative, hanno dimostrato come il sentire delle genti andava nella direzione del superamento delle barriere ideologiche e statuali, per affermare ovunque libertà e democrazia, ad est come ad ovest, a nord come a sud.
Ma con la fine della guerra fredda, se è venuto meno il pericolo immediato di una ecatombe nucleare, e quindi in questo senso lo sforzo dei popoli e dei movimenti che hanno lottato contro la guerra è stato ripagato, non sono certo state risolte tutte le questioni internazionali legate alla pace ed alla convivenza pacifica tra gli stati e tra i popoli.
Il ritorno della democrazia in molti stati dell'ex impero sovietico, la fine dell'apartheid in Sud Africa, la nascita dello Stato palestinese, sono stati fatti di grande rilievo sulla scena internazionale, perché hanno testimoniato che è possibile mutare di segno realtà fortemente negative, ritenute, a torto, immutabili.
Ma immense tragedie come quelle della ex Iugoslavia, del Ruanda, della Somalia, della Cecenia, del Kuwait, del popolo Curdo, il massacro degli studenti dissidenti cinesi di piazza T'ien-an Men, e gli altri che non citiamo ma non dimentichiamo, sono stati da un lato una dura lezione, per quanti ritenevano, ingenuamente, che il nuovo ordine mondiale fosse, di per sé, in grado di creare, in ogni area geografica, le condizioni per una convivenza pacifica tra gli stati e tra i popoli, e dall'altro, un monito per i movimenti che lottano per la pace e per il rispetto dei diritti umani, a non abbassare la guardia, a considerare tutt'altro che esaurito il loro compito.
Ed anzi, l'esplodere dell'odio etnico, il riacutizzarsi delle guerre di religione, i crescenti flussi migratori di popoli poveri verso quelli ricchi, il riesplodere di fenomeni di razzismo, sono sintomi che dovrebbero allarmare anche paesi come il nostro, sia per la particolare posizione geografica, sia per le peculiari vicende socio politiche.
Molte, troppe sono le aree del mondo dominate ancora dalla guerra, dalle dittature, dalla fame e dal sottosviluppo: e non è retorica dire che non ci sarà pace nel mondo, né sviluppo duraturo, finché tutti i popoli non avranno assicurate almeno condizioni elementari di democrazia, libertà, benessere.
***
In questo quadro la battaglia per il Tibet libero assume un valore emblematico.
Nel 1949 il Tibet è stato invaso dalle armate della Repubblica Popolare Cinese. Ne è seguita una occupazione di una ferocia senza nome, fatta di massacri, di torture, di imprigionamenti di massa, di sterilizzazioni e aborti forzati, di distruzione del patrimonio culturale, religioso ed ecologico.
I Tibetani hanno opposto una resistenza accanita, pagandola a duro prezzo: fino ad oggi, in seguito della occupazione Cinese, oltre 1.200.000 Tibetani hanno perso la vita.
Di fronte all'irriducibile rifiuto dei Tibetani di sottomettersi al volere del Governo di Pechino, i Cinesi hanno elaborato e messo all'opera nel corso degli anni '80, una "soluzione finale" di tipo nuovo: la "pulizia etnica" per diluizione.
E' stato così avviato un gigantesco trasferimento di popolazioni cinesi verso il Tibet. Da alcune migliaia che erano, i Cinesi abitanti nel Tibet sono diventati oggi sette milioni. E i Tibetani sono già ora - nel loro Paese - una minoranza. L'obiettivo della potenza occupante è quello di insediare oltre 40 milioni di Cinesi in Tibet per il 2000.
Tra poco dunque, la lingua, la cultura, la religione, i costumi, le tradizioni tibetane saranno relegati definitivamente ai libri di storia.
E' urgente dunque che in ogni parte del mondo milioni di uomini, di donne si uniscano sotto il segno della nonviolenza in una concreta ed attiva iniziativa perché il Tibet possa riscoprire la libertà e siano garantiti il pieno rispetto dei diritti della persona, dei diritti civili e politici dei Tibetani.
Occorre che dall'Umbria si levi a favore del Tibet una voce amica, che si costruisca un movimento locale che faccia proprio l'obbiettivo di liberare il Tibet dalla occupazione Cinese, intraprendendo ogni sforzo, in consonanza con chi è già impegnato a livello nazionale e transnazionale in questa direzione, per sensibilizzare i cittadini, i popoli e per ottenere che i governi e le istituzioni internazionali facciano quanto è in loro potere.
Riteniamo che la questione tibetana, anche per le profonde implicazioni culturali e religiose connesse, debba diventare dunque questione umbra; che occorra far crescere, in primo luogo nelle scuole, sui posti di lavoro, e, ovviamente nelle istituzioni, la consapevolezza che se il popolo della nonviolenza, il popolo Tibetano, è sconfitto in Tibet, la nonviolenza, anche come strumento di lotta politica e sociale, subirà un grave danno, e torneranno ad aver voce quanti ritenevano che la risposta violenta, la guerra, sia l'unica strada che può essere percorsa per liberasi dagli oppressori, quanti ritengono che il fine giustifichi i mezzi, e non come sostengono i nonviolenti, che i mezzi prefigurino i fini.
Per sostenere concretamente la campagna a favore del Tibet libero proponiamo che:
1 - venga indetto un ampio ventaglio di iniziative per far conoscere la drammatica realtà del Tibet oggi, che culmini in una nuova edizione della Marcia della pace Perugia - Assisi, per il Tibet libero e per libertà di tutti i popoli ancora oppressi;
2 - si inviti il Dalai Lama a Perugia e lo si investa della cittadinanza onoraria;
3 - si dia luogo ad un gemellaggio tra l'Umbria e il Tibet, invitando allo scopo i legittimi rappresenti del governo in esilio.
per il "Comitato Umbria per il Tibet"
Mario Albi
Note:
(1) A. Capitini, Le tecniche della Nonviolenza, ed. Feltrinelli, Milano, 1967, pp. 30 e 31
(2) A. Capitini, op. cit..., p. 33
ed. Feltrinelli, Milano, 1967, pa