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Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Roma - 2 maggio 1997
Senato della Repubblica XIII Legislatura

175. SEDUTA (antimerid.) ASSEMBLEA RESOCONTO STENOGRAFICO 29 APRILE 1997

Discussione delle mozioni nn. 19, 106, 108 e 109 sul Tibet

Approvazione, con modificazioni, dell'ordine del giorno n.2

Reiezione della mozione n. 108

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni nn. 19, 106, 108 e 109 sul Tibet:

CORTIANA, BOCO, PIERONI, CARELLA, BORTOLOTTO, PETTINATO, MANCONI, DE LUCA Athos, RIPAMONTI, LUBRANO di RICCO, SEMENZATO, SARTO, MASULLO, SARACCO, D'ALI, DIANA Lorenzo, ASCIUTTI, CIMMINO, BESOSTRI, POLIDORO, FUMAGALLI CARULLI, COZZOLINO, TONIOLLI, SENESE, TERRACINI, BUCCIERO, SERVELLO, NAVA, PEDRIZZI, PAPPALARDO, SCOPELLITI, GIOVANELLI, COSTA, DE CORATO, SQUARCIALUPI, SPERONI, PIATTI, MIGNONE.

Il Senato, vista la risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione in Tibet e sulla scomparsa del Panchen Lama, un bambino di 6 anni; viste le precedenti risoluzioni del Parlamento europeo sull'occupazione del Tibet e la repressione della sua popolazione da parte delle autorità cinesi; profondamente preoccupato per le notizie secondo cui Gedhun Choekyi Nyima, un bambino tibetano di 6 anni, sarebbe stato sequestrato con i genitori dalle autorità cinesi poco dopo essere stato riconosciuto dal Dalai Lama quale ultima reincarnazione del Panchen Lama, la seconda autorità spirituale tibetana in ordine di importanza, deceduto nel 1989; considerando che in tutta la sua storia il Tibet è riuscito a conservare un'identità nazionale, culturale e religiosa distinta da quella della Cina fino a che tale identità non ha cominciato a essere erosa a seguito dall'invasione cinese; riaffermando l'illegalità dell'invasione e dell'occupazione del Tibet da parte della Repubblica popolare cinese e considerando che prima del

l'invasione cinese del 1950 il Tibet era riconosciuto de facto da numerosi Stati e che esso costituisce un territorio occupato ai sensi dei principi stabiliti dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite; condannando il tentativo intrapreso dalle autorità cinesi di distruggere l'identità tibetana, segnatamente mediante una politica di trasferimenti massicci di popolazioni di etnia cinese nel Tibet, di sterilizzazioni e aborti forzati delle donne, di persecuzioni politiche, religiose e culturali e di sinizzazione dell'amministrazione tibetana, impegna il Governo: a chiedere alle autorità cinesi di provvedere a che Gedhun Choekyi Nyima e la sua famiglia siano immediatamente rilasciati e possano tornare al loro villaggio;

a chiedere al governo cinese di porre fine alle sue violazioni dei diritti dell'uomo, di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei popoli e degli individui nel Tibet e di interrompere immediatamente i trasferimenti ufficialmente incoraggiati di popolazioni cinesi nel Tibet; ad intervenire presso le autorità cinesi per sottolineare come la persistente oppressione del popolo tibetano nuoccia alle relazioni fra l'Italia e la Repubblica popolare cinese; a favorire ogni iniziativa intesa a risolvere il problema sinotibetano mediante il dialogo politico e a chiedere ai governi cinese e tibetano in esilio di avviare negoziati in tal senso e in tale contesto a manifestare il proprio sostegno agli sforzi esplicati dal Dalai Lama per ripristinare pacificamente la libertà culturale e religiosa del popolo tibetano, nonché la sua autonomia politica; infine, nell'esprimere il suo sostegno al popolo tibetano e nell'auspicare che siano allacciate strette relazioni tra il Parlamento tibetano in esilio e il Parlament

o italiano, impegna altresì il Governo ad inviare il presente documento al governo cinese, a sua Santità il Dalai Lama, al Parlamento tibetano in esilio e al segretario generale dell'ONU.

(100019)

SPERONI, BOCO, NAVA, PALOMBO, TOMASSINI, SCHIFANI, DE LUCA Athos, PASQUALI, SPECCHIA, RIPAMONTI, ASCIUTTI, CORTIANA, AVOGADRO, GNUTTI, MANIERI, ROSSI, SERENA, PERUZZOTTI, MORO, BRIENZA, PEDRIZZI, MANCONI, CARUSO Antonino, BEVILACQUA, BUCCIERO, GASPERINI, BRIGNONE, LAURO, TONIOLLI. Il Senato, considerato: che nel Tibet occupato è in corso una durissima repressione, che assume forme di vero e proprio genocidio non soltanto culturale ma programmato e praticato anche attraverso un massiccio trasferimento di popolazioni dalla Cina popolare tendente alla estinzione per diluizione della popolazione tibetana; che decine di migliaia di prigionieri politici sono detenuti sul territorio della Repubblica popolare cinese nei famigerati »laogai , all'interno dei quali le condizioni di detenzione sono letteralmente disumane, e che in particolare il dissidente Wei Jingsheng, insignito dal Parlamento europeo del premio Sakharov 1996, è nuovamente in carcere, dopo aver scontato già 14 anni di prigione e in gravi condizioni

di salute, per un'ulteriore condanna a 15 anni con l'accusa di aver compiuto crimini controrivoluzionari, vale a dire aver sostenuto le famiglie delle vittime della strage di piazza Tienanmen del 1989; che il Dalai Lama, premio Nobel per la pace 1989 e capo spirituale e politico dei tibetani, nella sua fermezza non violenta e gandhiana propone incessantemente dialogo e negoziato con il governo di Pechino, sotto l'egida delle Nazioni Unite e del loro segretario generale; che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ripetutamente affrontato la tragedia con le Risoluzioni nn. 1353 (XIV) del 1959, 1723 (XVI) del 1961, 2070 (XX) del 1965;

che il Parlamento europeo ha reiteratamente levato la sua voce con le risoluzioni del 15 ottobre 1987, 16 marzo 1989, 15 marzo 1990, 12 settembre 1991, 13 febbraio 1992, 15 dicembre 1992, 25 giugno 1993, 17 settembre 1993, 13 luglio 1995, 14 dicembre 1995 e, di recente, del 12 marzo 1997 nelle quali vengono denunciate le violazioni dei diritti umani in Tibet nonché l'invasione e l'occupazione del Tibet da parte della Repubblica popolare di Cina; che risoluzioni sulla situazione in Tibet sono state approvate di recente dal Bundestag tedesco, dalla Camera dei deputati belga e dal Parlamento lussemburghese, impegna il Governo a porre in essere ogni sforzo politico e diplomatico affinché a seguito della sessione della Commissione diritti umani delle Nazioni Unite, che si è riunita a Ginevra dal 10 marzo al 18 aprile 1997, si faccia promotore di iniziative per porre un freno alle violazioni dei diritti della persona nella Repubblica popolare di Cina, nel Tibet, nel Turchestan orientale ed in Mongolia interiore, p

er la immediata scarcerazione dei detenuti politici e per la chiusura dei laogai.

(100108)

GUBERT, BASINI, FUMAGALLI CARULLI, LAVAGNINI, MURINEDDU, LOMBARDI SATRIANI, DI ORIO, TAROLLI, MAZZUCA POGGIOLINI, NAPOLI Roberto, ZANOLETTI, MANFREDI, MONTAGNINO, OCCHIPINTI, DE CAROLIS, RONCONI. Il Senato, riconosciuto: che la popolazione tibetana nella sua storia ha manifestato e conservato una propria identità culturale e religiosa distinta da quella prevalente nella Cina, che pur conta al suo interno ben 56 nazionalità diverse; che le iniziative di integrazione della realtà tibetana nella più ampia realtà cinese connesse ai processi di modernizzazione, accanto ad aspetti positivi di sviluppo economico e sociale, possono provocare risvolti negativi per il mantenimento dell'identità e della capacità di autonomia del popolo tibetano, al di là di quanto le prerogative di speciale autonomia di cui gode il Tibet possano offrire a ciò difesa; che l'attività di controllo delle spinte separatiste che si sono sviluppate negli ultimi decenni da parte dei leader tibetani, in Tibet e all'estero, possono di fatto agg

ravare i suddetti risvolti negativi, per di più in una situazione nella quale la tutela dei diritti umani si trova condizionata da uno sviluppo della legislazione e del sistema giuridico di garanzia delle libertà ancora in divenire, sia pure avendo registrato significativi progressi in tale direzione nell'ultimo decennio, impegna il Governo: ad esprimere alle autorità cinesi la preoccupazione del popolo italiano affinché siano poste in atto tutte le misure necessarie ed utili alla salvaguardia della specificità culturale e religiosa della popolazione di nazionalità tibetana qualora si verificasse che i processi di modernizzazione in atto la compromettano;

ad esprimere alle autorità cinesi la preoccupazione del popolo italiano affinché nel controllo di attività separatiste vengano adottate tutte le garanzie del rispetto dei diritti individuali e delle collettività locali che il diritto interno cinese già prevede nonché ad invitare le autorità cinesi a ulteriormente progredire nello stabilire una legislazione in merito alle libertà individuali che, tenendo conto delle peculiari condizioni della realtà cinese, cammini nella direzione indicata dalla coscienza dei diritti della persona umana sviluppata nelle grandi civiltà dell'umanità e codificati nelle dichiarazioni degli organismi internazionali nei quali la Cina ha parte importante.

(100106)

GAWRONSKI, PIANETTA, PERA, VERTONE GRIMALDI, TERRACINI, SELLA DI MONTELUCE, TOMASSINI, DI BENEDETTO, DE ANNA. Il Senato,

considerato: che la regione del Tibet ed il suo originario popolo hanno una caratterizzazione culturale specifica, diversa da quella prevalente nel resto della Cina; che dopo l'occupazione militare del Tibet da parte della Cina si è verificato un progressivo e consistente insediamento di popolazione di etnia »han in questa regione; che le autorità di Pechino hanno attuato una politica di omogeneizzazione su tutto il territorio cinese, inclusa la regione dell'Estremo Occidente della Cina, dove vive il popolo turcofono degli Uiguri, di religione musulmana; che la Cina, sotto la spinta della modernizzazione e della »economia di mercato socialista , si trova ora a fronteggiare, più che in passato, le spinte autonomiste delle varie regioni del suo territorio; che il rappresentante del popolo tibetano in esilio non chiede la secessione ma una maggiore autonomia e più garanzie per i diritti individuali,

impegna il Governo a promuovere colloqui diplomatici con la Cina affinché siano poste in essere iniziative che, attraverso il dialogo politico, possano garantire alle tante nazionalità che vivono sul territorio cinese di esprimere pacificamente la propria identità culturale e religiosa.

(100109)

Ha facoltà di parlare il senatore Cortiana per illustrare le mozioni 100019.

CORTIANA. Signora Presidente, la mozione che proponiamo muove da una constatazione dolorosa che ha generato una sensibilizzazione curiosa nell'Occidente. La constatazione dolorosa che è in atto un genocidio di natura politica, culturale e spirituale, nonché una devastazione dell'ecosistema del Tibet da parte della Cina popolare.

