Alì Babà e le quaranta lingue
Le lingue non ufficiali sono parlate da cinquanta milioni di cittadini europei.
Il loro stato di salute in un rapporto della Commissione di Bruxelles
JOSEP PLAYA MASET, LA VANGUARDIA, SPAGNA
Quelli che fantasticano di una sola lingua europea possono continuare a sognare. I 370 milioni di abitanti dell'Unione europea parlano quotidianamente una quarantina di lingue autoctone, senza contare i molti dialetti. Poiché i Quindici riconoscono solo 11 lingue ufficiali, circa 50 milioni di europei parlano una lingua cosiddetta minoritaria. Fra gli idiomi regionali, alcuni rischiano di scomparire, come dimostra ~, un rapporto ordinato a un gruppo di esperti dalla Commissione di Bruxelles. Quello delle lingue europee è stato anche uno dei temi dibattuti a Expolangues, il salone delle lingue vive che si è svolto alla Grande Halle della Villette, a Parigi, dal 29 gennaio al 2 febbraio 1997.
BARCELLONA, 3 FEBBRAIO 1997
L' Europa è un mosaico di culture. Solo nell'Unione europea, si contano più di quaranta lingue, ma non tutte avranno lo stesso destino nel prossimo millennio (1). Un rapporto ordinato dalla Commissione di Bruxelles (intitolato Produzione c riproduzione dei gruppi linguistici minoritari dell'Ue) dimostra che almeno 22 lingue minoritarie sono in netto declino, o addirittura in pericolo di morte. E' il caso del bretone e del sardo, per esempio, che sono in via di esaurimento malgrado la loro lunga storia. Altre lingue minoritarie, in compenso, godono di ottima salute, anche se non hanno uno Stato che le protegge. Fra queste, il catalano figura in buona posizione. "Abbiamo molto incoraggiato le lingue in Spagna in questi ultimi anni , ricorda Miquel Strubell, uno dei redattori del rapporto, responsabile peraltro della politica linguistica della Generalità di Catalogna. In Belgio e in Svizzera, che possiedono piu lingue ufficiali, si dedica molta attenzione alla politica linguistica. Invece, in Francia, in Ital
ia e in Grecia non solo le lingue minoritarie tendono a scomparire, ma non ricevono quasi nessun aiuto ufficiale. Strubell cita il sardo come esempio di lingua in pericolo. "Vent'anni fa era parlato da un milione di persone. Ma oggi non viene più tramandato. I genitori non l'hanno trasmesso ai loro figli. Senza contare il ruolo svolto da certi fattori ideologici. Di conseguenza, il suo futuro e molto compromesso". Lo studio commissionato da Bruxelles è stato avviato prima dell'ingresso dell'Austria, della Svezia e della Finlandia e verte dunque sull'Europa dei Dodici. Analizza la situazione di 48 lingue minoritarie limitandosi alle entità linguistiche autoctone quelle che si identificano con un territorio particolare , il che esclude di fatto le lingue delle comunità ebraiche e zigane. Basato sui pochi dati disponibili e su una serie di interviste, il rapporto assegna un voto a ogni entità linguistica in funzione di criteri quali il peso della comunità, della famiglia, dell'insegnamento, il prestigio della
lingua, la legittimazione del suo impiego, il suo grado di istituzionalizzazione e l'importanza della cultura. Per rendere l'analisi più puntuale, sono state operate delle distinzioni sulla base del territorio su cui sono impiantate. Per esempio, è stata studiata separatamente la situazione del catalano parlato nei Pirenei orientali (Francia), in Catalogna, nella Generalità di Valencia, nelle isole Baleari, in Aragona e in Sardegna. I risultati ottenuti in ogni zona sono molto diversi. La classifica elaborata in questo studio distingue quattro grandi insiemi di lingue in funzione della loro attuale vitalità. Nel primo compaiono il tedesco parlato nella comunità germanofona del Belgio, il lussemburghese (lingua ufficiale del Lussemburgo, mentre il francese è la lingua amministrativa), il catalano (solo in Catalogna) e il tedesco parlato in una piccola zona dell'Italia del Nord. Due di queste quattro lingue corrispondono alle lingue di uno Stato limitrofo. Il complesso seguente è formato da sette entità lingui
stiche anch'esse in progresso. Quattro di esse appartengono alla Spagna, il che conferma che la transizione democratica e lo sviluppo delle autonomie regionali hanno attribuito un ruolo preponderante alle lingue minoritarie. Anche il gallese rientra in questa categoria. Il terzo insieme è quello dei gruppi come l'irlandese, il friulano (in Italia), il basco in Navarra o il sorabo (lingua slava parlata in Lusazia, a est della Germania) che godono di una situazione stabile. In compenso, l'avvenire si annuncia un po' più cupo per le lingue dell'ultimo gruppo, come il corso, il bretone, l'occitano e il sardo, che peraltro hanno alle spalle una lunga storia.(K.P.)
