"IO, DALAI LAMA, AVEVO SPERATO IN LUI"
Il Dalai Lama, Nobel per la Pace e leader spirituale dei tibetani in esilio dal 1959, quando la Cina invase il Paese delle nevi, ha detto che la morte di Deng è una "grave perdita" per il suo popolo. Deng, ha dichiarato, "era capo di un sistema totalitario". E "anche se personalmente avrebbe voluto fare qualcosa di buono, il sistema stesso imponeva le scelte". Questo che pubblichiamo è l'estratto di una lettera spedita dal Dalai Lama a Pechino su Deng e i rapporti tra Cina e Tibet.
Nel 1979 Deng Xiaoping invitò il mio fratello maggiore Gyalo Thondup a Pechino e gli disse che - a parte la questione della totale inidpendenza del Tibet - il resto poteva essere discusso e i problemi risolti. Deng offrì a Thondup di metterci in contatto, autorizzando l'invio di una nostra commissione d'inchiesta in Tibet. Questo ci fece sperare in una soluzione pacifica dei contrasti, e predisponemmo l'invio della delgazione.
Il 23 marzo dell'81 scrissi quindi una lettera a Deng, nella quale dicevo: "Le tre commissioni d'inchiesta hanno potuto constatare gli aspetti sia positivi che negativi della situazione in Tibet. Se l'identità del popolo tibetano fosse stata davvero felice, non avremmo avuto raggione di lamentarci. Ma in realtà, oltre il 90 per cento dei tibetani hanno dichiarato di trovarsi in una condizione di sofferenza, mentale e fisica. Questa situazione non è stata provocata da disastri naturali, ma dagli uomini. Grandi sforzi devono ancora essere fatti, tenedno conto delle condizioni reali.
Per questo dobbiamo aumentare le ralazioni tra Cina e Tibet, così come tra i tibetani e il mondo esterno. e come fondamento della nostra azione dobbiamo tentare di sviluppare l'amicizia tra i nostri due popoli con una migliore comprensione reciproca. Da parte mia, manterrò l'impegno di contribuire all'assistenza di tutti gli esseri umani e, in particolare, i poveri e i deboli, al meglio della mia abilità, senza fare distinzioni in base all'appartenenza nazionale. Spero che lei mi faccia sapere il suo punto di vista in proposito" Non ci fu nessuna replica alla mia lettera. Invece, nel giugno '81 il segretario generale Hu Yaobang consegnò a Gyalo Thondup un documento intitolato "Cinque punti politici nei confronti del Dalai Lama". Ne fummo sorpresi e delusi. I dirigenti cinesi hanno scelto di ignorare queste nostre intenzioni, riducendo la questione al caso del mio personale status e alle condizioni per il mio ritorno".
Noonostante tutto, continuavo a sperare nel motto di Deng "cercando la verità dai fatti" e nella sua politica di liberazzazione. Ho anche continuato a spedire delegazioni in Tibet, in Cina e ovunque fosse opportuno spiegare il nostro punto di vista per promuovere la discussione e il dialogo. Come inizialmente suggerii a Deng, avrei voluto inviare insegnanti tibetani dall'India per accrescere l'educazione della mia gente in Tibet. Ma il governe cinese non accettò mai questa richiesta. Furono autorizzate quattro commissioni d'inchiesta in Tibet e due delegazioni a Pechino, e si permisero le visite tra alcuni tibetani e le loro famiglie in esilio. Ma questi gradini non portarono a nessun sostanziale progresso per rigidità della posizione dei cinesi che, io credo, non ha riflettuto la politica di Deng.
(...) Ma è venuto il tempo perchè i cinesi mostrino la strada che permetterà a Tibet e Cina di convivere in pace. Io ho fiducia nella lungimiranza e saggessa dei leader cinesi e spero che prenderanno in considerazione i cambiamenti politici e la necessità di risolvere i problemi pacificamente, favorendo una genuina e concreta amicizia tra i nostri due popoli.
Dalai Lama