E da tanti anni che tutto questo è in atto, esattamente dall'invasione nel 1950 del Tibet da parte della Repubblica popolare cinese. L'aspetto curioso che dicevo è che negli ultimi dieci anni è cresciuta in Occidente una sensibilità verso il Dalai Lama, la principale figura di riferimento spirituale, culturale e anche politica del Tibet occupato. Ci dovremmo interrogare sul perché di questa sensibilizzazione, in quanto sul piano delle politiche internazionali, a parte la Danimarca, non c'è il riscontro di un riconoscimento forte della figura del Dalai Lama e di ciò che egli rappresenta. Il Dalai Lama insieme al Papa, è una delle poche figure che ha saputo avviare un dialogo planetario, specialmente dopo la caduta del muro; un dialogo planetario che spesso risponde alle domande di senso poste in modo pressante, in particolare nel mondo occidentale, rispetto ad un modello di crescita quantitativo illimitato, legato sostanzialmente ad un'etica del profitto esclusivo. E' un tema molto interessante e significativ

o, e forse aprirebbe per noi uno spazio di riflessione sulla crisi di funzione e di ruolo dell'Europa, conseguente alla crisi della sua identità Non è questo l'oggetto della mozione, però ci deve far riflettere sulla non corrispondente sensibilità nell'azione politica e di politica internazionale da parte degli Stati democratici occidentali. Nel nome della Realpolitik da un lato e degli scambi commerciali dall'altro, sostanzialmente si è consentito alla Repubblica popolare cinese di mantenere l'occupazione in Tibet e negli ultimi anni di accentuare il genocidio. Parlo di genocidio non per usare un termine forte nella polemica politica (cosa che spesso noi italiani amiamo fare), ma perché purtroppo quel termine corrisponde alla realtà. C'è il tentativo di sostituire la popolazione tibetana con una immigrazione forzata cinese fino ad eccessi rispetto alla possibilità di procreazione da parte delle donne tibetane. C'è il tentativo di annientare la lingua tibetana, sostituendola con la lingua cinese, in spregio

ai trattati che la stessa Cina aveva stipulato con il Tibet, anche successivamente all'occupazione. Lo stravolgimento culturale tibetano, coinvolge non soltanto la lingua che è l'aspetto più profondo dell'espressione di un popolo ma anche l'architettura e la stessa urbanistica delle città tibetane, stravolte e alterate dall'invadenza delle costruzioni e dall'organizzazione urbanistica cinese. Soprattutto, ciò che forma l'identità culturale di un popolo, insieme alla lingua, èl'aspetto religioso e spirituale. Forse mai come nel caso tibetano ci possiamo permettere di distinguere o, perlomeno, di accomunare l'aspetto religioso a quello spirituale, in quanto l'esperienza non violenta religiosa tibetana si erge al di sopra della sua stessa ritualità e della sua stessa liturgia formatasi nei secoli, e riesce a proporre al mondo e a tutti noi, aedenti e non credenti, una tensione di natura spirituale che credo risponda alle questioni poste sul piano etico anche dagli stessi non credenti. Tutto ciò viene impedito

. Come sapete, il nuovo Panchen Lama, che è un bambino, è stato sequestrato con la sua famiglia dalla Cina, che ha poi nominato un Panchen Lama fantoccio. Ritengo che questa sia forse la ferita più mortificante che sta ricevendo l'identità tibetana.

Rispetto a tutto questo, fa piacere constatare che ci sono state una serie di risoluzioni del Parlamento europeo, dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e quelle approvate dal Parlamento belga, lussemburghese e dal Bundestag tedesco; per ultima, la posizione importante e coraggiosa della Danimarca. Con questa mozione, firmata in modo trasversale da diversi senatori e questo è apprezzabile , come Parlamento italiano vogliamo porre con forza al centro della nostra politica internazionale verso la Cina la questione delle relazioni con il Tibet. La senatrice Scopelliti mi ha fatto pervenire una serie di proposte emendative concordate con il senatore Speroni, che noi condividiamo nel modo più assoluto anche laddove entrano nel merito ed è importante questo aspetto delle questioni politiche interne alla Repubblica cinese e non solo delle relazioni con il Tibet occupato. Si tratta di questioni relative alla democrazia politica e all'esercizio del diritto all'attività politica, in particolar modo le question

i relative al dissenso cinese, specialmente a seguito dei fatti famosi di Tienanmen. Questo aspetto laddove i colleghi lo ritenessero necessario potremmo anche ometterlo, mantenendo nella mozione soltanto le questioni specifiche relative alle relazioni tra Cina e Tibet sarebbe più coerente rispetto all'oggetto della mozione, apprezzo però, in modo significativo il fatto che il senatore Speroni e la senatrice Scopelliti abbiano segnalato questo parallelismo tra la mortificazione dei diritti nel Tibet occupato e quella dei diritti all'interno della stessa Cina. Per coerenza però, rispetto all'oggetto della mozione, forse questi aspetti si potrebbero omettere. So che ci sono altri testi, altre proposte di mozione. Ciò che ispira i proponenti della mozione n. 19 è far si che il Senato della Repubblica possa esprimersi nel modo più ampio e unitario possibile sulla questione dell'occupazione del Tibet e dei diritti del popolo tibetano. Quindi siamo più che disponibili a cercare una convergenze e per questo, sign

ora Presidente, dopo l'illustrazione delle altre mozioni, chiederò se sia possibile una interruzione di dieci minuti, un quarto d'ora, per consentire ai proponenti di redigere un testo unitario. Mi sento di dire tuttavia a tutti i colleghi, affinché resti nello stenografico, che non rinunceremo mai ad alcuni valori per noi fondamentali, indicati nella mozione: la libertà politica, culturale e religiosa del popolo tibetano. Quindi arriviamo pure a un testo unico che però contenga esplicitamente questi elementi e che altrettanto esplicitamente contenga la volontà del Senato della Repubblica di impegnare il Governo e se stesso in modo costante nell'attività di costruzione di un dialogo, che il Dalai Lama propone peraltro da vario tempo, e a un tavolo di negoziazione tra il Tibert e la Cina. Questo è l'intento e il senso della nostra mozione. Attendiamo ora di sentire l'illustrazione dei loro testi da parte degli altri colleghi e se poi ci sarà concessa una breve pausa cercheremo di arrivare ad un unico testo. (

Applausi dalle senatrici Scopelliti e De Zulueta).

PRESIDENTE. Senatore Cortiana, procediamo ora con l'illustrazione delle mozioni; se poi al termine della discussione vi sarà ancora la necessità di una breve pausa ne valuteremo l'opportunità.

Ha facoltà di parlare il senatore Peruzzotti per illustrare la mozione 100108.

PERUZZOTTI. Signora Presidente, soltanto poche parole, per ricordare come, a più riprese, la Lega abbia sollecitato, nell'ambito della Conferenza dei Capigruppo, la discussione delle mozioni oggi finalmente Aula, sia per la concomitanza che la stessa avrebbe assunto con lo svolgimento, a Ginevra, della 53a sessione della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo che per l'alta rilevanza politica che un paese che voglia definirsi civile deve comunque attribuire ai diritti umani e alla loro violazione ove ancora nel mondo perpetrata. Nel merito, già in occasione dell'apertura dei lavori della Commissione protrattasi dal 10 marzo al 18 aprile scorso, numerosi comuni guidati dai sindaci della Lega Nord aderendo ad un'iniziativa assunta da varie associazioni in sede internazionale, in segno di omaggio verso le istanze di libertà ed indipendenza del popolo tibetano e, al tempo stesso, di protesta per le prevaricazioni da esso subite, hanno issato la bandiera del Tibet sui pennoni dei propri municipi

. Durante lo svolgimento delle riunioni Commissione, poi, soltanto l'indifferenza o, peggio, il ruolo negativo assunto da taluni Governi, tra i quali quello italiano, uniti al pregiudiziale rifiuto della Francia, hanno impedito che i paesi dell'Unione europea presentassero in forma congiunta una risoluzione di condanna della politica repressiva cinese e di auspicio per l'apertura di un dialogo tra Pechino ed esponenti del governo tibetano in esilio. Oggi tanto più nell'ambito della propria sovranità il Parlamento ha mostrato, pure in questa legislatura, di essere sensibile alle istanze dei popoli oppressi, come attestano le molteplici richieste di intervento... (Brusio in Aula).

.

PRESIDENTE. Per cortesia!

PERUZZOTTI....richieste d'intervento rivolte al Governo affinché si adoperi in sede internazionale per il rispetto dei più elementari diritti di libertà e di espressione dei popoli si rinnova l'opportunità per noi eletti, di attestare il grado di sviluppo civico raggiunto del nostro popolo, a prescindere da posizioni ideologiche o da calcoli di mero interesse commerciale. Del resto, per quanto concerne in particolare la mozione Speroni, non si presume di voler indicare al Governo quale soluzione debba perorarsi come la più idonea a porre fine allo stato di occupazione del Tibet estremamente concilianti, in proposito lo ricordiamo furono le stesse dichiarazioni pronunciate dal Dalai Lama, la più alta autorità spirituale e politica tibetana, ai membri del Parlamento europeo il 23 ottobre scorso E di fine settimana scorsa la notizia, apparsa quantomeno sui giornali francesi, di un incontro tra il Presidente degli Stati Uniti, Clinton, e il Dalai Lama: il rappresentante del Governo italiano non avrebbe potuto

avere un più nobile esempio, qualora ne avesse avuto bisogno, per esprimere ora parere favorevole alle mozioni e, nel caso specifico, a

quella di cui primo firmatario è il senatore Speroni, che, a seguito del tempo intercorso dalla data di presentazione, è stata necessariamente riformulata all'Assemblea nel testo già consegnato agli uffici competenti.

Avrei finito, signora Presidente. Entreremo poi nel merito, in sede di dichiarazione di voto. (Applausi dal Gruppo Lega NordPer la Padania indipendente).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Gubert per illustrare la mozione 100106.

GUBERT. Signora Presidente, vorrei innanzitutto correggere un refuso nel terzo paragrafo della mozione, laddove è iscritto »si sono sviluppate negli ultimi decenni da parte dei leader tibetani, in Tibet e all'estero, . Si deve intendere non »dei leader ma di leader ; perché il riferimento non è a tutti i leader.

Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, è sempre possibile affermare che una questione osta all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sia interna ad uno Stato se essa non attiene ai rapporti tra Stati. E questa la posizione ufficiale della Repubblica popolare cinese rispetto alla questione tibetana. Credo che non, diversa sarebbe la posizione italiana di fronte a prese di posizione dei Parlamenti e dei Governi di altri paesi qualora rivolte a questioni che la coscienza collettiva nazionale considera esclusivamente interne. Basti ricordare come l'Italia abbia accettato di discutere a livello internazionale della questione dell'Alto Adige negli anni '60 solo perché costretta da un'iniziativa austriaca basata sulla necessità di verificare il rispetto di un accordo internazionale.

Pur rispettando la posizione ufficiale di parte cinese va tuttavia tenuto in conto che sempre più si va rafforzando e strutturando una sorta di »comunità internazionale o meglio una »società globale che vive di relazioni tra soggetti molteplici, tra i quali gli Stati, e che esprime una dimensione di comunanza universale tra gli uomini, premessa indispensabile per una convivenza di pace e di collaborazione internazionale dell'ecumene.

Tale società globale, che trova nella facilità delle comunicazioni una delle condizioni facilitanti assai importanti, vive e si manifesta nel comunicare reciproco volto ad esprimere credenze e valori, interessi competitivi e cooperativi, percezioni e valutazioni, condivisioni e preoccupazioni, un comunicare che si accompagna alla robusta rete di relazioni e di scambi e alle istituzioni che li regolano.

Proprio pensando all'Italia e alla Cina come due dei soggetti che fanno parte ed operano all'interno della società globale ha senso che nel Parlamento italiano si possa discutere di una questione, come quella tibetana, che è stata posta all'attenzione pubblica mondiale, maturando valutazioni ed esprimendo preoccupazioni che, al pari di altre, possono costituire uno dei tanti elementi di una trama di comunicazioni reciproche tra attori della società globale.

Difficile esprimere giudizi definitivi su una realtà assai diversa da quella occidentale per storia e per cultura, tanto più che esistono interessi a manipolare le informazioni in vista di particolari obbiettivi politici. La relazione tra aree periferiche ed aree centrali nel corso di grandi processi di trasformazione sociale ed economica guidati da queste ultime è sempre una relazione problematica, ed i problemi possono essere aumentati laddove per concezione politica la guida di tali processi intende avere una portata forte, connessa vuoi ad orientamenti ideologici, vuoi ad interessi economici consistenti. I processi di modernizzazione mettono in difficoltà la sopravvivenza delle culture tradizionali, suscitano reazioni di classi sociali che dai processi innovativi vengono marginalizzate. E l'esperienza dell'Europa di ieri e di molte aree africane ed asiatiche di oggi. Il tutto si complica se a queste difficoltà del cambiamento sociale si sommano difficoltà derivanti da un mancato consolidamento della leg

ittimazione di un'appartenenza statale presso alcuni strati della popolazione o presso una parte della leadership tradizionale, per cui alle difficoltà create dal processo di modernizzazione si aggiungono quelle derivanti dalla necessità di controllo delle tensioni separatiste, talora connotate in termini religiosi, come accade nel Tibet. Si aggiungano le difficoltà create da un ambiente montano difficile, con una densità demografica bassissima, una tradizione culturale fortemente autonoma, non sempre facilmente comprensibile da chi le è estraneo. Facile compiere errori, facile mettere in crisi delicati equilibri che garantiscono la sopravvivenza di un popolo di meno di quattro milioni di abitanti sparsi per meta in una regione arida e immensa e per l'altra metà in province dove esso e minoranza. (Brusio in Aula).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, capisco che state discutendo della mozione, ma forse è utile farlo o fuori o comunque in modo più tranquillo. Senatore Gubert, prego.

