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Partito Radicale Roma - 21 marzo 1997
Da _Internazionale" - 21 marzo 1997 - pag. 43

Nell'armadio di Milosevic

Il Presidente serbo era alla testa di una struttura parallela che organizzava le campagne di pulizia etnica in Croazia e Bosnia. Un'inchiesta del Guardian

Jiulian Borger, The Guardian, Gran Bretagna

Stanno gradualmente emergendo prove e testimonianze sul fatto che il presidente serbo Slobodan Milosevic controtlava, durante la guerra nella ex Jugoslavia, un gruppo di poliziotti che ha liberato centinaia di criminali dalle galere per addestrarli e usarli in operazioni di pulizia etnica in Croazia e in Bosnia. A Belgrado c'era quindi una catena di comando di fedelissimi del Presidente serbo; ma ora qualcuno ha cominciato a parlare. Così, se si arrivasse effettivamente a provare l'esistenza di questa catena di comando parallela a quella ufficiale con a capo Milosevic, l'incriminazione di fronte al Tribunale dell'Aja per i crimini di guerra potrebbe diventare possibile.

BELGRADO, 3 FEBBRAIO 1997

Mentre si sgretola il potere, un tempo indiscusso, di Slobodan Milosevic e i vecchi alleati si trasformano in potenziali testimoni dell'accusa, non è più irrealistico pensare che un giorno il Presidente serbo possa comparire davanti al Tribunale per i crimini di guerra dell'Aja, imputato delle peggiori atrocità commesse in Europa dai tempi dell'Olocausto. In alcune interviste realizzate dal Guardian, un ex comandante di una forza paramilitare, un capo della polizia poi licenziato e un membro della coalizione di sinistra che sostiene Milosevic al potere hanno descritto il modo in cui un'unità della polizia segreta serba, sotto il diretto controllo di Milosevic, ha pianificato in segreto una sporca guerra, liberando dalle carceri migliaia di pregiudicati e portandoli armi in pugno a combattere in Croazia e in Bosnia. Dall'aprile 1991 fino al termine della guerra, nell'autunno del 1995, questi gruppi paramilitari, come il Movimento dei cetnici serbi e le Tigri di Arkan, hanno attraversato gran parte dell'ex

Jugoslavia saccheggiando villaggi e compiendo feroci atti di pulizia etnica. Dietro le quinte, a tirare le fila c'era un piccolo gruppo di uomini del dipartimento per la sicurezza dello Stato del ministero degli Interni. Erano tutti nominati da Milosevic e a lui fedeli. Al ministero erano conosciuti come la vojna linija, la linea militare. Le nuove prove dell'esistenza di una linea di comando parallela sono di cruciale importanza per ogni futuro atto d'accusa contro Milosevic. Il Presidente serbo sembra avere perso la protezione diplomatica dell'Occidente, che non vede più in lui il garante della pace in Bosnia ma una fonte di instabilità regionale. E' possibile quindi che il Tribunale dell'Aja proceda all'incriminazione di Milosevic, facendone l'imputato più importante per crimini di guerra dall'epoca in cui Hermann Goering sedette sul banco degli imputati a Norimberga. I testimoni citano tre figure chiave della vojna linija, responsabili di avere armato e addestrato i gruppi paramilitari - Radovan "Badza"

Stojicic, Franko "Frenki" Simatovic e Mihalj Kertes. Lavoravano tutti e tre per lovica Stanisic, il capo della polizia segreta di Milosevic. Kertes è stato anche "ministro per la diaspora serba" di Milosevic, che gli ha fornito il pretesto per fare frequenti viaggi in Croazia e Bosnia. Questi uomini occupano ora posti di potere nel regime di Milosevic. Una delle fonti chiave dell'accusa, Branislav Vakic, ha incontrato per la prima volta Badza nel maggio del 1991 in Slavonia orientale, una regione della Croazia. Vakic, ex campione di pugilato nato e vissuto a Nis, la seconda città della Serbia, era già pronto a combattere per la sua gente quando la Jugoslavia dava i primi segni di cedimento e si registravano le prime scaramucce tra serbi e croati. Vakic si presento con una banda di avventurieri barbuti e ottenne la liberazione di molti detenuti dalle carceri. Insieme a loro formo il Movimento cetnico serbo, sotto la guida di un professore di storia, Vojislav Seselj. I cetnici si trascinarono in Slavonia orie

ntale, armati soltanto di fucili da caccia. Ci penso Badza a fare di loro una moderna milizia paramilitare. "ll Mup [il ministero degli Interni] ha cominciato ad aiutare i cetnici in maggio", riferisce Vakic. "All'epoca, gli uomini del Mup erano sotto il comando di Radovan Stojicic'Badza'. Da loro abbiamo ricevuto subito le armi. Ma abbiamo cominciato a operare insieme nel gennaio del 1993 a Skelani e nei dintorni di Srebrenica".