I bilingui riescono a distinguere più presto la differenza tra parole e concetti
Bilinguismo: dall'idiozia all'intelligenza
Il bilinguismo è all origine di uno degli errori più coriacei della storia delle scienze umane. Fino
all' inizio degli anni Sessanta i ricercatori erano quasi unanimi nell 'ammettere che gli individui bilingui presentavano un ritardo intellettuale basandosi sui risultati scolastici e sui test effettuati sui bambini "bilingui". Da qui a concludere che il bilinguismo fosse causa di idiozia la distanza era breve e spesso è stata superata ricorda Die Zeit. Ma gli studi compiuti avevano una particolarità: i bambini testati definiti "bilingui" provenivano in realtà da famiglie immigrate arrivate da poco sul continente americano e non erano ancora completamente padroni dell' inglese. Sono stati due ricercatori canadesi Elisabeth Peal e Wallace Lambert a riabilitare il bilinguismo in uno studio condotto a Montreal nel 1962 sui bambini bilingui francofoni anglofoni. Questa volta i risultati ottenuti non erano quelli che ci si aspettava, al contrario: paragonata ai monolingui della stessa età la popolazione dei bilingui ha riportato dei punteggi persino leggermente superiori nei test destinati a misurare il Qi. Oggi
molti punti sono ancora da chiarire particolarmente in merito all 'organizzazione delle lingue nel cervello e al concomitante processo di apprendimento di due lingue: a partire da quale momento il bambino sa di avere a che fare con due lingue? La ricerca su questi punti è difficile soprattutto perché il vero bilinguismo è estremamente raro. In realtà la diglossia è la situazione più diffusa: le due lingue non sono padroneggiate allo stesso modo e chi parla le usa in funzione dei diversi registri affettivo sociale... E attraverso lo status sociale conferito dall' una o dall' altra il "bilinguismo" sarà vissuto in modo diverso e avrà dunque delle ripercussioni cognitive differenti. E anche per questo che i programmi d insegnamento bilingue nelle scuole in particolare gli esperimenti di full immersion in una seconda lingua hanno dato risultati ineguali a seconda della posizione sociale dei bambini studiati: per quelli originari del posto si concludono generalmente con un completo successo ossia con un 'ottim
a padronanza della seconda lingua senza abbassamento di livello nella lingua materna. Per i bambini appartenenti a famiglie immigrate l'immersione nella lingua del paese di accoglienza si risolve ancora troppo spesso nella perdita progressiva della prima lingua. »Un fenomeno che i ricercatori hanno un po' frettolosamente e senza alcuna diplomazia chiamato "semilinguismo" sottolinea il settimanale. La padronanza imperfetta dell' una o del' altra lingua non e altro in realtà che una sorta di fermo immagine di una transizione. Il bambino sta perdendo la sua lingua di origine per acquisire la lingua del paese di accoglienza conseguenza della sua assimilazione. Un punto comunque è sicuro: navigando fra diverse lingue i bilingui riescono a distinguere più presto la differenza fra le parole e i concetti quelli che Saussure definiva "significanti e "significati". Il loro distacco nei confronti delle lingue dipende dalla consapevolezza intima e ribadita di ciò che il grande linguista francese ha chiamato l ' "arbitr
arietà del segno".