GUBERT. Grazie, signora Presidente. Da qui l'invito ad una particolare attenzione alla salvaguardia della specificità di una cultura, controllando e valutando l'impatto delle politiche di sviluppo sull'identità culturale del popolo tibetano. Si aggiunga che non tutte le grandi civiltà dell'umanità hanno un retroterra culturale come quello della civiltà europea occidentale che ha fortemente evidenziato l'importanza dell'individualità umana e dei suoi diritti rispetto alla comunità e allo Stato. E quand'anche tale retroterra sia in qualche misura presente, non sempre da esso è scaturita una codificazione dei diritti e dei doveri della persona cosi come sviluppata nell'esperienza storica occidentale. Sarà merito del crescere della società globale se potrà rendersi più condivisibile un'interpretazione dei diritti della persona codificati nelle dichiarazioni degli organismi internazionali più piena ed integrale. Con molte ragioni i documenti emessi dalle autorità cinesi sottolineano come primario diritto umano si

a quello di veder garantito il soddisfacimento dei bisogni di base dell'uomo, senza il quale ogni petizione di ulteriori diritti risulta vana. Tuttavia è provato come »non di solo pane viva l'uomo , come proprio il soddisfacimento dei bisogni primari offra maggiori spazi a nuovi bisogni, di natura più spirituale, la cui soddisfazione risulta impossibile senza l'adeguato riconoscimento del libero svilupparsi della soggettività individuale e di gruppo. Proprio l'enorme merito delle autorità cinesi nel porre le condizioni per uno sviluppo economico rapido, specie dopo la svolta impressa da Deng Xiao Ping, tale da consentire un consistente miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, pone le premesse per ulteriori bisogni e sviluppi che richiedono maggiore attenzione ai diritti di libertà. E chiaro che in una situazione cosi diversa da quella europea per retroterra culturale e giuridico e in una situazione che sviluppa nuovi bisogni possano vericarsi e si verifichino comportamenti che appaiono tropp

o sbrigativi alla coscienza occidentale. Da qui l'invito contenuto nella mozione a prestare un supplemento di attenzione in direzione di un rispetto sempre più pieno dei diritti della persona, del resto una meta che vale per tutti gli Stati. Stati europei compresi. Di questa necessità del resto, è crescente l'avvertenza in Cina. Normale è sentirsi dire che negli ultimi anni si sono fatti progressi nelle possibilità di libera espressione, normale sentirsi dire da chi è impegnato a livello legislativo nelle istituzioni cinesi che uno dei grandi problemi che la società cinese deve affrontare con urgenza lo sviluppo di un sistema giuridico più moderno ed attento alle necessità regolative di una società che sta diventando più complessa e più aperta; e il processo di codificazione è già in atto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, l'Italia deve contribuire senza alcun titolo ad impalcarsi a maestra, a far crescere nella società globale la sensibilità ai valori del pieno rispetto dell

'identità culturale di ciascun popolo e della piena e libera esplicazione delle potenzialità presenti in ogni persona umana, pur nell'ambito di regole che contemperino esigenze e diritti di tutti. La mozione proposta è un invito al Governo italiano affinché operi in tale direzione anche in riferimento ai problemi che sperimenta la realtà tibetana in un momento certamente difficile per le grandi trasformazioni che la attraversano, ma che può essere denso anche di prospettive positive di sviluppo di un popolo antico e nobile, originale per cultura, per esperienza religiosa, per struttura sociale che ne salvaguardi la specificità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Gavronski per illustrare la mozione 100109.

GAWRONSKI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, noi siamo stati spinti a presentare una mozione sulla questione dell'autonomia tibetana perché, nonostante siamo in linea di principio d'accordo nel merito su molti punti delle mozioni a firma Speroni ed altri e Cortiana ed altri, non siamo convinti dai toni, da alcuni eccessi e dagli strumenti che si vogliono usare per indurre la Cina al rispetto dei diritti umani. Forse insistere sul filone di una condanna inappellabile del Governo di Pechino per 1 politica attuata nei confronti dei tibetani non è la strada migliore per ottenere dei risultati. Abbiamo avuto esempi che confortano i nostri dubbi da precedenti esperienze che vanno dalle risoluzioni di condanna degli Stati Uniti a

quelle del Bundestag tedesco: il risultato è stato di una tensione durata anni fra Washington e Pechino e la cancellazione delle visite diplomatiche tedesche in Cina. D'altra parte, non riteniamo che essere supini alle posizioni di Pechino sia politicamente e moralmente accettabile. Dal punto di vista meramente commerciale è evidente che a noi converrebbe tacere per continuare a firmare i contratti che tanto e giustamente ci interessano. D'altra parte sottoscrivere contratti in un quadro di una stabilità solo apparente può non essere un buon investimento. Per il Tibet l'autonomia religiosa è molto importante: lo è soprattutto perché, al di là della difesa di una identità culturale ben delineata, ciò significherebbe autonomia di amministrazione, visto che nel mondo buddista delle montagne himalaiane, il monastero coincide con il centro amministrativo di una determinata regione. Cosi si spiega anche l'accanimento con cui Pechino ha infiltrato monaci buddisti »cinesi fedeli al Governo nei monasteri tibetani, e

si spiega l'importanza dell'avere come guida della regione un Panchen Lama filogovernativo piuttosto che uno autoctono cresciuto da monaci buddisti tibetani, come ricordava Cortiana. Tutto questo lo diciamo perché ci rendiamo conto che le richieste di autonomia religiosa, per noi occidentali date per acquisite, hanno un altro peso ed un alto valore politico in questa zona del mondo. La Cina deve guardarsi ad occidente dalla penetrazione della mafia russa, già consistentemente presente nelle regioni che confinano con le ex repubbliche sovietiche, dall'influenza, anche commerciale del Pakistan sulla regione musulmana che fa perno su Kashgar, dall'influsso occidentale che ormai regna sulla costa orientale. Si può capire il nervosismo di Pechino quando l'attenzione si concentra su una zona del paese come il Tibet, strategicamente zona cuscinetto fra la Cina e l'India (a cui non è piaciuto affatto vedersi sottrarre a suo tempo una parte del Kashmir da Pechino). L'India (che accoglie il Dalai Lama) è ben attenta

alle manovre tibetane di Pechino e controlla bene il suo confine con la Cina, anche attraverso trattati di protezione come quello con il Bhutan, piccolo regno himalayano che con il Tibet confina e che con esso ha molto in comune. Con questo non intendo tentare un trattato di geopolitica, ma attirare l'attenzione, su quegli argomenti che mi fanno ribadire quanto sia importante adottare con la Cina un approccio non conflittuale, anche per preservare un minimo di ordine internazionale in quella zona del mondo. Ci rendiamo conto che il Tibet, con cui solidarizziamo per la sua storia passata e presente di occupazione militare, di persecuzioni, violenze e restrizioni che Pechino ha adottato nei suoi confronti, avrà difficoltà ad aspettare i tempi della diplomazia, ma soprattutto rischierà di soccombere sotto lo sviluppo di una modernizzazione a tappe forzate con cui Pechino cerca di annacquare l'identità culturale dei Tibetani. In questo, peraltro, non fa altro che seguire l'esempio di chi ha capito che Mac Donald

's può più della diplomazia e delle guerre, quando si tratta di »invadere un paese di influenzarlo e condizionarlo. A parte questa battuta è evidente che si perderebbe un popolo intero con le sue tradizioni di pace e la propria specificità culturale, un popolo che vive in simbiosi con la natura di quegli altopiani. Davanti a questo scenario non possiamo fare altro che aiutare la Cina nel proprio processo di democratizzazione, evitando che questo venga visto da Pechino come una manovra per disgregare il paese. Le spinte autonomiste vanno incanalate, non represse, se la Cina vuole continuare ad essere una grande potenza: si tratta di far capire al governo cinese che perseguitare alcune etnie presta il fianco non solo a critiche ma anche a strumentalizzazione dei perseguitati da parte di interessi esterni. Come in tutto questo si possa muovere il Governo italiano, non è facile dire. Di certo non appiattendosi sulla posizione di Pechino in sede di diritti umani, sperando di avere in cambio la possibilità di por

tare a termine alcuni investimenti economici, né urlando alla Cina tutta la propria disapprovazione, cercando lo scontro muro contro muro. Forse ancora una volta possiamo guardare agli Stati Uniti, che pur sostenendo la risoluzione di condanna contro la Cina, in sede di Commissione diritti umani delle Nazioni Unite e pur incontrando il Dalai Lama (è di questi giorni l'incontro con il vice presidente Gori e di sfuggita con il presidente Clinton) riescono ad ottenere l'avvio di relazioni in campo ambientale che prevedono un trasferimento di tecnologia per la prevenzione ed il controllo dell'inquinamento, e anche studi congiunti su una serie di altre problematiche connesse. I rapporti diplomatici fra gli Stati Uniti e la Cina non si consumano solo nelle sedi degli organismi internazionali. L'insistente voce, secondo cui sono in atto delle trattative segrete sui diritti umani per cui la Cina firmerebbe le due Convenzioni delle Nazioni Unite sui diritti umani in cambio della rinuncia degli Stati Uniti a condannar

e Pechino per le violazioni degli stessi, sembrava trovare conferma fino a poco tempo fa, anche se le ultime dichiarazioni cinesi in materia di diritti ad Hong Kong sembrano andare in altra direzione. Quando parliamo di colloqui diplomatici con Pechino sappiamo di avere di fronte un interlocutore con una propensione all'isolazionismo e, già di per questo, diffidente. Ma ciò non toglie che sia necessario dialogare con la Cina senza cercare lo scontro, che moralmente è senz'altro più nobile e più giusto, ma politicamente non è conveniente e poi, diciamolo, non serve ad altro che a lavare la nostra coscienza. Per tutti questi motivi, noi come sempre, ma soprattutto in temi di politica estera, siamo disponibili anzi ricerchiamo la mediazione, e riteniamo sarebbe utile giungere (come già è stato proposto) una mozione comune, unica, che introducesse elementi di risoluzione sulla mozione Cortiana e altri o irrobustisse nella critica al governo cinese quella di Gubert e altri. (Applausi dal Gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. E iscritto a parlare il senatore Pianetta. Ne ha facoltà.

PIANETTA. Signora Presidente, signora Sottosegretario, onorevoli colleghi, i rapporti politici e religiosi tra Cina e Tibet hanno una lontana origine nel tempo. Dal XVI agli inizi di questo secolo, i Dalai Lama hanno anche esercitato una tutela spirituale sulla Cina perché il buddismo era una delle religioni più diffuse dinastie Qing 1910 i cinesi entrarono in Tibet, ma con la caduta della essi furono sospinti fuori dal territorio tibetano. Il penultimo Dalai Lama nel suo testamento spirituale prefiguro, tra l'altro, che tutte le cose sacre sarebbero state tolte dai monasteri con l'annientamento della religione stessa. Il Tibet venne ufficialmente annesso alla Repubblica Popolare Cinese nel 1959 dopo che nel 1951 le truppe della Cina entrarono in Tibet. Prima del marzo 1959 operavano in Tibet, nei 2700 tra monasteri e templi, circa 114.000 monaci. Oggi rimangono 8 monasteri con poco meno di 1000 monaci, ed in Tibet vivono 6 milioni di tibetani e 8 milioni di cinesi di etnia Han. Del resto, la Cina, il cosidd

etto paese di centro, al contrario di quel che si può pensare comunemente, è un ricco e complesso mosaico di popoli, lingue, culture, religioni e tradizioni molto diverse tra loro. Oltre 50 sono i gruppi etnici differenti da quello principale, quello dei cinesi Han. Sono minoranze principalmente concentrate nelle aree di confine, soprattutto nell'area del paese che va dal confine vietnamita a quello pakistano fino a quello sovieticocinese Le difficili condizioni ambientali, geografiche, sociali hanno, nel corso dei secoli, accentuato la separazione di queste etnie dal ceppo principale cinese, emarginando cosi etnie in regioni difficili e con relativa autonomia; quella che mantenne un grado maggiore di autonomia è l'etnia tibetana. Il Tibet, per la sua scarsa popolazione e per la sua posizione molto laterale rispetto appunto al »paese di centro , non ebbe modo di effettuare un influenza politica sul paese e diede invece un grande contributo allo sviluppo culturale e filosofico della Cina. In tutti questi anni

, la Cina ha introdotto una serie di riforme a carattere economico e sociale e la trasformazione della regione autonoma tibetana in zona economica speciale, potrebbe consentire a quella martoriata regione di proiettarsi verso il futuro, garantendo un potenziale di crescita e sviluppo al popolo tibetano con la conservazione della millenaria cultura e tradizione cinese. I diritti religiosi della popolazione tibetana non sono riconosciuti, anzi sono fortemente ostacolati. Il pratico riconoscimento delle libertà religiose da parte della Repubblica Popolare Cinese, potrà essere ottenuto non tanto attraverso campagne contro il governo di Pechino, quanto piuttosto si dovrà saggiamente intervenire, in questa difficile fase, tenendo conto dei legittimi e inviolabili diritti religiosi dei popoli e del popolo tibetano, ma anche tenendo conto della situazione interna cinese e delle tradizioni culturali cui si fa riferimento in Cina. I governanti della Repubblica Popolare Cinese, insieme al Dalai Lama, hanno l'opportunit

à storica di avviare a soluzione una questione che si trascina da troppi anni e che ha causato sofferenze e lutti al popolo tibetano. Di fronte al Parlamento europeo, il capo religioso del popolo tibetano in esilio ha detto: »Io non mi aspetto che nessuno metta il Tibet al di sopra degli interessi del suo proprio paese. Fondamentalmente la questione del Tibet è di natura politica e troverà la sua soluzione attraverso il negoziato .