Cetnici addestrati con i "berretti rossi"

Quando i cetnici si trasferirono in Bosnia, Vakic comandava ormai seimila uomini. Che fosse una persona importante lo si capisce da alcune fotografie che lo stesso Vakic mostra con orgoglio nel suo ufficio di Nis. Una foto del 1991 immortala lui e un gruppo di cetnici che impugnano alcune mitragliatrici Thompson del 1940. Due anni dopo, in una istantanea scattata vicino a Srebrenica, Vakic posa con un sofisticato fucile di precisione munito di silenziatore e teleobiettivo. "Abbiamo ricevuto dal Mup tutte le uniformi e le armi che volevamo", ricorda. "Equipaggiamento da fanteria, mitragliatori, fucili di precisione a infrarossi e mortai". Nei Da dove pensate che venissero le armi e le jeep? Come pensate che Arkan si muovesse in tutti quei posti? Dove c'era Arkan, c'era sempre Badza". Arkan non era un'eccezione. Secondo Nicovic, le porte primi mesi del 1992, continua Vakic, i suoi uomini furono addestrati nella base militare di Bubanj Potok, vicino a Belgrado. Ma nel corso del 1992 e nel 1993, i suoi cetnici

vennero trasferiti in una nuova base a Bajina Basta (al confine bosniaco), dove incontrarono "Frenki" Simatovic, comandante di una unità delle forze speciali del ministero degli Interni, meglio conosciuta come i "berretti rossi". Frenki non ha soltanto addestrato gli uomini di Vakic, ma li ha accompagnati in incursioni contro i musulmani, quando la guerra esplose in Bosnia. "Dal settembre all'ottobre 1992 [dopo che l'esercito jugoslavo si era ufficialmente "ritirato" dalla Bosnia] abbiamo combattuto insieme alle unità di Frenki a Bratunac [città della Bosnia vicino a Srebrenica]. Erano buoni soldati, ma non combattevano con l'ardore dei veri nazionalisti", puntualizza Vakic. Nell'agosto del 1993 Vakic invio 300 uomini in una base del ministero degli Interni sul monte Tara, vicino a Banjia Basta, per un ulteriore periodo di addestramento. Ma, a suo dire, i rapporti con gli uomini di Frenki si deteriorarono ben presto, quando cercarono di convinverli a lasciare il Partito radicale. I berretti rossi, ricorda

Vakic, erano fedeli soltanto a Milosevic e al Partito socialista serbo.

Le Tigri dl Arkan e il ministero degli Interni

Vojislav Seselj, capo di Vakic sia nell'organizzazione militare cetnica che nel Partito radicale, ha raccontato ai giornalisti che i suoi uomini combattevano a fianco dei berretti rossi, i quali ricevevano gli ordini non solo da Frenki, ma anche da Mihalj Kertes. Che Kertes sia stato un comandante dei berretti rossi lo conferma un altro signore della guerra serbo, Dragoslav Bokan, attualmente in carcere per rapina a mano armata. Se Frenki si assunse il compito di addestrare i cetnici nella Bosnia orientale, Badza era l'uomo di collegamento con Zeljko "Arkan" Raznjatovic e le sue famigerate Tigri. Marko Nikovic, un ex comandante della polizia belgradese, riferisce che Badza aveva intrecciato "una relazione speciale con Arkan nella Slavonia orientale". Da quel momento Arkan, ex rapinatore di banche, con una lunga carriera di criminale internazionale alle spalle, divenne un intoccabile. Una foto scattata nel 1991 illustra bene questa "relazione speciale": Arkan e Badza posano sorridenti di fronte alla base di

addestramento delle Tigri a Erdut, non lontano dal fronte della Slavonia orientale. Un'altra foto mostra una jeep ricoperta di stemmi delle Tigri, in cui si distingue la targa del ministero degli Interni serbo.

Una fonte bene informata all'interno del governo di Milosevic, è più esplicita di Nicovic: _da dove pensate che venissero le armi e la jeep ? Come pensate che Arkan si muovesse in tutti quei posti?" Dove c'era Arkan, c'era sempre Bazda."

