Qui sotto un articolo preparato da Gianni Schiavi sul complesso delle iniziative di queste settimane, e soprattutto in relazione a Ginevra.Gianni lo ha preparato su richiesta di alcuni compagni che avevano bisogno di un testo da utilizzare per testate regionali e locali. Pu essere utilizzato da tutti coloro che intendono far tornare i giornali locali sulla cosa di Ginevra.
Ciao
Paolo Pietrosanti
Tibet, Hong Kong, Cina e le stranezze radicali.
Freddi palazzi a Ginevra, e pi· freddi ancora quelli del quartiere delle organizzazioni dell'ONU. Si vede che la vita fatica a scorrere dentro questi palazzi. Quest'istituzione continua ad essere in larga parte lontana dall'interesse dell'opinione pubblica e dei parlamentari di tutto il mondo, lasciata in mano alle diplomazie nazionali come luogo di registrazione di accordi presi altrove.
Eppure proprio tra questi palazzi domenica 9 e lunedø 10 marzo duemila manifestanti sono arrivati da tutta Europa, ma anche dall'India, dal Tibet, dalla Cina, dalla Birmania; radunati sulla Piazza delle Nazioni Unite, a far sventolare il sole ed i leoni della bandiera tibetana sotto il grigio cielo ginevrino dal quale ogni tanto si affacciava il sole. E poi ancora scenografia, con una marcia imbandierata e festante per la cittß fino al Lungo Lago dove la giornata si conclusa con una fiaccolata sulle tre sponde del golfo della cittß. Il giorno dopo all'apertura dei lavori della Commissione Diritti Umani dell'ONU di nuovo in Piazza delle Nazioni Unite, per un presidio con richieste un po' stravaganti e, senz'altro, esotiche, rispetto alle richieste che in genere, soprattutto in Italia siamo abituati a sentire: che venga finalmente approvata, dopo cinque tentativi, una mozione di condanna nei confronti della Cina, per le continue e massicce violazioni dei "diritti umani", appunto (cosø come sono definiti dall
e Nazioni Unite stesse), e per la politica di repressione violenta e di genocidio culturale che il governo di Pechino ordina in Tibet. E ancora perch le Nazioni Unite, ed in primo luogo il Segretario Generale si facciano garanti di un'apertura di negoziati tra Pechino ed il Dalai Lama, il quale da parte sua per il suo paese occupato da quarant'anni "dall'esercito di liberazione cinese", non chiede che un'autonomia amministrativa e culturale dalla Cina, e quindi il rispetto dei diritti civili e religiosi del suo popolo.
Giß a prima vista si vede che queste richieste hanno a che fare con le "solite stranezze da radicali"; ed infatti il comitato promotore di questa manifestazione vede insieme al Governo Tibetano in esilio, all'Intergruppo "Tibet" del Parlamento Europeo e ai gruppi di sostegno e le comunitß tibetane in Europa proprio il "solito" Partito Radicale transnazionale. Ma sono proprio stranezze? Problemi lontani da quelli che in tutti i paesi europei come in Italia affliggono i cittadini? Chiaramente no. La mancanza di rispetto nei confronti dell'individuo, in Cina come nelle tigri asiatiche e negli altri paesi emergenti del terzo mondo, anche l'assenza di un sistema di garanzie sociali, ed un livello salariale tali che la produzione in questi paesi avviene in condizioni di concorrenza del tutto sleale rispetto ai paesi occidentali. Le conseguenze per l'Europa non possono che essere l'aggravamento della crisi occupazionale. La favola in base alla quale si possa resistere alla politica dei paesi in via di sviluppo ra
fforzando la produzione ad alta tecnologia si sfracella davanti all'evidenza che questi paesi non hanno pi· nessun problema a copiare questa tecnologia fino a livelli sicuramente elevati, se non ormai anche a produrla, anche perch le grandi industrie non hanno nessuna difficoltß a spostare in questi paesi la loro produzione. E forse alla base di questa favola c' anche il pregiudizio razziale della superioritß dell'uomo occidentale, pregiudizio che, come non mai nella storia, rischia di dover essere pagato innanzitutto da chi ne portatore.
Di tutto ci si incomincia a parlare nel mondo, in Italia meno, ma per ora le classi dirigenti sono del tutto impreparate ad affrontare questo livello della politica, anzi hanno gioco facile nell'accusare di idealismo e di astrattismo chi con queste cose incomincia a fare i conti.