Anche il capo della chiesa cattolica Giovanni Paolo II, rivolgendosi alle autorità cinesi, ha confermato l'esigenza di garantire nel paese la libertà religiosa, aggiungendo che i cattolici possono contribuire allo sviluppo sociale di quella nazione. Il dialogo e i segnali di concrete libertà per soggetti che intendono coltivare ed esprimere le proprie esigenze di ordine culturale e spirituale, sono avvenuti e si deve fortemente auspicare che possano evolvere rapidamente.

In base al rispetto reciproco, alla non interferenza negli affari interni, al mutuo beneficio e alla compatibilità, si possono instaurare relazioni amichevoli di stabile cooperazione anche in prospettiva di lungo termine. Ritengo che lo sviluppo di più intense relazioni culturali ed economiche consentirà di superare antiche diffidenze e rancori, per far posto ad una cooperazione utile e costruttiva nell'interesse della pace e nel consolidamento della giustizia. Attraverso un ulteriore incremento delle relazioni culturali, economiche, scientifiche, si potranno superare gradualmente le incongruenze ed i reciproci pregiudizi per una sempre migliore coesistenza pacifica. Del resto, dobbiamo tenere conto che il rapporto della Cina con il resto del mondo è stato estremamente complesso. Il territorio è abbastanza vasto per rendere possibile una frammentazione che ha fatto si che la storia della Cina fosse una successione di spaccature e unificazioni. Anche oggi la Cina è alle prese con alcune vocazioni indipendenti

ste; nello Xing Jiang la forte rinascita dell'Islam preoccupa Pechino per i suoi accenti separatistici. Un documento del partito, recente, mette in guardia contro chi vorrebbe esportare in Cina la rivoluzione islamica. Dal modo con cui l'Occidente instaurerà i rapporti con la Cina possono venire conseguenze radicalmente opposte. La Cina può essere una grande opportunità per i paesi occidentali per consolidare la pace, la sicurezza, lo sviluppo equilibrato tra i popoli; non è mai stata una potenza imperialista; i suoi legami economici e culturali sono molteplici, al punto che la Banca mondiale, in un recente studio, parla già di una grande Cina quale possibile profonda integrazione con Hong Kong, Taiwan, Singapore. E certamente problematica la possibilità cinese di costruire questo nuovo equilibrio, ma cio pone grandi problemi anche per l'Occidente. Del resto, è attuale, anzi attualissimo, il nuovo rapporto tra Cina Russia; è stato firmato l'accordo, il 23 aprile 1997, per la riduzione delle truppe ai rispett

ivi confini; è stata anche firmata una dichiarazione congiunta tra Eltsin Jiang Zemin sul mondo multipolare e sulla formazione del nuovo ordine internazionale, nel momento in cui viene detto esistono tentativi di limitare lo sviluppo delle relazioni internazionali verso una dimensione unipolare; e viene sottolineato tra Russia e Cina un alto stadio di comprensione e di reciproca fiducia. Solamente una settimana fa il Ministro della difesa cinese aveva espresso comprensione per le difficoltà in cui si a trovare la Russia in ordine al possibile allargamento della NATO ritenendo quest'ultima è sempre il Ministro cinese che parla espressione del periodo della guerra fredda.

In tutto questo contesto bisogna privilegiare il dialogo. Non lasciare intentata nessuna possibilità per mettere in atto le modalità possibili per giungere a salvaguardare prioritariamente i diritti della persona. Ogni qualvolta una delle libertà fondamentali dell'uomo viene compromessa e disattesa ne soffrono e sono distrutte anche le altre libertà. L'appello è quindi che il Governo italiano metta in atto dei rapporti diretti con la per contribuire ad un dialogo politico per garantire a favore dei tibetani, come pure ad altri soggetti che vivono nella Repubblica popolare cinese di poter esprimere pacificamente e liberamente la propria identità culturale e religiosa. Sarà un contributo prezioso per lo sviluppo e la pacifica convivenza dei popoli. Dobbiamo difendere ovunque i diritti della persona umana perché è ad essi che molti uomini e donne innocenti devono la loro libertà e perché hanno avuto e stanno continuando ad avere una forte e decisiva influenza civilizzatrice. (Applausi dal Gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. E iscritto a parlare il senatore Boco. Ne ha facoltà.

BOCO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina stiamo discutendo le mozioni sul Tibet ed io spero che quest'Aula, che il nostro Senato oggi riesca ad uscire su questo tema con un alto profilo. Mi permetto di prendere pochi minuti in questa fase, cercando poi, insieme ai colleghi, di elaborare un progetto comune. In questa fase vorrei sottolineare soltanto alcuni aspetti. Il Tibet è un patrimonio di tutta l'umanità; da molti anni, vive un momento particolare della sua storia e sappiamo oggettivamente che si tratta di un contenzioso. Voglio ricordare che il Tibet è un territorio che fu invaso negli anni Cinquanta e che costituisce una realtà diversa, molto complessa. La discussione in proposito sta attraversando i Parlamenti di molti paesi e, in questa fase, anche in nostro. Io credo che, al riguardo, vadano analizzate due questioni. Innanzi tutto, il rapporto e la giusta dignità che dobbiamo a un grande paese, la Cina che, senza demagogie, dobbiamo considerare con il giusto rispetto. Tuttavia,

il rispetto che dobbiamo all'importanza di questo paese, al mercato che essa rappresenta e ad una cultura millenaria non può schiacciare e scacciare via il rispetto che dobbiamo ad un popolo, che vanta una delle storie più antiche e profonde dell'umanità. Vari momenti e varie discussioni hanno caratterizzato gli ultimi decenni in Tibet. Certo, ci sono posizioni diverse, ma c'è un riconoscimento internazionale e oggettivo di quanto sta avvenendo nel Tibet. La cultura tibetana si trova sempre più aggredita dalla oggettiva presenza in Tibet di centinaia di migliaia di cinesi, che sono arrivati nel corso degli anni e che hanno concorso ad una trasformazione culturale di quel territorio. Sono sempre delicati i momenti in cui si cerca di trovare una soluzione con il giusto rispetto verso nazioni amiche, che doverosamente rispettiamo.

Tuttavia, io credo che dietro le bandiere del Tibet vi siano quelle di molti popoli della terra, che vedono sventolare quel vessillo a cinque colori, dietro il quale c'è la possibilità di essere riconosciuti per il giusto diritto che gli dobbiamo. Non vorrei mai che prevalesse un meccanismo precostituito in una discussione come questa, orfana della giusta valutazione di ciò che discutiamo. Non vi sono certezze, ma in questo momento un bimbo e la sua famiglia sono stati rapiti. Vorrei anche ricordare che in questo momento sono i laogai, i campi di concentramento tristemente famosi nella memoria europea, a risolvere i problemi Tibetani. Chiedo dunque ai colleghi, come hanno fatto con coraggio, andando in controtendenza, alcuni Parlamenti europei (e credo che abbiamo il dovere di riflettere su questo), di vedere che è possibile con un voto unito di tutto il nostro Parlamento, inviare un monito a difesa della cultura del diritto alla vota che, in questo momento, sul metaforico tetto del mondo è messa così in dif

ficoltà. Ci sono figure riconosciute da tutti, come il Dalai Lama, che rappresentano certo uno dei livelli più alti della spiritualità umana. Ci sono figure lo ricordo che lottano da molti, troppi decenni per il riconoscimento dei giusti diritti di questo popolo. Ora sta a noi dare un contributo con queste mozioni e pertanto invito tutti i colleghi, le varie forze presenti in Senato ad unire tutte le nostre forze affinché si arrivi ad una mozione forte, proveniente dall'Italia, che dica: »Ora basta, lottiamo per la difesa del diritto; ora basta ai soprusi che avvengono in Tibet! . Credo sia arrivato il nostro momento e mi auguro che, nei prossimi minuti, se riesca a risolvere questo problema ed a unirci su questo grido. Vi ringrazio. (Applausi dai Gruppi VerdiL'Ulivo e Sinistra DemocraticaL'Ulivo).

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la senatrice Scopelliti, la quale nel corso del suo intervento illustrerà anche il seguente ordine del giorno:

Il Senato:

viste le Risoluzioni del Parlamento europeo del 15 ottobre 1987. 16 marzo 1989, 15 marzo 1990 12 settembre 1991. 13 febbraio 1992. 15 dicembre 1992 2 5 giugno 1993 17 settembre 1993, 13 luglio 1995 14 dicembre 1995 sull'occupazione del Tibet e la repressione della sua popolazione da parte delle autorità cinesi; viste le Risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite 1353 (XIV) del 1959, 1723 (XVI) del 1961. 2070 (XX) del 1965, viste le risoluzioni sulla situazione in Tibet approvate dal Bundestag tedesco, dalla camera dei deputati belga e dal Parlamento lussemburghese; profondamente preoccupato per le notizie secondo cui Gedhun Choecki Nyima, un bambino tibetano di 8 anni compiuti il 25 aprile scorso. E' stato sequestrato con i genitori dalle autorità cinesi poco dopo essere stato riconosciuto dal Dalai Lama quale ultima reincarnazione del Panchen Lama la seconda autorità spirituale tibetana;

considerando che in tutta la sua storia il Tibet è riuscito a conservare un'identità nazionale, culturale e religiosa distinta da quella della Cina fino a che tale identità non ha cominciato a essere erosa a seguito dell'invasione cinese; riaffermando l'illegalità dell'invasione e dell'occupazione del Tibet da parte della Repubblica popolare cinese e considerando che prima dell'invasione cinese del 1950 il Tibet era riconosciuto de facto da numerosi stati e che esso costituisce un territorio occupato ai sensi dei principi stabiliti dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite; condannando il tentativo intrapreso dalle autorità cinesi di distruggere l'identità tibetana, segnatamente mediante una politica di trasferimenti massicci di etnia cinese nel Tibet, di sterilizzazioni e aborti forzati delle donne, di persecuzioni politiche, religiose e culturali e di sinizzazione dell'amministrazione tibetana; considerando che le azioni politiche del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio son

o ispirate alla teoria e alla prassi della nonviolenza gandhiana e quindi al rispetto profondo degli interlocutori con i quali si ricerca il più costruttivo dei dialoghi; considerando che decine di migliaia di prigionieri politici sono detenuti sul territorio della repubblica popolare cinese nei famigerati »laogai ; considerando in particolare modo che il dissidente Wei Jingsheng, insignito dal Parlamento europeo del Premio Sakharov 1996, è nuovamente in carcere, dopo aver scontato già 14 anni di prigione, per un'ulteriore condanna a 15 anni con l'accusa di aver compiuto crimini controrivoluzionari, vale a dire aver sostenuto le famiglie vittime della strage di piazza Tienanmen del 1989 e che, pur versando in gravi condizioni di salute, non riceve adeguata e necessaria, né farmacologica, né medica; prendendo atto, a partire dalla Risoluzione del Parlamento europeo approvata in aprile. che la repressione della libertà di culto è attuata dal potere cinese non soltanto nei confronti del popolo tibetano, ma altr

