La provocazione di Garcia Marquez: una sola lingua per tutto il mondodi Stefano Citati
(La Repubblica, 10 aprile 1997)
Il premio Nobel per la Letteratura critica il "mondo delle parole" e predica il "ritorno della semplicità"
All'inizio era la parola. Semplice, chiara. Ognuna aveva il suo senso, il suo valore. Ed "è lì che bisogna tornare. Magari semplificando la grammatica, abolendo l'ortografia". Fino alla nascita di un'unica grande lingua, unificatrice e globale. Parla Gabriel Garcia Marquez, che per chiedere il ritorno agli inizi dell'espressione umana, alla "semplicità pura delle parole degli indigeni, che avevano in massimo rispetto la parola, tanto da dedicargli un dio". Il dio è quello dei Maya, popolazione latinoamericano, come Marquez, colombiano e premio Nobel per la letteratura. Al gran simposio sulla lingua spagnola organizzato in Messico l'autore di "Cent'anni di solitudine", allarga i confini e parla di "un mondo soffocato dalla parola". Un mondo dove il "grande perdente" non sono le lingue aggredite da altre, non sono le parole che scompaiono sostituite da altre, ma "è il silenzio". Perché "l'umanità entrerà nel terzo millennio sotto la dittatura delle parole". Parole "maltrattate, mal comprese, mal utilizzate dal
la stampa, dalla tv, dalla radio, dagli uomini"; "parole che hanno perso il loro senso originario", parole troppo complesse per quel che vogliono dire o troppo semplici per quel che dovrebbero significare. Troppe parole sentenzia Marquez.
E allora, provoca ironico Marquez davanti alla platea dei linguisti stupiti riuniti nei pressi di Città del Messico, ci vuole una "lingua franca", l'ultima evoluzione del linguaggio. Un idioma che le unisca tutte, che restituisca la forza e il valore che le semplici parole avevano all'inizio del linguaggio. Un evoluzione naturale un ritorno alla naturalezza, predice lo scrittore colombiano che ha deciso nemmeno un mese fa di fuggire la "patria ostile" e vivere in Messico. Abbasso la grammatica, le regole, "giubiliamo l'ortografia".
Perché l'umanità s'avvia ineluttabilmente verso la creazione di un linguaggio globale, per cui le diverse lingue non solo non devono resistere a questo processo, ma anzi debbono semplificare la grammatica, fino al punto di "mandare in pensione l'ortografia". E non è vero che il nemico delle parole è l'immagine: "L'immagine non le sta soppiantando e non le può far morire poco a poco. Al contrario, sta potenziandole: mai nel mondo vi sono state tante parole".
Davanti ad una platea attenta, Marquez ha sostenuto che le "le cose hanno tanti nomi in tante lingue che ormai non è facile sapere come si chiamino in nessuna. Le lingue vagano senza più una madre certa, si mescolano e confondono, lanciate verso il destino di un linguaggio globale".
Riferendosi allo spagnolo, ma in fondo a tutte le lingue, il 70enne scrittore suggerisce: "Semplifichiamo la grammatica, prima che la grammatica finisca per semplificare noi". E predica la semplicità degli antichi: "Umanizziamo le sue leggi, apprendiamo dalle lingue degli indigeni a cui dobbiamo la grande quantità di cose che ancora hanno da insegnarci". Insomma, conclude, "mandiamo in pensione l'ortografia, terrore dell'essere umano fin dalla nascita".
La lezione messicana di Marquez non è però piaciuta a molti esperti: negativa le reazione dello scrittore e Nobel spagnolo Camilo Josè Cela che, pur non volendo entrare in polemica con l'altro Nobel, ha osservato che le regole grammaticali hanno una loro ragione d'essere. "In Spagna è diventato di moda fare errori d'ortografia", pratica che va condannata senza mezzi termini.
Anche un altro scrittore spagnolo, Luis Goyosolo, ha criticato l'argomentazione del relatore colombiano affermando che "se si facesse quello che lui dice, la lingua sarebbe ancor più complicata". Entusiasta invece delle tesi di Marquez è il messicano Raul Avila Sanchez, responsabile del Centro di studi linguistici e letterari del "Colegio de Mexico", secondo cui "l'ortografia è quanto più di antidemocratico esista, perché la decide un gruppo ristretto di persone a partire da una versione che non corrisponde a quanto in molti pensiamo".