Conferenza sulla situazione della pena di morte nella Confederazione degli Stati IndipendentiMosca, 23 - 24 Novembre 1996
Relazione di Sergio D'Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino
Voglio innanzitutto ringraziare le istituzioni e le associazioni che hanno voluto promuovere e organizzare con noi, Nessuno tocchi Caino, questa conferenza.
Un ringraziamento va alla Commissione diritti umani del Parlamento e alla Commissione per la Grazia presso la Presidenza della Federazione russa, co-promotori di questa conferenza, e ai loro prestigiosi componenti che, in questi anni, in una situazione difficile e piena di pericoli, di minacce e di vere e proprie aggressioni alle loro persone, hanno compensato il rigore della legge con il loro senso di umanità, in modo tale da impedire che la ragione dello Stato e la dura legge della giustizia facessero più vittime di quanto ve ne siano state.
Un grazie anche a Memorial e al suo co-Presidente, Sergei Kovalev, punto di riferimento, anche per chi non vive in questo paese, per chi lotta perché almeno una fiammella del diritto e dei diritti umani non si spenga neanche nei momenti più drammatici della vita di un paese.
Ringrazio anche il Partito radicale transnazionale e i compagni della sede di Mosca, Nikolaj e gli altri, che conducono con noi la campagna abolizionista e che hanno costituito qui a Mosca la struttura organizzativa della conferenza.
Un grazie va, poi, alla Commissione dell'Unione Europea che, con un finanziamento ad hoc, ha contribuito notevolmente alla realizzazione di questa conferenza, che è la seconda che avviene dopo quella fatta a Tunisi l'anno scorso sulla pena di morte nel mondo arabo (alla fine di questa conferenza, i partecipanti hanno concluso che non esistono nei fondamenti della cultura e nelle legislazioni dei Paesi arabi ostacoli insormontabili per l'abolizione della pena di morte in quel mondo); mentre una terza conferenza la faremo a New York l'anno prossimo: sono tutte conferenze preparatorie di una grande scadenza alle Nazioni Unite sulla moratoria delle esecuzioni capitali.
Un grazie, infine, ma soprattutto, agli ospiti, ai relatori e ai partecipanti a questa conferenza. Forse, è la prima volta che una conferenza sulla pena di morte si svolge in quello che fino a qualche tempo qualcuno ha definito l'"Impero del Male". Anche per questo la sfida di questa conferenza è interessante, la posta in gioco alta: penso, ad esempio, alla lezione di civiltà giuridica, di tolleranza, di nonviolenza che può giungere da questo mondo, dall'Impero del Male, agli Stati Uniti...
Nella Confederazione degli Stati Indipendenti, ci sono già alcuni Paesi che hanno abolito la pena di morte oppure l'hanno sospesa, ci sono di sicuro nella Confederazione organismi o associazioni che sono abolizionisti, ma, che io sappia, una conferenza con tanti rappresentanti provenienti dalle Repubbliche ex-sovietiche, per l'abolizione della pena di morte, è la prima volta che avviene. Questo è un fatto importante che da solo già fa il successo di questa conferenza. Un saluto va quindi ai militanti abolizionisti e per i diritti umani, agli eletti nei Parlamenti, ai giuristi, agli intellettuali, riuniti qui a Mosca. Alcuni di essi, un tempo, sono stati vittime di regimi autoritari, altri forse li hanno condivisi, tutti comunque sono, oggi, artefici del riscatto del proprio paese e, credo, della parte migliore della sua storia.
Noi siamo consapevoli delle difficoltà che ci aspettano e che si prospettano anche in questa conferenza. Molti Paesi della Confederazione degli Stati Indipendenti "giustiziano" i propri cittadini, e sono molti i cittadini di questi Paesi che chiedono di mantenere o di rintrodurre la pena capitale. Non vogliamo per questo mettere fuori legge gli uni o criminalizzare gli altri. Non siamo venuti a dire ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Siamo qui per discutere senza presunzione di verità e senza pregiudizi culturali, né potremmo averli, e per una ragione molto semplice: perché le idee di nonviolenza, i principi fondamentali del diritto e gli stessi argomenti contro la pena di morte che ci animano, li abbiamo trovati anche qui, li abbiamo colti in alcuni testi universali della vostra tradizione letteraria. Le idee di nonviolenza, il no alla pena di morte, che noi condividiamo sono anche quelli dei vostri padri, di Tolstoi e di Dostoevskji.