esì verso ulteriori popolazioni come quella figura, tanto che nel Turchestan orientale (regione del Xinijang) oltre 100 scuole coraniche sono state chiuse e 180 religiosi, professori e studenti musulmani sono stati arrestati,

impegna il governo:

a chiedere alle autorità cinesi di provvedere a che Gedhun Choecki Nyima e la sua famiglia siano immediatamente rilasciati e possano tornare al loro villaggio; a chiedere al governo cinese di porre fine alle sue violazioni dei diritti dell'uomo di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei popoli e degli individui nel Tibet e in Cina e di interrompere immediatamente i trasferimenti ufficialmente incoraggiati di popolazioni cinesi nel Tibet;

ad intervenire presso le autorità cinesi per sottolineare come la persistente oppressione del popolo tibetano nuoccia alle relazioni fra l'Italia e la repubblica popolare cinese; a chiedere da un lato al governo italiano di favorire ogni iniziativa intesa a risolvere il problema sinotibetano mediante il dialogo politico e dall'altro ai governi cinese e tibetano in esilio di avviare negoziati in tal senso e in tal contesto; manifesta il proprio sostegno agli sforzi esplicati dal Dalai Lama per ripristinare pacificamente la libertà culturale e religiosa del popolo tibetano nonché la sua autonomia politica; a chiedere al governo del Repubblica popolare di Cina la liberazione di tutti i detenuti politici a partire da Wei Jingsheng e dal Panchen Lama; a proporre che il mandato del Comitato sulla Decolonozzazione delle Nazioni Unite sia esteso alla questione delle decolonizzazioni in Tibet; ad assumere le iniziative necessarie per ottenere che al governo tibetano in esilio sia attribuito presso le Nazioni Unite lo

status di osservatore; ad operare affinché la questione tibetana sia iscritta all'ordine del giorno dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite; ad operare affinché la questione tibetana sia presa in esame della prossima Commissione sui diritti dell'uomo delle Nazioni Unite; infine, nell'esprimere il suo sostegno al popolo tibetano e nell'auspicare che siano allacciate strette relazioni tra il parlamento tibetano in esilio e il parlamento italiano, impegna altresì il Governo ad inviare il presente documento al governo cinese, a sua santità il Dalai Lama, al governo e al Parlamento tibetano in esilio e al segretario generale dell'ONU, nonché al Parlamento europeo e alla Commissione europea.

La senatrice Scopellitti ha facoltà di parlare.

SCOPELLITI. Signora Presidente, la materia delle mozioni che stiamo oggi discutendo si può racchiudere in una parola, una sola parola su cui tutti concordiamo, di cui tutti ci facciamo, a volte solo a parole, paladini. La parola è »diritti ; la salvaguardia e il rispetto dei diritti umani. E per questa battaglia che voglio ricordare in quest'Aula, i compagni radicali transnazionali, che da tanti giorni manifestano davanti a Palazzo Madama in un walk around che dura giorno e notte. A loro va il mio grazie per il loro impegno reale in difesa dei diritti umani. Per l'affermazione di questa parola, l'Italia si è fatta, con l'impegno di tutte le forze politiche e di tutti i Governi che si sono succeduti in questi ultimi periodi, portavoce, porta bandiera di una sacrosanta battaglia per l'abolizione della pena di morte nel mondo. Per questa parola ci stiamo impegnando, con determinazione e forza, per difendere l'infanzia dai soprusi, dagli sfruttamenti, dalle violenze.

Proprio ieri, alla Camera dei deputati è stato presentato il piano di azione del Governo e ho sentito dire al ministro Livia Turco, promotrice di tale piano, che quella del diritto è una materia che non vede confini politici, che non ha barriere tra maggioranza e opposizione. Sono fermamente convinta di questo la presidente Salvato lo può confermare e, proprio perché ne sono così convinta, non colgo la provocazione del senatore Migone, il quale, poco fa, mi ha detto che parla solo con la maggioranza per la rielaborazione di un eventuale uovo testo. Diciamo che il suo stato un lapsus, senatore Migone. Oggi abbiamo l'occasione per confermare quanto detto dal ministro Turco, per confermare l'Italia paladina della vita del diritto, perché noi oggi chiediamo che vengano rispettati i diritti di un minore, di un bambino di otto anni, compiuti proprio il 25 aprile, insieme ai diritti di un popolo, quelli del Tibet. Oggi chiediamo che venga posta, fine alla costante violazione dei diritti dell'uomo da parte della Ci

na. Il piccolo Gedhun Choekyi Nyima, riconosciuto dal Dalai Lama quale reincarnazione dell'ultimo Panchen Lama, che è la seconda autorità spirituale del Tibet, è stato sequestrato e viene tenuto prigioniero in Cina. Chiediamo che venga restituito, insieme alla sua famiglia, al suo popolo, al suo destino, al suo futuro, alla possibilità che, da bambino, diventi un grande Panchen Lama. Nel tentativo di distruggere l'identità tibetana, la Cina attua la politica delle sterilizzazioni e degli aborti forzati sulle donne. Chiediamo che sia rispettata la donna e il suo diritto alla maternità. Sempre nel tentativo di distruggere l'etnia tibetana, la Cina ha programmato una massiccia invasione, con trasferimenti forzati, di cinesi sul territorio tibetano; si vuole inquinare l'identità nazionale, culturale, religiosa di quel popolo. Chiediamo che la Cina rispetti il diritto internazionale e le risoluzioni europee in materia di territori conquistati. Molti tibetani, ispirati alla teoria della non violenza ghandiana, son

o tenuti, come prigionieri politici, nei famigerati »laogai . Chiediamo che vengano rilasciati nel rispetto del diritto all'autodeterminazione di un popolo. La Cina si è fatta più volte, forse troppe volte, autrice di gravi violazioni del diritto e della democrazia. Il dissidente Wei Jingsheng, premio Sakharov 1996, dopo 14 anni di carcere, ha recentemente avuto un'ulteriore condanna a 15 anni solo per aver sostenuto le famiglie vittime della strage di Tienanmen e, nonostante il suo grave stato di salute, non riceve neanche le necessarie cure. La Cina attua la repressione della libertà di culto con i tibetani, ma anche con altri popoli come, per esempio, quello degli Uiguri. Noi chiediamo che vengano rispettate, senza eccezioni, le libertà di pensiero e di religione. Non so quale sia la posizione del Governo su tale materia il sottosegretario, senatrice Toia, ce lo svelerà ma so di aver intrapreso delle azioni per capire quale essa fosse, ma non sono riuscita ad avere risposta. Ho inviato una lettera al mi

nistro Dini, sollecitando un incontro proprio per discutere con lui la sorte del piccolo Panchen Lama; ho raccolto firme per chiedere che il dissidente Jingsheng venisse proposto come premio Nobel per la pace, ma non ho avuto risposta e non credo, senatrice Toia, che questo si possa interpretare come un silenzioassenso. Non so cosa sia, perché non conosco le risposte; so però che abbiamo cercato di perdere tempo, so che abbiamo come si dice »pestato l'acqua nel mortaio . Tutto questo non è successo. Il Governo di Pechino fa il suo gioco, su questo non ci sono dubbi; ma il guaio è che allo stesso gioco si prestano supinamente, passivamente anche vari paesi europei. C'è allora da pensare, sempre nel principio che a pensar male si fa peccato ma qualche volta si indovina, che le pressioni diplomatiche di Pechino condizionano vari paesi e vari Governi. C'è altresì da pensare, sempre nel rispetto di quel principio, che forse l'ultima visita del Presidente del Parlamento cinese non solo ci ha impedito di discutere

in tempi reali queste mozioni, ma ha fatto si che il Governo italiano e forse anche il Parlamento venisse coinvolto sulle ragioni del Governo cinese, ragioni che non possono trovare giustificazioni neanche nella sfera dell'economia e della politica, perché sono false soluzioni a dei problemi che invece richiederebbero soluzioni reali. Non trovano giustificazione nella sfera economica e politica, figuriamoci in quella della democrazia e della giustizia. Noi invece con la nostra mozione chiediamo che vengano rispettati i sacrosanti valori della democrazia, della giustizia e del diritto: chiediamo troppo? A me pare di no, anzi mi pare si chieda pochissimo: si chiede quel poco che quotidianamente chiediamo sia rispettato nei nostri confronti; chiediamo che non sia fatto agli altri, ai tibetani, quello che non vorremmo fosse fatto a noi; chiediamo praticamente giustizia. Ho firmato la mozione presentata dal senatore Cortiana, nella quale mi ritrovo molto più che non nelle altre; però, tale mozione, essendo datat

a 18 luglio 1996, necessita di qualche aggiornamento e di precisazioni che sono invece riportate nella mozione che ha come primo firmatario il senatore Speroni. Mi sono pertanto permessa di presentare un ordine del giorno che ho sottoposto al collega Cortiana (che ringrazio per la sua adesione al riguardo e mi auguro che su questo documento possano confluire le firme di quanti, anche in questo caso, si fanno portavoce e chiedono con forza che il diritto venga rispettato in qualunque sede. So che è stata chiesta una sospensione dei nostri lavori per poter elaborare un documento comune. Mi auguro che, essendo comune l'obiettivo, si possa trovare una comunanza anche nel percorso che, molte volte senatore Migone è più importante dell'obiettivo stesso. (Applausi dal Gruppo Forza Italia). Avremmo potuto presentare una risoluzione a Ginevra, nella Commissione diritti dell'uomo, insieme a quella che riguardava la pena di morte, non l'abbiamo fatto. Avremmo potuto sottoscrivere la risoluzione, presentata dalla Dani

marca e da altri dieci paesi europei, che censurava Pechino per la violazione dei diritti della persona in Cina e nel Tibet, ma non l'abbiamo fatto e questo nonostante anche le parole del ministro Dini che, in una intervista a »Il Foglio , aveva dichiarato: »La risoluzione ONU sui diritti umani, nonostante le obiezioni della Cina, deve essere varata. L'Italia non intende concorrere a rompere il fronte europeo . Invece, poi, abbiamo rotto il fronte di 11 paesi europei per schiacciarci supinamente sulle posizioni di Francia, Germania e Spagna. La discussione delle mozioni presentate in Senato, nonostante le espressioni favorevoli dei Capigruppo, è stata sempre rimandata. Il presidente Mancino e qui mi sorprendo molto, perché so che egli è sempre molto accorto e molto attento ai problemi dei diritti individuali adducendo motivi di ospitalità, ha chiesto che le mozioni venissero discusse dopo la visita del Presidente del Parlamento di Pechino. Allora mi chiedo: non sarebbe stato invece meglio discuterle prima e

parlare, proprio a viva voce, con il Presidente del Parlamento cinese delle richieste che l'Italia, quale portabandiera delle questioni di diritto, andava a fare?

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la senatrice Fumagalli Carulli. Ne ha facoltà.