Arkan non era un'eccezione . Secondo Nicovic, le porte delle prigioni serbe si spalancarono nel 1991 e ne uscirono "migliaia" di carcerati, che andarono a ingrossare le fila dei gruppi paramilitari come i cetnici e le Tigri. "Gli dicevano: 'Se andate al fronte, vi condoniamo la pena'. E loro pensavano: 'Forse ne caveremo anche del denaro'. E attraversarono in armi la frontiera serba. Per un poliziotto di professione era una cosa piuttosto strana", sostiene Nicovic. "Nel servirsi dei criminali, ad esempio gli informatori, si corre sempre sul filo dell'illegalità. Ma in questo caso la polizia non ha avuto scrupoli a spingersi oltre ogni limite". A quell'epoca Nicovic era un ufficiale di polizia pluridecorato e con molti anni d'anzianità alle spalle e Badza un semplice poliziotto di pattuglia. Ma quando Milosevic arrivò al potere, nel 1987, e Stanisic divenne capo del dipartimento per la sicurezza dello Stato, Badza fu cooptato nella nuova classe dirigente e inviato "per lavoro in Croazia e in Bosnia". Badza r

icomparve a Belgrado nel 1992, per essere nominato capo della polizia serba. Era diventato il superiore di Nicovic, nonostante gli mancassero le competenze. Agli ordini di Badza, Frenki e Kertes c'era una rete di agenti per la sicurezza dello Stato che coordinava le operazioni di pulizia etnica. Nei primi giorni della guerra in Bosnia, nell'aprile 1992, i gruppi paramilitari entrarono dalla Serbia nella città di frontiera di Zvornik e si abbandonarono a una serie di massacri di musulmani. Il trasporto e la preparazione degli assassini fu organizzato da un uomo che si faceva chiamare Marko Pavlovic. Nel 1992 Pavlovic prese il comando dell'unità di difesa territoriale di Zvornik, una banda di presunti volontari reclutati sul posto e incaricata di difendere la città in caso di bisogno. Secondo una fonte bene informata di Zvornik, Pavlovic era membro dei servizi di sicurezza dello Stato serbo. La prova del coinvolgimento del ministero degli Interni nella pulizia etnica ha un grande significato legale. In teoria

Milosevic può disconoscere la paternità delle operazioni condotte sotto il comando dell'Esercito nazionale jugoslavo, un corpo della federazione, perché era "soltanto" il Presidente di una delle repubbliche costitutive della Jugoslavia, la Serbia. Anche se quasi tutti i membri della presidenza collegiale jugoslava erano burattini nelle mani di Milosevic, da un punto di vista strettamente costituzionale il Presidente serbo non aveva autorità sull'esercito. Ma, a differenza degli ufficiali dell'esercito nazionale jugoslavo, i poliziotti della vojna linija - dipendenti della Repubblica serba - erano direttamente nominati da Milosevic e a lui facevano legalmente capo. La polizia serba ha svolto un ruolo fondamentale nella conquista del potere jugoslavo da parte di Milosevic. Nell'ottobre del 1992 prese d'assalto gli uffici della polizia federale per rubare i dossier riservati sugli alleati e i nemici politici di Milosevic. Borisav Jovic, ex braccio destro di Milosevic, a capo della presidenza collegiale jugosl

ava quando e cominciata la guerra, dichiara oggi che il ministero degli Interni serbo era sotto il totale controllo del suo vecchio mentore. "Tutto ciò che riguarda la sicurezza dello Stato è di responsabilità del Presidente della Repubblica. Lo dice la Costituzione e lo confermano i fatti". Nel corso di una intervista, Jovic (forse con un occhio al Tribunale dell'Aja) prende platealmente le distanze dalle attività belliche del ministero degli Interni serbo. "Anche se la struttura segreta di cui lei parla fosse esistita, io non ho niente a che fare con essa, neanche a livello consultivo".

Al potere ancora oggi

La linea di comando che dalla vojna linija risale fino a Milosevic è ormai chiara. Il Presidente non solo non punì suoi uomini quando arrivarono le notizie delle atrocità commesse nelle regioni sotto il loro controllo, ma addirittura li promosse di grado. Stanisic, in qualità di capo dei servizi di sicurezza dello Stato, è considerato dai diplomatici la seconda personalità politica più potente della Jugoslavia. Frenki è rimasto suo vice. Badza è stato nominato generale l'anno scorso. Kertes e ora direttore delle dogane, una poltrona che rende bene finanziariamente, perché conferisce ampi poteri di controllo sull'economia jugoslava, non del tutto aperta agli scambi con l'estero. Bogdanovic si è ufficialmente ritirato, ma esercita sulla cerchia degli uomini di Milosevic un'autorità maggiore di quella del suo successore nominale, Zoran Sokolovic. La vojna linija resta il fondamento del potere di Milosevic. La nervatura di un regime ufficialmente rappresentato dai ministri della Repubblica. Essa e oggi il solo

