intervista a Francesco Cossiga di Gian Antonio Stella
(Sette, supplemento del Corriere della Sera, 13 febbraio 1997)
'Kossiga come Kabir Bedi: ce puzzeno li piedi'. Vent'anni e un millennio dopo, l'allora ministro degli Interni Francesco Cossiga ride quando ricorda i più spassoso degli slogan che in quel dannato '77 tracciavano sui muri di tutta l'Italia: "E su, confessi! Confessi che l'ha scritto anche lei! Non mi verrà a dire che è l'unico della sua generazione a non aver mai scritto Kossiga con la kappa! Il mio amico prefetto Mosino ne fece addirittura una collezione fotografica. Si chiamava 'Kossiga Spray'. Non c'è mica niente di male, tutti l'hanno scritto almeno una volta. Vuol vedere?". Si volta verso la porta: "Signora!". Ancora: "Signora! Vero o no che pure lei ha scritto Kossiga con la kappa?". Vero o no, la signora annuisce: "Sì, signor presidente". Gongola: "Visto? Tutti".
Ci vuol poco, però, a spazzar via l'attimo di buonumore. Basta ricordare insieme, oltre alla goliardia violenta e caciarona degli Indiano Metropolitani, con Cavallo Pazzo che convocava i giornalisti per fingere un suicidio in diretta ("Mejo stecchito pe' n'overdose d'ero che condannato a 'sta vitaccia 'nfame") facendosi una pera di zucchero vanigliato, le tappe che segnarono quell'anno, aperto dalla contestazione alla Sapienza di Luciano Lama, segnato da scontri di piazza, occupazioni e agguati, chiuso dal convegno bolognese degli ultrà di sinistra e dall'uccisione del vicedirettore della 'Stampa' Carlo Casalegno. Gli attentati furono 2.128 (sei al giorno, mille in più dell'anno prima), le persone assassinate 13, quelle gambizzate 34, tra le quali Indro Montanelli. Numero dei 'terroristi' arrestati o denunciati 113.
"Piano coi 'terroristi'. Rileggendoli ora, quei dati, e considerando che sono state sei o settemila le persone finite in carcere per periodi più o meno lunghi, va ricordato che aveva ragione Moro: ci trovavamo davanti a un grosso scoppio di eversione. Non di terrorismo. Il terrorismo ha una matrice anarchica che punta sul valore dimostrativo di un attentato o di una strage. L'eversione di sinistra non ha mai fatto stragi. Ci trovavamo davanti a una sovversione. A un fenomeno politico. A un capitolo della storia politica del Paese".
D. Allora non avevano tutti i torti, quelli delle Br, a rifiutare il marchio di terroristi.
R. Su questo avevano ragione.
D. Ma voi non gli avete mai voluto riconoscere lo 'status' dio partito armato.
R. Ci mancherebbe. E facemmo bene.
D. Quindi non lo erano, un partito armato?
R. Mettiamolo così: facemmo bene a non dar loro questo riconoscimento. Ma comincio a pensare che lo fossero davvero. E il primo a capirlo, ripeto, fu Moro.
D. Allora tutti i torti non li avevano neanche Sciascia e gli altri che dicevano 'né con lo Stato né con le Br'?
R. Avevano capito che era un fenomeno legittimo. Era una posizione comprensibile. Giustificabile sul piano politico.
D. Lei però...
R. Ah, no! Io ero lì a fare il ministro dell'Interno. ho tirato una linea: o di qua o di là.
D. E Sciascia era di là.
R. Certo. Di là.
D. Come cambiò, quell'anno, la sua vita?
R. L'escalation di violenza incise profondissimamente nella mia vita. Pensi che non l'usai mai, ma avevo perfino delle 'safe houses', case sicure, in Inghilterra e in America, da utilizzare in caso di bisogno. Vivevo a Monte Mario, in un posto isolato. Circondato da reparti mobili di polizia.
D. I suoi figli?
R. Chi ha più sofferto sono stati loro. Non avevamo capito certe cose, pensavamo che potessero essere colpite anche le famiglie e così i ragazzini, che facevano le medie, sono cresciuti sotto la protezione degli agenti. La nostra vita era totalmente assorbita da questo problema.
D. Il momento che ricorda più nitidamente?
R. Con grande sofferenza l'uccisione di Giorgiana Masi.
D. Cioè la ragazza uccisa dalla polizia durante la manifestazione dei radicali.
R. Sì. Avevamo deciso di vietare per un mese tutte le manifestazioni a Roma. Non se ne poteva più. Decisi dopo essere stato oggetto di una durissima contestazione al comitato interministeriale per la sicurezza a Palazzo Chigi.
D. Da parte di chi?
R. Il portavoce della protesta era Franco Evangelisti. Ma erano in tanti a pensarla come lui. Il divieto riguardava tutte le manifestazioni. Tanto che il sindacato, lo ricordo per dargliene atto, accettò di non celebrare il 1· Maggio. Ci fu da parte di tutti un grande senso di responsabilità.