FUMAGALLI CARULLI. Signora Presidente, signora Sottosegretario, siamo qui convenuti per un dibattito molto importante, che riguarda problemi coinvolgenti i diritti umani di un popolo, quello tibetano, troppo a lungo sacrificati. Abituati come siamo alla civiltà occidentale ed alla sua anima di libertà, non possiamo non essere colpiti ogni volta che apprendiamo, agghiacciati, un episodio di limitazione o di sacrificio dei diritti della persona. L'episodio della scomparsa di Gedhun Choekyi Nyima, il bambino tibetano sequestrato con i genitori dalle autorità cinesi dopo essere stato riconosciuto dal Dalai Lama come ultima reincarnazione del Panchen Lama, ossia della seconda autorità spirituale tibetana in ordine di importanza, deceduto nel 1989, ci inorridisce. Esso ci appare una metafora drammatica di quali conseguenze possa produrre la violazione della libertà religiosa e di cosa significhi la richiesta del popolo tibetano di vedere salvaguardata, insieme alla propria identità spirituale, anche la propria ide

ntità culturale e nazionale. Ci sembra che il Governo non possa rimanere insensibile di fronte a tale episodio, anche in considerazione del fatto che in esso è in gioco la violazione dei diritti di un minore. Proprio ieri, il ministro Livia Turco ha presentato un ventaglio ampio di interventi, anche nel settore internazionale, a tutela dei minori; noi eravamo presenti e abbiamo apprezzato tale indirizzo del Governo. Oggi chiediamo al Governo qui presente che, come primo atto di coerenza con tale impegno, solennemente presentato nientemeno che nella sala della Lupa della Camera dei deputati, ponga in atto un intervento a favore di quel bambino di 7 anni, che è stato sottratto ai suoi genitori dalle autorità cinesi. Questo stesso episodio è purtroppo inserito in una serie di tentativi di distruggere l'identità tibetana. Ne abbiamo parlato anche in altre occasioni, ma vogliamo ricordarli anche in questa sede: trasferimenti massicci di popolazioni di etnia cinese nel Tibet, sterilizzazioni e aborti forzati di do

nne, persecuzioni religiose e culturali, sinizzazione dell'amministrazione tibetana. Si tratta di pagine amare per il popolo tibetano, ma ritengo pagine amare anche per il Governo cinese. A fronte di tali tentativi, è certamente ammirevole lo sforzo del Dalai Lama di ripristinare, in modo pacifico, la libertà del popolo tibetano dando a tutti, anche a noi, un esempio mirabile di volontà di dialogo e non di scontro. Questo esempio di dialogo vogliamo seguirlo pure noi ed è in posizione di dialogo che chiediamo al nostro Governo di intervenire su quello cinese. E tanto più chiediamo al nostro Governo di intervenire sul Governo cinese affinché sia rispettata l'identità culturale e religiosa della popolazione tibetana in quanto osserviamo che la Cina conta, al suo interno, ben 56 nazionalità diverse. Temiamo che i processi di modernizzazione, accanto ad indubbi aspetti positivi di valore economicosociale, possano però provocare risvolti negativi proprio per il mantenimento dell'identità tibetana. E con questo sp

irito che noi interveniamo anche in questa seduta.

Abbiamo seguito con interesse l'evoluzione della Cina comunista verso frontiere più liberali. Abbiamo guardato con interesse questa evoluzione, a cominciare dalla svolta di Deng Xiaoping, e abbiamo guardato con interesse ai tentativi molteplici fatti in Cina di costruire uno Stato di diritto. Ricordo, circa 5 o 6 anni fa, di essere stata in Cina e di aver incontrato un professore di diritto penale che mi disse di aver tradotto in cinese, per conto del suo Governo, in particolare per conto di Deng Xiaoping, nientemeno che »Dei diritti e delle pene di Cesare Beccaria. Era allora in atta un tentativo, poi proseguito, di costruire anche per la Cina uno Stato di diritto. Di li a poco, purtroppo, ci fu l'episodio di piazza Tienanmen, quasi una inversione di rotta; ma dopo Tienanmen abbiamo riscontrato ulteriori sforzi del Governo cinese nella direzione di una maggiore libertà. Proprio perché siamo convinti che non si debbano e non si possano creare tensioni all'interno di un paese che si sta assestando sulla via

di una democrazia politica, che non può non essere incoraggiata, vogliamo collaborare, come Parlamento in unione al Governo, perché la Cina si risvegli da questo sonno a riguardo del Tibet. La democrazia politica deve essere incoraggiata e incanalata lungo linee del pluralismo e della tolleranza. Non solo, la democrazia politica può affermarsi per ragioni economiche, che sono pure importanti, ma può e deve affermarsi in Cina anche per considerazioni geopolitiche, che riguardano l'ordine internazionale e il progressivo insediamento di sistemi di libertà. Poiché crediamo a questo difficile cammino di Pechino, minacciata, da un lato, da gravi fenomeni criminali, come l'infiltrazione della mafia russa e, dall'altro, da movimenti neoseparatisti, non possiamo non esprimere alle autorità cinesi la nostra richiesta di progredire nello stabilire una legislazione, in merito alla libertà della persona e dei gruppi sociali, che sia conforme alle dichiarazioni internazionali. Questa linea di dialogo con il Governo cinese

ed anche di fermezza sui punti relativi ai diritti umani quanto chiediamo che il nostro Governo faccia presente alle autorità cinesi. (Applausi dal Gruppo Federazione Cristiano DemocraticaCCD).

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il senatore Novi. Ne ha facoltà.

NOVI. Signora Presidente, la questione del Tibet non può essere certo affrontata con un approccio minimalista; essa implica in realtà, un dibattito serio ed approfondito su quelli che sono stati gli sviluppi dei sistemi comunisti. Lei diceva che il colonialismo è la fase finale e suprema del capitalismo; in realtà, il colonialismo è stata la fase suprema del comunismo, che ha costituito un colonialismo ideologico, devastante, che non rispetta le identità dei popoli. E questo il caso del Tibet, nei cui confronti è in atto, ormai da anni, un vero e proprio genocidio culturale che, prima di essere tale, è stato caratterizzato da un reale genocidio di massa. Sono state estirpate le tradizioni del popolo tibetano, si è cercato di estirpare la sua religiosità, sono stati massacrati coloro che utilizzando il linguaggio gramsciano possiamo definire gli intellettuali organici del popolo tibetano, cioè i monaci. Tutto questo ha rappresentato un costo immane, che è quello poi pagato da tutti i paesi occupati e sottom

essi da sistemi dispotici. Nel comunismo esiste una vocazione al dispotismo orientale che, in genere, viene sottaciuta, ma vi è anche una vocazione a far si che interi popoli vengano resi schiavi. Non possiamo dimenticare infatti, signor Sottosegretario, quello che sta accadendo anche in altri paesi. Non possiamo dimenticare che attualmente in Cina esiste un sistema politico che potremmo definire dispoticomilitarcapitalista; sono stati immessi, infatti, elementi di mercato in una società che, oltre ad essere totalitaria, è anche secolarizzata. Non si può pertanto tacere di fronte a ciò che sta avvenendo, di fronte al persistere di una fortezza, quella cinese, che continua a mantenere prigioniero un popolo di un miliardo di uomini e ad utilizzare sistemi che furono propri di paesi a egemonia e a governo comunisti. La dissociazione da quanto sta avvenendo in Tibet non può essere, dunque, vagamente umanitaria ma deve avere un carattere politico, che si orienti contro quel sistema, contro quei valori che rappres

entano subvalori di oppressione e di autoritarismo. Signora Presidente, sappiamo che il costo del comunismo è stato immane perché ha provocato 26 milioni di morti; siamo a conoscenza non solo dei genocidi avvenuti in Tibet ma anche di quelli commessi durante lo stalinismo, genocidi che sono continuati anche successivamente, come quello tentato e sconfitto nei confronti del popolo afghano. Per questi motivi, signora Presidente, riteniamo che la questione del Tibet si inquadri nell'ambito di quella molto più vasta riguardante la persistenza di focolai dispotici e autoritari che, sostanzialmente, si rifanno ancora alla ideologia del comunismo e che nel loro perpetrarsi richiamano alla nostra mente gli orrori del passato. Purtroppo dal comunismo si esce con sistemi politici che spesso coniugano, nella fase di transizione, speculazione criminale e trasformismo delle vecchie nomenclature. Cosi sta awenendo in molti paesi dell 'Est, cosi temiamo avverrà in Cina.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il senatore Masullo. Ne ha facoltà.

MASULLO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero esprimere brevemente una istanza di carattere etico e culturale in un dibattito che certamente ha un suo fondamentale valore politico, ma che, al di sopra di questo, ha una profonda ispirazione di carattere culturale. Ci troviamo di fronte al dramma di una transizione, perché i grandi processi di trasformazione dei rapporti tra i popoli nel mondo che ci ha preceduto » avvenivano sotto la spinta della forza delle masse, del potere e delle valutazioni di carattere economico. Oggi siamo consapevoli che la ricchezza dell'umanità tutta e quindi di ogni singolo popolo, consiste non nella soppressione delle diversità scomode, ma nella loro conservazione e difesa. Mi sembra perciò che il problema del Tibet vada guardato, al di là di ogni facile ideologismo, come problema di progresso culturale e civile, in questo senso, penso che l'intera nostra comunità politica debba essere su questo molto ferma e al di là di tutte le considerazioni di carattere diplomatic

ooperativo, vada sottolineato il carattere strettamente morale e altamente culturale della questione e soprattutto la difesa, nel Tibet, di una antica civiltà la cui perdita certamente renderebbe più povera la nostra medesima cultura. Oggi siamo profondamente convinti, che se c'è un'etica nuova è quella dei rapporti interculturali, del modo con cui le varie culture si debbano porre tra di loro in relazione, non negando ciascuna la diversità dell'altra, ma stabilendo con essa una profonda relazione. In questi termini, mi associo ed esprimo tutta la mia solidarietà ad ogni iniziativa che valga, al di là di ogni considerazione particolaristicamente politica, a sollevare di un altro po' il livello della nostra coscienza universale nei riguardi dei grandi valori senza i quali noi stessi non saremmo degli individui. (Applausi dal Gruppo Sinistra DemocraticaL'Ulivo).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione.

MIGONE. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MIGONE. Signora Presidente, ho chiesto la parola semplicemente per ribadire l'opportunità di una breve sospensione che consenta di unificare testi variegati, ma che tuttavia convergono sul medesimo obiettivo, che è quello di un maggior rispetto dei diritti del popolo tibetano.

PRESIDENTE. Se non ci sono osservazioni, sospendo la seduta per un quarto d'ora.

(La seduta, sospesa alle ore 10:50 è ripresa alle ore 11,15).

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori. Ha facoltà di parlare la rappresentante del Governo.

TOIA, sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signora Presidente, colleghi, abbiamo assistito ad una discussione molto complessa e certamente molto ampia, che ha messo in evidenza la difficoltà di una situazione, quella della regione del Tibet all'interno della Repubblica popolare cinese, che probabilmente ha bisogno anche di sede di approfondimento di studio e di conoscenza più da vicino di una realtà cosi lontana per noi; occorre trovare appunto occasioni di approfondimento al nostro interno per avere elementi più certi, più sicuri di contorno e di conoscenza dei complessi fenomeni oggi qui richiamati, che vanno dagli aspetti politici a quelli religiosi, a quelli dello sviluppo economico, sociale e civile, a quelli dell'affermazione anche di un'autonomia. In questo dibattito, che come ho detto approfondimenti anche di studio e di conoscenza, credo vada tenuto conto anche del riferimento a due elementi di fondo che voglio qui richiamare, senza i quali rischieremmo di avere una interpretazione non ap

propriata, non consona alla complessità della situazione. Il primo l'ha richiamato già qualche collega è quello delle dimensioni enormi del paese di cui parliamo, della Cina: dimensioni territoriali, dimensioni di popolazione, ma soprattutto dimensioni di presenza di etnie diverse (ben 56). Siamo in presenza di una pluralità cosi vasta che certamente pone problemi molto complessi di equilibrio fra l'affermazione delle diverse realtà etniche, delle diverse autonomie culturali specifiche e di governo dell'insieme di queste etnie. Il secondo punto che volevo richiamare che pure è stato sullo sfondo delle citazioni di molti interventi è quello dell'evoluzione che la Cina, le istituzioni, il Governo cinese stanno compiendo in questi anni, dopo la scelta dell'apertura dell'economia libera, piuttosto che della ricerca anche di una forma di democratizzazione di queste istituzioni; un percorso certo non lineare, un percorso faticoso per la complessità che richiamavo nell'altro punto e anche per le difficoltà che l

a vicenda politica cinese sta vivendo proprio in questi mesi con l'appuntamento del prossimo Congresso, che evidentemente potrà rimettere in discussione oppure dare un'accelerata a questo processo di riforme. Parlo genericamente del processo di riforme, ben sottolineando e sapendo tutti noi come un processo che a volte vede più l'accelerazione dell'aspetto economico non possa non trascinare con sé, nella sua evoluzione economica, una evoluzione politica, civile e sociale. Credo questo sia uno spazio importante nel quale possiamo inserire la nostra azione ed i nostri rapporti con tale paese. All'interno di queste due considerazioni di carattere generale si pone la questione del Tibet, che è al centro dell'attenzione delle diverse mozioni presentate da colleghi che da tempo la seguono e che l'hanno posta all'attenzione dell'intero Senato. Si tratta certamente e possiamo dirlo con termini chiari di una regione che ha conservato, e che ha sempre manifestato ed espresso, una propria caratteristica identità cult

urale, etnica e soprattutto religiosa rispetto ad altre culture od altre etnie, proprio per questa forte identificazione della componente del lamaismo e della presenza di una autorità religiosa come il Dalai Lama. Infatti è caratteristica dell'identità specifica della cultura del Tibet la componente religiosa e soprattutto spirituale, che si esprime in una religiosità che diventa accentuazione della spiritualità, come è stato detto nel primo intervento. Crediamo, cosi come viene sollecitato dalle diverse mozioni e da tutti gli intervenuti, che tale identità culturale e religiosa vada salvaguardata e che occorra sottolineare come per questa regione, che pure è parte del territorio cinese, si debba chiedere che quel processo di autonomia che già si era manifestato con la definizione della regione autonoma, non si interrompa, ma veda, un consolidamento dell'autonomia della regione.