"Il condannato, un uomo di mezza età, intelligente, coraggioso, forte, si chiamava Legros. Vi dico, potete credermi o non credermi, mentre saliva sul patibolo, piangeva ed era pallido come un cencio. Non è forse una cosa che sembra impossibile? Non è forse un orrore? Piangere di paura! Non credevo che un uomo adulto, non un bambino, potesse piangere di paura, un uomo che prima non aveva mai pianto, un uomo di quarantacinque anni. Che cosa provava in quel momento la sua anima? Che spasimi la stringevano? E' una violazione dell'anima umana, nient'altro! E' detto: 'Non uccidere', e invece, perché lui ha ucciso, altri uccidono lui. No, è una cosa che non dovrebbe esserci... La pena di morte che danno per un assassinio è un castigo sproporzionatamente grave. Un assassinio legale è cento volte più terribile d'un assassinio brigantesco."
Dopo aver letto le parole di Dostoevskji, che aveva lui stesso fronteggiato un plotone di esecuzione e ne era scampato all'ultimo momento, per quanto mi riguarda, sulla pena di morte, non ci sarebbe altro da dire. L'orrore di vedere un uomo piangere di paura, il percepire il dolore della sua anima, per me sono "argomenti" che mi fanno dire un no definitivo alla pena di morte.
Un no alla sofferenza, al dolore che potrei dire anche con le parole di Mariateresa Di Lascia, scrittrice, che non è più con noi e che io voglio ricordare: Mariateresa ha fondato Nessuno tocchi Caino e sarebbe stata molto contenta di essere qui con noi oggi, nella terra di Tolstoi e Dostoevskji. "Bisogna essere molto ciechi per aggiungere nuove sofferenze all'eredità di dolore lasciata da chi è passato prima di noi", è questa una piccola frase di Mariateresa tratta dal suo romanzo uscito dopo la sua morte: sono parole definitive che possono valere anche per noi, per la pena di morte che vogliamo abolire, perché sia interrotta quella catena del dolore e della vendetta che imprigiona chi è convinto che "chi ha ucciso deve essere ucciso".
Dirò invece un'altra cosa, che può sembrare una bestemmia, da abolizionista convinto quale sono, ma è giusto dirla qui, in un paese dove ha una sua attualità. La violenza omicida della criminalità organizzata e del terrorismo che hanno caratterizzato altre società stanno entrando anche in questa, e ne minano le basi della sicurezza. A questo proposito, voglio ricordare un altro compagno, Andrea Tamburi, che era venuto a Mosca per lottare contro la pena di morte, contro il militarismo, ed è stato ucciso.
Di fronte a questa insicurezza, all'illegalità e all'impunità che colpisce questo Paese, non sono stati pochi i casi in cui si è risposto non con la pena di morte ma con la giustizia sommaria, non con le esecuzioni legali ad opera dei tribunali ma con le esecuzioni extragiudiziali ad opera di squadroni della morte.
Con questo, non voglio dire che in Russia ci sia un nesso tra tentativi di abolire la pena di morte e alcuni fenomeni di giustizia privata e sommaria (se così fosse, non avrei dubbi su quale sistema scegliere, starei comunque dalla parte di un sistema fondato sulle regole dello Stato di diritto, anche se una di queste regole è la pena di morte, perché un sistema senza regole, senza diritto alla difesa, senza processo, senza appello, è ancora peggio, e comporta non solo esecuzioni sommarie ma anche più esecuzioni legali).
Con questo, non voglio dire neanche che la pena di morte sia un sistema efficace di lotta alla criminalità. Anzi, nell'uno e nell'altro caso, penso il contrario: nei paesi dove operano gruppi illegali e clandestini che si fanno giustizia da sè, spesso vige anche la pena di morte legale e pubblica, e si fa ricorso ora all'uno ora all'altro metodo; mentre, nei sistemi fondati sullo Stato di diritto, la pena di morte pure esistente è spesso un simulacro che copre inefficienze e complicità nella lotta alla criminalità.
Voglio dire solo che il nostro no di principio alla pena di morte deve fare i conti, da un lato, con la gravità e la profondità del male che c'è nella nostra società, le stragi, il terrorismo, dall'altro, con la realtà spesso criminale dei vari modi di farsi giustizia da sè. E che, nell'uno e nell'altro caso, alla petizione di principio contro la pena di morte - ideologica e inconcludente - preferisco la certezza e la puntualità di piccoli passi sulla via del diritto e della legge. La battaglia per l'abolizione della pena di morte in Russia e negli altri Paesi della CSI dove più pesante è l'emergenza criminale mi pare sia anche quella per conquistare alla giustizia, alla certezza del diritto e ai vincoli della legge sempre più nuovo terreno, togliendolo alla terra di nessuno dei processi sommari e degli squadroni della morte.