D. Solo che Pannella...
R. Avevo forti preoccupazioni per quella manifestazione dei radicali. Me la sentivo, che poteva finir male. I radicali, a differenza dei sindacati o del Pci, non avevano un servizio d'ordine forte in grado di respingere le provocazioni. Cercai di convincere il mio amico Marco a rinunciarci. Non ci fu niente da fare.
D. E tutto andò storto.
R. Sì. Tra i radicali si infiltrarono gli autonomi, ci furono degli scontri... Così andò. C'era un clima di violenza così diffusa che alla gente pareva quasi normale che tanti girassero armati. Mi ricordo una volta che spararono a un dirigente della Dc milanese. Andai all'ospedale a visitarlo, trovai il reparto presidiato dalla polizia e seppi che gli infermieri che badavano al gambizzato, per precauzione, erano stati scelti tra i dirigenti della Cgil. A un certo punto mi portarono via in tutta fretta...
D. Perché?
R. Mi spiegarono che a venti metri da dove stavamo era in corso un'assemblea del personale ospedaliero dove quelli delle Brigate Rosse parlavano e distribuivano volantini.
D. Insomma: diffusa era la violenza, diffusa la cecità?
R. All'inizio la sinistra tradizionale aveva rifiutato l'ipotesi che le Br fossero rosse. Respinto l'idea degli opposti estremismi. Teorizzato che la violenza non poteva provenire che da destra. Ricorda? Le 'brigate cosiddette rosse'... Nel '77 già si cominciava a capire, però...
D. Però?
R. Ricordo il povero Casalegno. Altro episodio che mi segnò. Ero a Torino e la mattina mi raggiunsero, per colazione, lui e Arrigo Levi. Restammo d'accordo che non era il caso che io facessi un'intervista ma se Casalegno avesse voluto tradurre la nostra conversazione in un articolo... Così fece. E fu quell'articolo a spingere le Br, il giorno dopo, a ucciderlo.
D. Cosa diceva?
R. Adesso non ricordo esattamente. So che in quell'occasione la Rai mi chiese: da dove nasce questo terrorismo? Risposi: da una lettura antistorica del marxismo leninismo coniugata con una forma di utopismo cristiano. Tornato a Roma fui tempestato dalle proteste di Botteghe Oscure.
D. Compreso Enrico Berlinguer?
R. Non sentii lui. Ma venne Tatò a rimproverarmi. Era un rifiuto intellettuale: la sinistra che aveva riportato la democrazia non poteva... Poi, per carità, l'appoggio nella lotta all'eversione non fu mai fatto mancare. Ma ancora in quella fase...
D. Cioè tre mesi prima del sequestro di Aldo Moro...
R. Ancora in quella fase discorsi come il mio davano fastidio. Comunque non passò una settimana che il Pci torinese, nel quale militava Giuliano Ferrara, disse le stesse cose. Fu lì l'inizio del 'ritratto di famiglia'.
D. Quanta gente pensava di avere di fronte?
R. Credo che il fenomeno nel suo insieme, non parlo solo ovviamente dei militanti del 'partito armato', possa aver interessato un milione di persone.
D. Addirittura?
R. Parlo del 'movimento', dell'impasto informe di quelli che un giorno ti attraversano Roma sfasciando tutto, degli autonomi, dei gruppuscoli, di tutti... Non eravamo attrezzati ad affrontare un assalto così. Anni dopo sa cosa mi disse Prospero Gallinari? Disse: avete sbagliato tutto perché non avete capito che eravamo davvero tanti, che godevamo di molte solidarietà, che nelle fabbriche e nei grandi movimenti tutti ci conoscevano. E non parlavano. Invece che i reparti speciali sarebbero stati più utili i poliziotti di quartiere.
D. E così, 20 anni dopo, l''odiato Kossiga' è per l'amnistia.
R. Sì, perché non avevamo a che fare con criminali comuni. Quello (e dentro questo c'è anche il caso Sofri) fu un periodo storico. E se accettiamo l'idea che si trattò di un fenomeno storico collegato alle condizioni culturali e politiche del Paese occorre essere coerenti. L'amnistia non è il perdono. E' uno strumento politico. Come la grazia. Quindi...
D. Quindi?
R. Non vuol dire accettare quello che è stato fatto. Ma chiudere politicamente un periodo storico. Mica Togliatti era diventato fascista quando decise di chiudere quegli anni di scontro civile con l'amnistia. E invece, quanta confusione tra grazia e perdono, amnistia e riconoscimento!
D. Sbaglio o quella generazione del Kossiga con la 'k' le piace più di quelle cresciute con la Nutella e la Carrà?
R. Storicamente, se prende un ragazzo spedito dalla famiglia in Svizzera durante la guerra civile e un altro andato in montagna coi partigiani o arruolatosi in un'impresa disperata come quella repubblichina (lasciamo stare i torturatori...) probabilmente domani è un cittadino migliore questo che non quello che stava al calduccio. Quella del '68 e del '77 è stata una generazione di militanti. E anch'io sono un militante. Dovremmo fare un club dei militanti.
D. Dove potreste stare insieme, lei e Gallinari?
R. Certo. Io e Gallinari.