In questo senso credo siano importanti le prese di posizione degli esponenti tibetani, non solo di quelli religiosi come il Dalai Lama ed altri, che sottolineano come la strada del dialogo che viene richiesta debba portare all'affermazione di questa autonomia, al suo rafforzamento e alla difesa delle libertà senza peraltro innescare processi di separazione o di indipendenza che metterebbero a rischio la stessa regione. Credo che questo sia il punto centrale e a tale proposito vorrei assicurare che il Governo, cosi come si è fatto interprete di questa preoccupazione e di queste istanze, anche sulla base di quello che sarà l'esito di questo dibattito, si farà ancora più attento interprete delle istanze di salvaguardia dell'autonomia e di difesa delle libertà religiose e civili all'interno del capitolo più generale dei diritti umani. Signora Presidente, colleghi, non mi addentro in alcuni punti che sono stati richiamati e che forse richiederebbero delle puntualizzazioni: quando si parla di massicci trasferiment

i di popolazione han cinese, ad esempio, si dovrebbe andare a verificare, all'interno di quello che è oggi il Tibet (non di quello che è stato storicamente, in tempi nei quali la presenza cinese era molto rilevante) quale sia realmente la situazione e quali siano le spinte, a volte di segno diverso, che hanno inciso sull'iniziale processo di tibetizzazione, ossia sull'impegno da parte del Governo centrale cinese a fare spazio a rappresentanti tibetani all'interno dell'amministrazione, salvaguardando certamente la responsabilità politica massima, che ricade sul segretario regionale del partito che è espressione del Governo cinese (ma così è in tutte le realtà della Cina). Si è verificato infatti un alternarsi tra un processo iniziale di tibetizzazione e un successivo isolamento delle presenze tibetane. Dobbiamo quindi chiedere che non si interrompa il processo iniziale e che si ripristini una forma di autonomia, senza il Governo vuole essere molto chiaro al riguardo peraltro configurare con la nostra azione

, pur nella sua chiarezza e nella sua efficacia, un'interferenza nella sovranità e nell'autonomia del governo della Repubblica Popolare cinese.

Ritengo che questo sia un punto importante e che non vi sia contraddizione tra un'azione chiara del governo che rappresenti la preoccupazione del Senato italiano, oltre che di tuto il popolo che chieda un'azione che si evolvo sempre più verso il rispetto dei diritti umani e l'affermazione del rispetto della sovranità del Governo cinese e della volontà di non interferenza ma di dialogo con tale governo anche sui temi controversi che configurano un capitolo di dialogo critico e non certo disteso e facile.

Su questo punto vorrei fare due sottolineature, anche rispondendo ad una osservazione dei colleghi della Lega. E' stato detto che l'Italia è stata tra i paesi che hanno frenato l'affermazione di una posizione comune europea a livello della Commissione dei diritti dell'uomo di Ginevra. Posso contestare questa affermazione, anche se il collega Peruzzotti che, mi pare, l'aveva fatta, non è presente in Aula in questo momento; credo tuttavia che sia una precisazione importante per tutti i colleghi. L'Italia ha cercato tenacemente che si arrivasse ad una posizione comune europea, questo si, ed ha lavorato in tal senso. Infatti, solo una posizione comune europea poteva avere efficacia, poteva avere forza, poteva rappresentare un punto significativo. Di fronte all'impossibilità di arrivare ad una risoluzione comune dell'Unione Europea, è vero, non abbiamo firmato la risoluzione che qualche paese aveva presentato, proprio perché a quel punto essa non aveva efficacia e non offriva la possibilità di ottenere quel risul

tato che invece per altre vie vogliamo conseguire. Come è noto, peraltro, non si è arrivati alla votazione di questa risoluzione per effetto di una mozione di no action che è stata presentata e che ha ottenuto voti sufficienti tali da impedire la discussione della risoluzione. Questa è stata la limpida e coerente posizione del Governo italiano ma su questo punto vorrei invitare i colleghi ad una riflessione. Dobbiamo porci il quesito se la strada più efficace per arrivare ad incidere veramente nelle scelte di un altro paese, per poter rappresentare davvero gli elementi fondamentali che ci fanno essere propugnatori della difesa dei diritti fondamentali dell'uomo, sia quella di prese di posizione ferme e decise, che rappresentano anche la nobiltà delle nostre istituzioni e delle nostre posizioni, o se invece non dobbiamo tener conto del fatto che con determinati paesi simili posizioni generano irrigidimenti, chiusure del dialogo e dunque spesso inefficacia delle nostre posizioni. La strada che io indico è altr

ettanto chiara, non è in subordine ma è una scelta che va posta sul tappeto: avere la possibilità, nel quadro di rapporti bilaterali positivi, intensi e frequenti, di rappresentare, magari con più discrezione rispetto alle azioni ufficiali e plateali, ma spesso con più efficacia e fermezza, le nostre richieste, le nostre preoccupazioni, le attese non solo nostre ma di tutto il mondo sviluppato rispetto ad una potenza come la Cina che è un grande paese, che siede nei consessi internazionali, che oggi deve evolversi in questa direzione anche in ragione del ruolo internazionale che ha e che avrà sempre di più e della sua posizione centrale per la stabilità della sua regione. La strada del dialogo critico è quella che il Governo italiano privilegia; è la strada scelta sul tema più generale dei diritti umani e sarà anche la strada che percorreremo nel contenuto del documento unitario che spero il Senato vorrà approvare. All'interno di quest'ultimo proprio per dire che non si tratta solo di parole ma di iniziativ

e concrete svilupperemo intensamente quel quadro di cooperazione giudiziaria che spesso fra università, uomini di ricerca, centri di formazione è in atto affinché si aiuti e questa, si, è concretezza per arrivare all'affermazione dei diritti umani questo paese a diventare quello Stato di diritto che sta cercando di essere, quindi a raggiungere quel traguardo del consolidamento del corpo giuridico, di norme, di una prassi che oggi non c'è.

La carenza sotto il profilo dei diritti umani è spesso legata all'assenza di una normativa articolata sul piano penale e civile, sul piano del diritto commerciale ed economico. Questa è una strada concreta, ma suggeriamo anche la via della cooperazione sempre più forte, sia universitaria, sia culturale, sia di assistenza tecnica, per l'elaborazione e per l'applicazione di norme del diritto, per la creazione di libere realtà di tribunale, quindi per l'intera gestione del diritto e per la sua attuazione pratica. Crediamo che questa sia una strada che aiuti la difesa dei diritti umani, più dell'affermazione generica di prese di posizione che però non fanno maturare né il dialogo, né l'ascolto, né i cambiamenti. Infine, signora Presidente e lo dico anche ai colleghi, soprattutto ai colleghi che sul tema dei diritti umani sono cosi attenti, pregandoli che almeno su questo punto mi ascoltino credo che un passo importante per affermare il tema dei diritti umani nei paesi in via di sviluppo che spesso sono quelli

più carenti dal nostro punto di vista in ordine a questo capitolo, sia quello di parlare con essi e spiegare loro che non si sta compiendo né un tentativo di ingerenza culturale, di neocolonialismo da parte dei paesi sviluppati rischio che è sempre avvertito e sempre è in agguato né un tentativo di interferire per ragioni economiche e di freno al loro sviluppo. E' necessario far capire a questi paesi, nell'ambito di un dialogo e non di uno scontro, che l'affermazione dei diritti umani non rappresenta un discorso successivo e contrario a quei diritti che essi pongono in prima istanza come i diritti fondamentali, cioè quelli dell'indipendenza, dello sviluppo e spesso della sopravvivenza. Concordo sul fatto che dovrà essere esercitato un ruolo europeo e che l'Europa dovrà trovare una propria identità, tale ruolo inoltre dovrà essere capace di spiegare a questi paesi che non c'è un prima e un dopo, che non c'è la sopravvivenza e poi i diritti ma che i due aspetti devono essere affrontati contemporaneamente.

Tutto questo deve avvenire nell'ambito del rispetto delle loro sovranità, delle loro culture e nell'ambito di un dialogo che ripeto a volte è critico ma rappresenta sempre un dialogo e non una condanna o una interruzione di rapporti.

CORTIANA. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORTIANA. Signora Presidente, la sospensione della seduta è stata utile e proficua perché ha consentito un'ampia convergenza su un documento che auspico comporti il ritiro delle mozioni presentate dagli altri senatori, affinché si affermi la più vasta espressione dell'intero ramo del Parlamento. Relativamente al tema dello sviluppo, vorrei dire al sottosegretario Toia che sarebbe necessario parlare anche della natura di tale sviluppo. Invito pertanto a riflettere su quello che sta accadendo alla fascia di ozono per ogni frigorifero dotato di freno per il raffreddamento installato all'interno delle case cinesi. Tutto questo infatti rappresenta un tipo di sviluppo che potrebbe pregiudicare la qualità.

Fatta questa premessa, comunico il ritiro della mozione 100019 e do lettura del testo dell'ordine del giorno n. 2, recante la mia firma:

<tenuto conto:

che la popolazione tibetana ha conservato nella storia una propria identità etnica e culturale, ed una visione religiosa maggioritaria (accanto ad un espressione minoritaria rappresentata ancor oggi dalla religione Bon) che ha fatto del buddismo lamaista un'esperienza originale rispetto al più generale credo buddista che, insieme a taoismo e confucianesimo, ha impregnato la società e la cultura cinesi; che, proprio in forza di questi suoi caratteri originali, il Tibet ha sempre goduto di un'ampia autonomia politica ed amministrativa, sia in seno all'Impero cinese sotto la dinastia Qing, che come patria di una delle cinque maggiori etnie (simboleggiate dai cinque colori dell'allora bandiera nazionale) su cui si fondava politicamente la prima repubblica cinese; che gli imperativi del processo di modernizzazione in atto in tutta la Cina possono portare in Tibet, insieme agli innegabili benefici economici e sociali, anche a negative ripercussioni su un ambiente naturale e su stili di vita che rappresentano il c

uore dell'identità culturale e religiosa tibetana; che la lacerazione storica rappresentata dalla rivolta tibetana del 1959 non è stata superata, come le ricorrenti turbolenze della regione e le attività separatiste all'interno e all'estero dimostrano, rendendo più che mai necessaria la ripresa di un dialogo costruttivo tra il Dalai Lama ed il Governo cinese, che, più in generale, le Autorità di Pechino hanno condotto una forte politica di omogeneizzazione su tutto il territorio anche attraverso un massiccio invio di rappresentanti governativi,

impegna il Governo:

a farsi interprete presso il Governo cinese, anche nel quadro del dialogo bilaterale sui diritti umani, delle preoccupazioni che anche il popolo italiano nutre circa i rischi di una progressiva perdita di identità che il Tibet, corre concretamente in assenza di misure che garantiscano effettivamente quell'autonomia di cui dovrebbe già godere; a sollecitare il Governo cinese a garantire, nell'interesse stesso della stabilità e del progresso civile del Tibet, il rispetto dei diritti fondamentali della persona e delle locali collettività anche nell'attività di mantenimento dell'ordine pubblico, esprimendo la disponibilità del Governo italiano a collaborare con le Autorità cinesi per lo sviluppo del sistema giudiziario e più in generale delle fonti del diritto della Repubblica Popolare Cinese; a sollecitare, in ogni utile occasione, il Governo cinese a riprendere il dialogo con il Dalai Lama di cui apprezza l'impegno per avviare

un costruttivo processo che porti ad una pacifica composizione delle attuali profonde divergenze, ripristinando la libertà culturale e religiosa del popolo tibetano, nonché la sua autonomia e il rispetto dei suoi esponenti;

a rappresentare al Governo cinese, nelle sedi opportune e nelle occasioni che si presenteranno, il vivo auspicio del Governo italiano per il pieno rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo nel Tibet, con particolare riferimento al bambino Gedhun Choekyi Nyima, alla sua famiglia e a tutti coloro che, per motivi politici e religiosi, ne siano e stati privati; a operare in tal senso in tutte le sedi internazionali competenti, a cominciare dalla Commissione sui Diritti dell'uomo delle Nazioni Unite .