La risposta alla criminalità, l'alternativa alla giustizia privata, stanno nel "tribunale" e nel "processo", che sono i luoghi simbolici della vera giustizia, della vera sicurezza, della vera deterrenza. Non dico nulla di nuovo da questo punto di vista: il "processo" è nato come risposta al delitto, ma anche come risposta al linciaggio e alle forche erette dalla giustizia popolare, e ha rappresentato una evoluzione in termini di diritto e di garanzie dell'imputato.
Ancora oggi, senza "tribunale" e senza "processo" non solo non vi può essere risposta all'emergenza criminale e al problema della giustizia privata, non vi può essere nemmeno alternativa alla pena di morte. E questo vale non solo laddove la pena di morte viene comminata in assenza delle più elementari regole di garanzia del diritto e del processo, dove la sua applicazione è direttamente proporzionale all'assenza di norme di diritto positivo, di procedura penale, il diritto alla difesa e a più gradi di giudizio. Questo vale anche, soprattutto, se vogliamo vincere la battaglia per l'abolizione della pena di morte nei Paesi che ancora la praticano.
Per questo Nessuno tocchi Caino, sin dalla sua nascita, si è impegnato contemporaneamente sul fronte abolizionista e su quello per la istituzione del Tribunale internazionale per i crimini contro l'umanità, sostenendo l'iniziativa del Partito radicale, il principale artefice dell'istituzione dei Tribunali per i crimini nell'ex-Jugoslavia e in Ruanda. Che crimini efferati commessi contri i diritti umani dovranno essere perseguiti e puniti è la premessa per rivendicare sia il rifiuto della vendetta privata sia il rigetto della pena capitale.
Il fatto, poi, che sia gli statuti dei tribunali per la ex-Jugoslavia e per il Ruanda, sia quello del Tribunale internazionale permanente escludano in ogni caso il ricorso alla pena di morte, non solo è la dimostrazione che senza questi primi segmenti di giurisdizione internazionale non vi potrà essere vera pace e vera giustizia nel mondo, è anche la riprova che senza questi fondamenti di giurisdizione internazionale, senza questo diritto codificato e senza la forza necessaria, "armata", per farlo valere e rispettare, non vi potrà essere neanche l'abolizione della pena di morte.
Il fatto che per il genocidio, per la pulizia etnica, per le torture e le fosse comuni, Stati Uniti, la Cina, la Russia insieme ad altri Paesi che siedono nel Consiglio di Sicurezza, hanno deciso un tribunale senza pena di morte, è un fatto importante. Dopo quella decisione, non è più accettabile che la pena di morte sia prevista, all'interno degli Stati Uniti, della Cina e della Russia, per reati infinitamente meno gravi.
La via internazionale, dei tribunali internazionali, ma anche del diritto internazionale, dei patti e delle istituzioni internazionali, è la via maestra della nostra campagna abolizionista.
Il diritto internazionale innanzitutto. Il diritto a non essere uccisi a seguito di una sentenza o di una misura giudiziaria, non è ancora considerato un diritto umano. Non è sufficiente il riferimento alla Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo per dire: "aboliamo la pena di morte". Lì è affermato il diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza della persona, ma c'è anche scritto: per questo viene abolita la schiavitù, per questo viene interdetta la tortura. Allo stesso modo, è necessario che sia scritto, sia aggiunto: per questo è abolita la pena di morte. E' necessario che gli Stati concordino su questo, dopo di ché possiamo dire di aver conquistato un nuovo diritto umano, che l'umanità è andata avanti, che è stata guadagnata una nuova soglia di inviolabilità dell'essere umano, così come è avvenuto per l'abolizione della schiavitù, come è avvenuto per l'interdizione della tortura.
E i patti internazionali. Per molti Paesi è difficile abolire la pena di morte: alcuni devono fare i conti al proprio interno con tradizioni millenarie e profondamente radicate convinzioni religiose dei propri cittadini; altri, stretti nella morsa del terrorismo e dei sondaggi d'opinione, non vorrebbero rinunciare al valore simbolico di una pena dura ed esemplare. L'adesione ai patti, ai protocolli aggiuntivi e alle Risoluzioni dell'Onu, che limitano la pena di morte o impegnano gli Stati contraenti ad abolirla, può essere la strada più opportuna. Ad esempio, quando l'anno scorso siamo andati a Tunisi per la Conferenza sulla pena di morte nel mondo arabo, il Presidente del Parlamento e il ministro della Giustizia tunisini che abbiamo incontrato hanno molto chiaramente indicato nell'adesione ai Patti e ai Protocolli aggiuntivi una possibile strategia abolizionista nel loro Paese.
