Da "Il foglio" 18 aprile 1997 pag. 4
Signor direttore, La Commissione diritti umani delle Nazioni Unite martedì sera a Ginevra non ha nemmeno consentito la discussione e il voto sulla risoluzione che censurava Pechino per la violazione dei diritti della persona in Cina e in Tibet. La richiesta cinese di "No action" è stata approvata a maggioranza. Questa vicenda ha coinvolto da vicino la vicenda i Palazzi romani e quelli di altri paesi Ue. Il presidente del Senato Nicola Mancino ha più volte rinviato la discussione di una mozione promossa dal Partito radicale adducendo ragioni di ospitalità e posticipandola a dopo la visita in Italia del Presidente del Parlamento di Pechino. La mozione chiedeva un impegno del governo a non infrangere un comune fronte Ue favorevole a una risoluzione
di censura per la Cina e sulla quale Italia e Francia avevano posto il veto. Il governo di Pechino fa il suo mestiere e il suo gioco, diverso è che a questo gioco si prestino supinamente dei paesi europei cancellando i sogni di una politica estera comune. Le pressioni di Pechino condizionano i governi, e, ora, anche i parlamenti. Eppure non è certo che la passività rispetto ai lager cinesi e sull'assenza di democrazia in quel paese paghi sul piano economico e commerciale. Almeno sul medio e lungo periodo. Il lavoro in Cina costa un centesimo di quanto costa da noi. Una concorrenza formidabile rispetto alla quale l'Europa non si attrezza. Pensare che esportare in Cina democrazia, diritti sindacali, costo del lavoro, sia necessario per le nostre economie non mi sembra una prova di ingenuità.
Paolo Pietrosanti, Roma
RISPOSTA
I danesi si sono dati da fare, ma la lobby cinese è ovviamentepoderosa e numerosa.