2

CORTIANA

Presidenza del vice presidente FISICHELLA

PRESIDENTE. Senatore Peruzzotti, vorrei sapere se intende mantenere la mozione n. 100108 o se si riconosce nell'ordine del giorno appena illustrato dal senatore Cortiana.

PERUZZOTTI. Signor Presidente, ci riconosciamo nell'ordine del giorno presentato, però vorremmo comunque che la mozione fosse posta in votazione perché l'ordine del giorno ci va bene per il riferimento che si fa: »alla propria identità etnica e culturale e alla: »ampia autonomia politica ed amministrativa mentre non ci trova d'accordo in relazione all'intervento che il Governo italiano dovrebbe svolgere con il governo cinese. Ancora una volta ci si vuole nascondere dietro parole infarcite di demagogia. Sinceramente avremmo preferito che il Parlamento approvasse un documento più incisivo nei confronti del governo cinese, evidentemente questa maggioranza non vuole andare contro il regime comunista che imperversa in Cina e si comporta di conseguenza. Comunque, riteniamo di poter aderire a questo ordine del giorno presentato dal senatore Cortiana, ma chiediamo comunque nel contesto la votazione della nostra mozione che riteniamo più pregnante.

PRESIDENTE Senatore Gubert, vorrei sapere se intende mantenere la mozione n. 100106, se si riconosce nell'ordine del giorno presentato dal senatore Cortiana e, comunque, quale determinazione generale vorrà assumere in proposito.

GUBERT. Signor Presidente, credo che l'ordine del giorno accolga lo spirito nel quale si era posta la mozione che avevo presentato insieme ad altri colleghi, in quanto sottolinea appunto la necessità di un dialogo

con la controparte cinese e la sollecita ad una maggiore maturazione nel rispetto dei diritti umani. Vi è però qualche affermazione che mi sembra un po' eccessiva come: »il massiccio invio di rappresentanti governativi , visto che ritengo basterebbe dire: »l'invio di rappresentanti governativi e come: »una forte politica di omogeneizzazione che credo tutto sommato corrisponda ad una parte della verità, l'altra è quella di una politica di sviluppo che in qualche misura esiste anche dal punto di vista culturale.

Se i proponenti volessero leggermente modificare il testo, ne sarei molto lieto. Peraltro, credo che nell'insieme si possa condividere tale ordine del giorno al quale aggiungerei la mia firma se fossero apportate delle piccole modifiche. In tal caso ritirerei la mia mozione.

PRESIDENTE. Senatore Gubert, se ho capito bene, in sostanza lei ritira la sua mozione ed è pronto ad aggiungere la sua firma a condizione che ci siano delle piccole correzioni al testo. Chiedo al senatore Cortiana qual è il suo parere sulla proposta del senatore Gubert.

CORTIANA. Signor Presidente, avrei preferito che queste condizioni il senatore Gubert le avesse poste prima, quando nel corso della riunione alla quale abbiamo partecipato tutti si è redatto il testo. Non credo che adesso lo si possa ridiscutere.

PRESIDENTE. Senatore Cortiana, comunque la proposta del senatore Gubert interessava solo alcune parole dello stesso.

CORTIANA. E vero, signor Presidente, però non riesco a capire il problema relativo al termine »massiccio che non è messo a caso, ma che implica sostanzialmente un giudizio abbastanza severo. Non abbiamo potuto parlare, proprio per trovare un accordo tra tutti, di invasione, troviamo degli altri eufemismi. Personalmente chiederei al senatore Gubert di ripensare un attimo la questione.

PRESIDENTE. Mentre il senatore Gubert e il senatore Cortiana si concertano, chiedo al senatore Gawronski se mantiene la mozione n. 100109 oppure la ritira essendo stato presentato l'ordine del giorno n. 2 da parte del senatore Cortiana.

GAWRONSKI. Signor Presidente, noi riteniamo che l'ordine del giorno n. 2 ricalchi abbastanza da vicino la nostra mozione e quindi non abbiamo difficoltà a ritirarla. Inoltre io personalmente, ma credo anche gli altri firmatari della mozione n. 109, siamo disposti ad aggiungere la firma all'ordine del giorno n. 2 del senatore Cortiana.

PRESIDENTE. La mozione n. 109 è stata dunque ritirata. Ricordo che la senatrice Scopelliti ha presentato l'ordine del giorno n. 1, per cui la pregherei di far sapere se ritiene che il suo ordine del giorno possa essere anche soddisfatto dal testo dell'ordine del giorno presentato dal senatore Cortiana.

SCOPELLITI. Se questa è la domanda che mi pone, signor Presidente, la risposta purtroppo è no, non mi sento soddisfatta. Il mio ordine del giorno aveva una specificità maggiore. Però, siccome devo imparare, essendo opposizione, ad accontentarmi anche dei piccoli passi, allora aggiungerò la mia firma all'ordine del giorno n. 2 del senatore Cortiana chiedendo però che l'ordine del giorno n. 1 che a questo punto ritiro rimanga agli atti della discussione di questa seduta, perché voglio che sia chiaro quello che avremmo voluto per rappresentare la difesa dei diritti e quello che invece possiamo avere. In questa delusione sul documento che andiamo a votare devo dire che mi conforta l'impegno che è stato qui garantito da parte della senatrice Toia: siccome ho avuto già modo di lavorare con lei sulla risoluzione per l'abolizione della pena di morte so quanto lei, signora Sottosegretario, sia capace di assumere questi incarichi anche con passione e convinzione. Quindi sono convinta che anche questo piccolo passo ch

e stiamo per votare con questo ordine del giorno sarà portato avanti dall'impegno della senatrice Toia con passione e convinzione. Sono confortata inoltre da alcuni passi degli impegni del Governo, soprattutto quello di portare la questione tibetana nella Commissione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite: ovviamente volendo dare un'interpretazione autentica credo che sia la prossima riunione. Non si tratta di una volontà a futura memoria perché credo che sia una volontà vicina. Chiedo però al senatore Cortiana, perché temo che nella stesura del documento sia sfuggito questo inciso, di valutare la possibilità di cassare, alla terza riga del secondo comma degli impegni del Governo li dove recita: »il rispetto dei diritti fondamentali della persona e delle locali collettività le parole: <> perché credo che non sia un riferimento preciso nella materia che andiamo a trattare e che potrebbe invece dare adito a delle interpretazioni contro le nostre v

olontà. Chiedo soltanto che questa frase venga cancellata dal documento. (Applausi dal Gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. La ringrazio, senatrice Scopelliti. In buona sostanza il senatore Gubert e il senatore Cortiana hanno convenuto che nell'ordine del giorno n. 2 si possa cancellare nell'ultimo comma prima dell'impegno del Governo, laddove recita: »le Autorità di Pechino hanno condotto una forte politica di omogeneizzazione l' aggettivo forte e poi, successivamente, laddove si parla di: , si possa cancellare il termine »massiccio . Vi è poi il suggerimento avanzato dalla senatrice Scopelliti di cancellare l'inciso: »anche nell'attività di mantenimento dell'ordine pubblico nel secondo comma dell'impegno del Governo. Domando al senatore Cortiana se è d'accordo con questa cancellazione.

CORTIANA. Sì, signor Presidente. In effetti è sfuggito nel momento in cui abbiamo preparato la stesura comune. Sono più che mai d'accordo perché darebbe luogo ad un'interpretazione equivoca.

PRESIDENTE. La senatrice Scopelliti ha ritirato l'ordine del giorno n.1.

FUMAGALLI CARULLI. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUMAGALLI CARULLI. Desidero aggiungere la mia firma all'ordine del giorno n. 2.

RUSSO SPENA. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO SPENA. Signor Presidente, in realtà avevo chiesto di intervenire in precedenza sulla proposta della senatrice Scopelliti, di cui comprendo il senso. Però, leggendo il testo e valutandolo da un punto di vista giuridico, credo che le parole »anche nell'attività di mantenimento dell'ordine pubblico rafforzino il significato che la senatrice Scopelliti vuol dare all'ordine del giorno e alla mozione, perché si garantisce la difesa »dei diritti fondamentali della persona e delle locali collettività anche in un ambito che altrimenti il Governo potrebbe ritenere escluso, cioè quello del mantenimento dell'ordine pubblico. Quindi, secondo me, questa espressione non andrebbe eliminata, comunque, se la senatrice è concorde con il senatore Cortiana per la sua soppressione, accetto la loro decisione.

PRESIDENTE. Quindi, senatore Russo Spena, mi sembra che sostanzialmente ci sia una convergenza. Invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi sull'ordine del giorno in esame e sulla mozione n. 100108.

TOIA, sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Per quanto riguarda l'ordine del giorno n. 2, il Governo conviene con quanto in esso si chiede a proposito degli impegni che successivamente si dovranno assumere. Mi corre solo l'obbligo di sottolineare, in relazione all'ultimo punto del dispositivo, che normalmente tali questioni sono sollevate nell'ambito dei rapporti bilaterali, piuttosto che nella sede generale dell'Assemblea dell'Onu. In ogni caso, se c'è la volontà di mantenere questa formulazione, il Governo la accetta. Per quanto riguarda la mozione 100108, per la cui votazione insiste il senatore Peruzzotti, non ne condivido la formulazione, le premesse e lo spirito che la anima, anche alla luce della discussione cosi fruttuosa che ha visto ciascuno rinunciare a qualcosa per arrivare però ad una posizione comune dell 'intero Senato, che è certamente più forte.

PERUZZOTTI. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERUZZOTTI. Chiedo di apporre la mia firma e quelle dei senatori Speroni, Lorenzi, Provera, Antolini, Manfroi, Lago, Gasperini e Ceccato all'ordine del giorno n. 2. Mantengo comunque la mozione 100108.

ROBOL. Signor Presidente, chiedo che vengano apposte anche la mia firma e quelle dei senatori Rescaglio, Zilio e Monticone.

MASULLO. Signor Presidente, la prego di aggiungere anche la mia firma all'ordine del giorno n. 2.

firma.

SQUARCIALUPI. Signor Presidente, vorrei aggiungere la mia

RUSSO SPENA. Anch'io.

BORTOLOTTO. Signor Presidente, chiedo di aggiungere la mia firma e quelle dei senatori Boco, Pieroni, Rocchi, Carella, Pettinato, Manconi, De Luca Athos, Ripamonti, Semenzato e Sarto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della mozione 100108.

DE CAROLIS. Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE CAROLIS. Signor Presidente, avevo aderito inizialmente ad un ordine del giorno presentato dal senatore Gubert. Non ho firmato né firmerò nessun ordine del giorno tra quelli presentati, perché li considero vere e proprie forzature rispetto ad una esigenza di modernizzazione che è in atto in tutta la Cina e di cui è a conoscenza il nostro Ministero degli esteri. Ritengo inoltre abbastanza grave che, nel momento in cui si fanno appelli, anche nel nostro Paese, per una omogeneizzazione di tutti i nostri comportamenti rispetto alle altre democrazie europee, soprattutto le più avanzate, anche in questo caso si voglia fare i primi della classe. Del resto è già avvenuto nel recente passato riguardo ad alcuni atteggiamenti di Chirac che io non condividevo, ma che poi ci hanno portato a tener conto dei nostri buoni rapporti con la Francia con tutto quello che ne è seguito. Pertanto, non solo non voterò nessuna delle mozioni presentate, ma ritengo opportune e confacenti, allo scopo di tutelare l'identità tecnica e c

ulturale della popolazione tibetana, tutte le opportune iniziative che, in questo momento, sta portando avanti il ministro degli esteri Lamberto Dini.

PERUZZOTTI. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERUZZOTTI. Chiediamo la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico, della mozione 100108.

PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta di votazione con scrutinio simultaneo, avanzata dal senatore Peruzzotti, risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

(La richiesta non risulta appoggiata).

Senatore Peruzzotti, mi sembra che la sua richiesta non sia appoggiata e pertanto non possiamo procedere alla votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico.

PERUZZOTTI. Signor Presidente, eravamo in quindici!

PRESIDENTE. Metto ai voti la mozione n. 100108, presentata dal senatore Speroni e da altri senatori.

Non è approvata.

Metto ai voti l'ordine del giorno n. 2, presentato dal senatore Cortinana e da altri senatori, nel testo modificato.

E' approvato.

 
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