Infine, le istituzioni internazionali. Sono molte migliaia i condannati nel mondo che attendono nei bracci della morte di essere uccisi. 95 su 194 Paesi o territori che fanno parte della Comunità internazionale applicano ancora oggi la pena di morte. Come non possiamo salvare dalla sedia elettrica o dalla forca un condannato alla volta, ma occorre ed è più facile salvarli tutti, così non possiamo convincere all'abolizionismo uno Stato alla volta, ed occorre ed è più facile convincerli tutti. Le Nazioni Unite e gli altri organismi sovranazionali sono i luoghi deputati di questa salvezza e di questo convincimento.
Nel 1994, per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite, una risoluzione sulla moratoria, presentata dal governo italiano e firmata da altri 49 Paesi, fu discussa in Assemblea Generale e battuta per solo otto voti. Molti Paesi della Confederazione degli Stati Indipendenti, allora, si astennero nel voto finale. Noi ci vogliamo riprovare presentando questa volta la proposta di moratoria nella Commissione dell'Onu sui diritti umani di Ginevra, che è il massimo organo politico delle Nazioni Unite competente per i diritti umani. La Commissione si riunisce nella primavera del 1977, ed è possibile l'adozione di un testo per consenso. Quindi, una volta approvata in quella sede, il passaggio nella successiva Assemblea Generale (settembre-dicembre 1997) sarebbe ormai certo.
L'Italia ha già espresso l'impegno a portare a Ginevra una proposta di moratoria, lo ha fatto anche recentemente con una mozione i cui contenuti verranno esposti dalla una delegazione ufficiale del Senato che l'ha approvata presente qui ai nostri lavori. Tra gli sponsors dell'iniziativa alle Nazioni Unite potremmo avere poi Canada, Spagna, Brasile, Sudafrica, Tunisia e altri Paesi dell'Unione Europea. Uno degli obiettivi di questa Conferenza è avere anche alcuni Paesi della ex-Urss, dalla Moldova all'Ucraina e alla Russia, che in questa area sono i Paesi che o hanno abolito o si sono impegnati ad abolire la pena di morte.
Negli ultimi anni, abbiamo registrato un trend abolizionista nella Comunità internazionale: per la prima volta, i Paesi abolizionisti di diritto o di fatto, insieme a quelli che la prevedono solo per reati eccezionali, sono diventati la maggioranza. Questo trend positivo è stato possibile grazie anche alla politica di importanti istituzioni internazionali - come il Parlamento Europeo, il Parlamento Latino-americano, l'Assemblea paritaria ACP/UE e il Consiglio d'Europa - le quali hanno approvato risoluzioni che riconoscono nella moratoria delle esecuzioni il passaggio politico e giuridico necessario per arrivare all'abolizione. In particolare il Consiglio d'Europa ha condizionato l'ammissione di nuovi Paesi, quali l'Albania, la Macedonia, la Moldova, la Russia e l'Ucraina all'adozione subito di una moratoria delle esecuzioni capitali e all'abolizione entro tre anni. Tutti questi Paesi hanno accettato tali condizioni, e si sono impegnati a rispettarle.
Certo, noi sappiamo che una conquista di diritto non è mai detta una volta per sempre, che occorre ogni volta difendere o riaffermare quel diritto e vigilare sulla sua applicazione. Noi, infatti, non nascondiamo di essere molto preoccupati, e siamo qui anche per questo, per il fatto che, dopo otto mesi dall'ingresso nel Consiglio d'Europa, le autorità russe non solo non hanno ancora preso alcun provvedimento legislativo sull'introduzione della moratoria, esse, anzi, hanno ripreso ad eseguire condanne a morte non rispettando così la moratoria a cui si erano impegnati con il Consiglio d'Europa. Sono circa 50 le esecuzioni che ci risultano siano state effettuate dal 28 febbraio 1996, quando la Russia è stata ammessa al Consiglio d'Europa. Allora, questa conferenza ha senso se oltre ad essere il luogo della riflessione e della testimonianza è anche il luogo della verità e della rendicontazione.
Certo, la situazione è difficile, e può sembrare un lusso, di fronte alle gravi difficoltà del nostro tempo e delle nostre società, non solo di questo Paese, di fronte alla guerra che abbiamo ai nostri confini o alle guerre civili che dilaniano la nostra terra, di fronte allo sterminio per fame che avviene in terre lontane, occuparsi invece di pena di morte. Ma il lusso dell'abolizione della pena di morte, se ce lo permettiamo, ci concede la necessità di affermare subito altri diritti fondamentali. L'abolizione della pena di morte è un filo che tirandolo si porta dietro altre importanti questioni. In questo senso, quella che stiamo per svolgere è anche, forse, più che sulla pena di morte, una conferenza sul diritto internazionale, sui diritti umani, sulla giustizia e sulla nonviolenza. Buon lavoro.