UNA REGIONE INDOMITA: URANIO, PETROLIO, VOGLIA DI LIBERTA' E ARMI AFGHANE
di Marco Del Corona
(Il Corriere della Sera, 11 febbraio 1997)
E' la Cina più lontana dalla Cina. I versetti del Corano, nel Xinjiang, hanno contato sempre più del Buddha, del "tao", degli slogan rivoluzionari. E ora, mentre il regime di Pechino abbraccia una modernizzazione sempre più spinta e sempre più competitiva, l'immensa provincia nordoccidentale moltiplica i segnali di un'irrequietezza che si è fatta aperta minaccia al potere centrale. Nel Xinjiang si concentra una dozzina di minoranze etniche: predominano gli uiguri, popolazione musulmana sunnita di ceppo turco. A seconda delle stime, il numero degli uiguri presenti in Xinjiang oscilla tra 6 e 12, comunque in maggioranza sui cinesi Han insediati sul territorio (soprattutto a nord), specialmente grazie all'invio massiccio di "coloni". Come in Tibet.
Il canto dei muezzin non ha mai smesso di accompagnare le aspirazioni autonomiste di una regione nevralgica, ricca di petrolio e uranio, che fu attraversata dalla Via della Seta e confinante con il Pakistan, l'Afghanistan, le repubbliche asiatiche ex sovietiche, la Mongolia. I primi moti islamici infiammarono il Xinjiang nella seconda metà del secolo scorso, poi la regione passò a diversi "signori della guerra". Che quest'estrema frontiera fosse tanto decisiva strategicamente quanto infida lo sapeva Mao Zedong. Che quando parlava di "grandi religioni della Cina" non menzionava l'Islam ma nel '38 spedì il fratello Mao Zemin come consulente economico del leader locale Sheng Shizai, inizialmente attratto dal marxiste. Poi Sheng cambiò idea, scatenò purghe anticomuniste eliminando lo stesso Mao Zemin.
Nel caos della guerra civile, il kazako Osman guidò una rivolta di uiguri, mongoli e kazaki che si concluse con la creazione di una repubblica indipendente filosovietica, l'effimero Turkestan Orientale. E lo stato maggiore di una lega islamica anticinese del Xinjiang scomparve in un misterioso incidente aereo nel '49, mentre si recava a Pechino per colloqui con la neonata Repubblica Popolare.
Negli anni seguenti la tensione in Xinjiang rimase alta, la frontiera con l'Urss è stata fattore di ulteriore instabilità, mentre la costruzione della ferrovia fino a Ürümqi favorì l'afflusso di cinesi. Per placare i futuri separatisti Pechino attribuì al Xinjiang lo status di Regione Autonoma, di fatto assai poco autonoma. Altro elemento che rende "particolare" l'area: il poligono nucleare di Lop Nor si trova proprio nel deserto del Xinjiang.
Tra i separatisti uiguri nazionalismo e tendenze islamiste si intrecciano, e le gradazioni diverse dell'una o dell'altra tendenza caratterizzano i diversi gruppi, tra i quali si segnalano la "Scintilla della patria" e "Tigri di Lop Nor". Benché nel confinante Kazakhstan gli uiguri siano circa 200 mila, il governo di Alma Ata, che ha stretti legami con Pechino, si guarda bene dal fomentare la ribellione: "Siamo contro ogni separatismo e, nello specifico, contro tendenze scissioniste in Cina", disse già nel '94 il ministro degli Esteri kazakho, Tokayev. Sapeva di cosa parlava: nel 1990 scontri tra guerriglieri islamici, dotati di armi provenienti dall'Afghanistan, si erano scontrati con le truppe cinesi, diversi i morti sui due fronti. Vittime anche nel maggio '96, in altri scontri.
Esuli uiguri, soprattutto in Turchia, Arabia Saudita e Germania sostengono i gruppi del Xinjiang. Il Fronte nazionale unito rivoluzionario, invece, ha sede in Kazakhstan. "La nostra tragedia - spiegò un intellettuale uiguro - è che siamo sempre stati divisi. Non abbiamo un leader, come invece accade in Tibet, né appoggi internazionali. I cinesi possono fare di noi quel che vogliono".