puntello grazie al quale Milosevic si regge al governo. Ma da quando il regime ha cominciato a scricchiolare sotto la pressione della protesta di piazza e delle condanne internazionali, il puntello vacilla. Gli scagnozzi di Milosevic stanno perdendo fiducia nelle decisioni del capo e si chiedono ad alta voce se non sarebbe nel loro interesse firmare un accordo separato con il Tribunale delle Nazioni Unite per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Branislav Vakic, oggi leader a Nis del Partito radicale, una formazione di estrema destra, e furioso per il tentativo del regime di truccare i risultati delle elezioni amministrative e ritiene che Milosevic sia prossimo a cadere. Aspettando quel giorno, Vakic ha raccolto un'imponente massa di documenti, i quali proverebbero che lui e i suoi uomini non hanno compiuto alcun crimine di guerra e che tutte le loro azioni sono state eseguite su ordine del governo serbo. Intanto, un altro collaboratore scontento di Milosevic, il generale Nedjeljko Boskovic, ex comand

ante dell'intelligence militare, in una recente intervista a un quotidiano ha minacciato in modo velato di fornire le prove che incastrerebbero i suoi superiori politici, pur di scagionarsi da ogni accusa. Subito dopo l'intervista è partito un mandato di arresto. Ma Boskovic è ancora libero, forse perché protetto dai leader del Montenegro, la repubblica satellite della Serbia. Alla domanda se andrà all'Aja, il generale ha risposto: "Non ho compiuto crimini di guerra, ma posso essere chiamato a testimoniare. Probabilmente andrò come testimone". Un altro potenziale testimone dell'accusa, Nikola Koljevic, è morto in un ospedale di Belgrado alla fine di gennaio, dopo essersi sparato alla testa - questa è la versione ufficiale. E' stato vicepresidente della Repubblica serbobosniaca durante la guerra e aveva conservato i verbali di tutti gli incontri con Milosevic. Negli ultimi giorni di vita era caduto in una forte crisi depressiva e ripeteva che la storia avrebbe mostrato un giorno di quale tradimento erano stat

i vittima i serbo-bosniaci. Altri leader di Pale incriminati dal tribunale dell'Aja hanno lasciato intendere che, se catturati, avrebbero dimostrato che gli ordini partivano da Milosevic. Anche il principe delle spie di Milosevic, Jovica Stanisic, ha accennato ad amici e colleghi di avere provato a convincere il Presidente che sarebbe meglio trovare un compromesso con le opposizioni e ha espresso preoccupazione per la crescente influenza della moglie del presidente, Mirjana Markovic, una dura del regime. Inoltre, Stanisic sta combattendo un'aspra battaglia politica con Badza per il potere nel ministero degli Interni. I giuristi del Tribunale dell'Aja insistono nel dire che ci vogliono prove più solide prima di incriminare un leader come Milosevic. Louise Arbour, il nuovo procuratore capo, ha dichiarato: "Dovremo mostrare quali erano le linee di comando legali nel modo più rigoroso possibile. Non potremo in alcun modo presentarci al processo senza prove certe che dimostrino l'esistenza di una chiara linea di

comando. Questo è un punto su cui rischiamo di deragliare". Il Tribunale ora è in grado di cercare le prove necessarie. Il piccolo ufficio che ha aperto a Belgrado si è finora preoccupato più di organizzare visite ufficiali che di raccogliere le prove. Ma ci sono segnali che qualcosa sta cambiando. Un giudice del Tribunale ha riferito la scorsa settimana che si stanno facendo notevoli progressi in vista dell'incriminazione di Arkan. Gli Stati Uniti hanno detto che stanno valutando l'opportunità di formare una squadra di investigatori per individuare i presunti criminali. E il mastice che finora ha legato la vojna linija non tiene più.

Mentre si allenta la coesione della ristretta cerchia degli uomini di Milosevic, viene a galla buona parte dei segreti di guerra. Quest'anno Milosevic non solo deve affrontare l'eventualità di una sconfitta politica, ma deve anche assistere a una umiliante metamorfosi: da capo del governo serbo si sta trasformando nel latitante più ricercato al mondo. (R.L.)

 
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