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Conferenza Partito radicale
Di Stefano Rita - 2 maggio 1997
Lingua e convivenza

Da "Internazionale" 1 maggio 1997 pag. 3

EL PAIS, SPAGNA

II governo catalano ha prospettato la necessità di rivedere la legislazione in materia linguistica, che risale al 1983, con lo scopo di incoraggiare l'uso sociale della lingua catalana. Ma il presidente Pujol ha voluto che fosse chiaro che la convivenza è un valore più importante e ha proposto che la revisione legale non venga realizzata a partire da un progetto del governo ma di una commissione parlamentare congiunta, allo scopo di avere un consenso più largo. Sebbene la commissione abbia convocato tutte le componenti sociali e le abbia invitate a esprimere un parere, la battaglia si è scatenata fuori, nell'opinione pubblica, riuscendo a turbare il clima rilassato in cui il dibattito si era svolto fino a quel momento. Quattro diocesi catalane, con un documento comune, hanno intimato ai castigliani di imparare il catalano come "noi abbiamo dovuto apprendere la loro lingua". Il successo di una regione bilingue come la Catalogna si basa sull'esistenza di una comunità di cittadini che non fa differenze linguist

iche catalani sono tutti quelli che vivono e lavorano in Catalogna perciò la frontiera tra "noi" e "loro" innalzata da questo documento, oltre a essere offensiva per una parte della popolazione, è inquietante per tutti: mira irresponsabilmente a turbare la concordia civile. Non c'è da meravigliarsi, quindi, che altri vescovi, anche loro catalani, l'abbiano criticato. Un altro documento, sottoscritto anche da alcuni vescovi e rettori delle università, sostiene che sarebbe "desiderabile" che il catalano fosse l'unica lingua ufficiale della Catalogna, partendo dalla convinzione che, in una società dove si parlano due lingue, quella minoritaria il catalano non potrà sopravvivere accanto a quella più forte. L'unico rimedio sarebbe, se si accetta questa dubbia previsione, imporre per legge il monolinguismo. Ma le ipotesi di ingegneria linguistica non possono prescindere dalla realtà, e coloro che le propongono dovrebbero valutare se una Catalogna monolingue per decreto sarebbe coerente con il pluralismo dell

a sua società. La Costituzione stabilisce che tutti i cittadini devono conoscere lo spagnolo, e questo dovere esiste anche per i cittadini catalani rispetto all'altra lingua ufficiale, dal momento che tutti gli studenti devono dimostrare di saperla parlare. Ma per l'utilizzo privato di una lingua da parte dei cittadini deve essere rispettato il principio della libera scelta. Non si tratta solo della sopravvivenza del catalano. Nessuno quanto gli stessi parlanti di questa lingua può comprendere le preoccupazioni per lo spagnolo che sono state manifestate nel recente congresso in Messico (vedi Internazionale 177). Se l'indebolimento del catalano può richiedere che ci sia una discriminazione in suo favore, un'amministrazione bilingue o il riconoscimento ufficiale della unità della lingua, niente può, al contrario, legittimare un'intromissione delle amministrazioni nell'uso privato. Per importanti ragioni morali, ma anche pratiche: per non risvegliare, dove per miracolo non esiste, un rancore linguistico che fi

nirebbe per mettere in pericolo una convivenza che finora è stata esemplare. Le statistiche dimostrano che la conoscenza del catalano si sta estendendo, e questo accade perché tutta la società catalana senza distinzione tra "noi" e "loro" lo desidera. Con tutto questo chiasso non sarà possibile elaborare una legge che nasca dal consenso; e senza consenso non sarà una buona legge, ma una frontiera che dividerà la società tra vincitori e vinti. (B.T.)

 
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