17 ottobre 1996 - pag.10CINA, ITALIA AL RECUPERO
Dini punta sui rapporti economici e sfuma sui dissidenti
di Maurizio Caprara
Seul - Al sesto giorno di visita in oriente è spuntata fuori la grana dei dissidenti. Tra Pechino, Nanchino e Shangai, Lamberto Dini era riuscito a soffermarsi il meno possibile sul problema delle libertà compresse in Cina. Tutto il suo viaggio era andato essenzialmente sui binari dei rapporti economici italo-cinesi da migliorare. A tratti poteva sembrare che lo accompagnasse i vecchio cartello dei barbieri con scritto: "qui non si parla di politica". Ma poi la questione dei dissidenti è stata posta al Ministro degli Esteri italiano dal governatore di Hong Kong, il conservatore inglese Chris Patten.
In vista della riunificazione con la Repubblica Popolare fissata al primo luglio 1997, la colonia britannica ha qualche decina di cinesi considerati sovversivi dal governo di Li Peng alle quali trovare una sistemazione diversa dai campi di lavoro. Prima di partire da Hong Kong per Seul, in Corea del Sud, Dini si è sentito chiedere da Patten una mano. "Ho dato naturalmente la disponibilità, sulla base delle nostre leggi circa l'asilo politico, ad accogliere alcuni di questi dissidenti", ha riferito il ministro ai giornalisti. Per non irritare le autorità di Pechino ha sottolineato che 107 dei cinesi nei guai sono stati accolti negli USA, 17 in Francia, altri in Inghilterra e Canada. Poi ha sottolineato: "L'aspettativa nostra, come è stata quella del governo degli Stati Uniti, anche se non è un requirement preciso, è che non svolgano attività politica diretta una volta accolti in Italia, come in Francia o negli Stati Uniti". Parigi, per la verità, non ha preteso silenzi particolari persino dai terroristi o dag
li autonomi italiani scappati lì negli anni ottanta. E malgrado Dini si impegni ad affrontare la questione secondo "la nostra tradizione di difesa dell'individuo", valutazioni così circospette forse irriteranno settori dell'Ulivo come i verdi o piccole formazioni come i radicali (i quali erano già critici per non aver ottenuto un colloquio sulla richiesta "di chiusura dei Laogai, i campi di lavoro").
Sebbene sia vero, come ha affermato il ministro, che le principali preoccupazioni della colonia inglese riguardino il suo futuro status economico e legislativo, negli ultimi giorni i diritti umani si sono imposti anche all'attenzione di questa sorta di affollata città-banca. Era in rilievo sulla stampa di ieri la notizia che la Repubblica Popolare, tramite il portavoce degli Esteri Shen Guofang, ha attaccato il governo di Hong Kong e gli USA accusandoli di incoraggiare espatri illegali dalla Cina. Il portavoce ha ricordato che da luglio i dissidenti potranno uscire soltanto se espulsi e ha richiamato "tutti gli stati e i governi" al rispetto delle leggi.
All'origine dell'altolà è la fuga di Wang Xizhe, ex operaio di 46 anni d'età, 17 dei quali passati tra galera e campi di rieducazione. Coautore d'un manifesto con la richiesta di impeachment per il presidente Jiang Zemin, Wang aveva raggiunto clandestinamente Hong Kong la settimana scorsa. Prima di allontanarsi aveva dato il suo saluto al padre paralizzato servendogli da mangiare e radendogli la barba, come aveva fatto tre anni fa, con tutt'altro stato d'animo, appena rilasciato. E da Hong Kong l'operaio che contestò la rivoluzione culturale è arrivato in California. Quando gli è stato domandato se con Patten avesse parlato delle future libertà politiche, Dini ha risposto: "Beh, non mi pare che questa fosse la principale preoccupazione". Degli interlocutori non è dato sapere con più precisione, sue no di certo. L'impostazione del ministro si basa sul presupposto che in Cina le libertà economiche dovrebbero trascinare prima o poi quelle politiche. In questi giorni ha citato con diligenza il IX piano quinquenn
ale e elogiato spesso la capacità dei dirigenti cinesi di governare i cambiamenti "nella stabiltà". Lodi su lodi, basso profilo sulle questioni spinose. Non che gli atteggiamenti degli altri stati europei siano di gran lunga diversi. Ma dietro il tatto diniano c'è il molto spazio già occupato sul mercato cinese dai nostri concorrenti. Tale da spingere il ministro, vicino a Shangai, a sospirare: "Credo che la lamentela di essere stati troppo assenti sia stata giustificata".