Certo la campagna per la "Libertß per il Tibet "di quest'anno dopo quella dell'anno scorso non ha ancora la forza di smuovere a fondo gli equilibri in gioco nella questione tibetana, si tratta per di una campagna solo di preparazione a quello che l'anno prossimo dovrß essere il grande Satyagrß, in grado di porre al centro della politica in tutti i paesi, dell'occidente e non, il problema del Tibet e quindi della democrazia in Cina, che, non bisogna dimenticare, conserva un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (con diritto di veto) e si avvia a diventare, dopo gli Stati Uniti, la seconda potenza economica mondiale. E non si tratta di dettagli se vero che viviamo nel villaggio globale.
La mozione alla Commissione Diritti Umani per il momento non ancora stata presentata. Si doveva trattare di una proposta di risoluzione congiunta USA-UE, ma all'Unione Europea venuta a mancare l'unanimitß necessaria per le prese di posizione politica: hanno detto no Francia ed Italia. Cosicch anche gli Usa per il momento si sono tirati indietro. Qui in Italia il Partito Radicale ha cercato di porre riparo presentando attraverso parlamentari nazionali di tutti i gruppi, una mozione urgente che impegni il governo ad appoggiare comunque questa risoluzione. Al senato nonostante l'accordo dei gruppi, il Presidente Mancino sta ritardando la discussione in vista dell'arrivo di una delegazione cinese: c' il rischio che si offendano!
Per quest'anno come l'anno scorso la mobilitazione a contorno delle azioni istituzionali ha previsto l'esposizione da parte degli enti locali di tutta Europa e del mondo della bandiera nazionale tibetana; esporla in Tibet costa sette anni di carcere (14 se la bandiera confezionata in India, dove, a Daharamsala ha sede il Governo tibetano in esilio e il principale centro di accoglienza per i rifugiati dal Paese delle Nevi).
L'anno scorso la stessa mobilitazione, con la manifestazione di Bruxelles e il lavoro di pressione parlamentare ha portato all'approvazione da parte dei parlamenti europeo, tedesco, belga e lussemburghese di risoluzioni sulle posizioni del comitato per la "Libertß per il Tibet".
Quest'anno hanno aderito da tutto il mondo oltre cinquecento municipalitß; un centinaio italiane. Sembra una goccia nel mare, eppure come l'anno scorso il governo italiano si impegnato per far sø che questa goccia fosse la pi· piccola possibile, confermando la circolare prefettizia che vietava ai comuni di aderire a questa iniziativa in base a leggi dell'epoca fascista peraltro inapplicabili a questo caso.
Il governo evidentemente preoccupato dalle minacce di ritorsioni commerciali da parte della Cina, e forse, in fondo soprattutto nella persona del ministro degli esteri Dini ha pi· a cuore l'espansione delle grandi industrie nel mercato e nel mondo della produzione cinese che la salvaguardia dell'economia italiana ed europea. Peraltro alle minacce i cinesi non hanno mai dato seguito, tanto che un membro del governo australiano ha dato degli imbecilli ai suoi colleghi degli altri paesi che di queste minacce si preoccupano: "la Cina ancora ha pi· bisogno dell'occidente di quanto l'occidente abbia bisogno della Cina", e la stessa cosa l'ha detta addirittura il presidente della confindustria tedesca dopo il recente voto al Bundestag, di una mozione sul Tibet particolarmente dura nei confronti della Cina.
Tutto ci mentre in Cina cerca di emergere una classe dirigente democratica, che, con il ritorno di Hong Kong alla Cina avrß un'opportunitß in pi· di spingere verso la fine del regime, salvaguardando ed estendendo la situazione di pure parziale democrazia che quest'isola di capitalismo non di stato porterß nell'impero di Pechino.
Certo col tempo l'evoluzione economica potrß portare alla formazione di un sistema di protezione sociale accettabile, ma sarß ben difficile se nel frattempo avrß ceduto quello occidentale sotto il peso della concorrenza dei paesi emergenti. Per questo urgente fare tutto il possibile per aiutare i "nuovi democratici" ed i dissidenti cinesi, tra i quali, non bisogna dimenticare Wei Jingsheng, in prigione da 15 anni, quest'anno premio Sakharov del Parlamento Europeo e candidato al premio Nobel per la Pace dell'anno prossimo.