Da "Internazionale" 1 maggio 1997 pag. 29
Ogni giorno la violenza delle armi colpisce gli algerini. Nascondendo un'altra violenza: l'economia distrutta, le infrastrutture inesistenti, il ritorno delle epidemie
SELIM ZAOUI, LE MONDE, FRANCIA
Haouch BoughlefKhemisti è nella piana della Mitidja. Nella notte tra il 21 e il 22 aprile, 93 persone sono state uccise in questo villaggio a 25 chilometri a sud di Algeri. Ventiquattro ore dopo a Omaria, un villaggio nella provincia di Medea, si contano più di 40 vittime. Lo scenario è sempre lo stesso: le bande armate scendono dalle montagne, entrano nei villaggi e massacrano senza distinzione uomini, donne e bambini. Anche le armi sono sempre le stesse: coltelli, accette e spade. E uguale è la ferocia con cui i responsabili portano a termine la loro missione. Ciò che è cambiato è il rilievo con cui i giornali, sottoposti a una ferrea censura, danno la notizia. Evidentemente tanto i gruppi armati quanto il governo hanno dato inizio alla campagna elettorale per le elezioni del 5 giugno, le prime dopo l' annullamento delle legislative del 1992. Un reportage dalla Mitidja: Questo angolo maledetto, dove la morte si aggira come un cammello cieco.
ALGERI, 26 MARZO 1997
Cade la notte, improvvisa come la lama di una ghigliottina, sulla pianura della Mitidja, la vasta mezzaluna di terra grassa che racchiude, tra l'Atlante e il Mediterraneo, Algeri la Bianca. Una regione in origine melmosa e infestata dalla malaria, la cui bonifica, da parte della Francia conquistatrice, ha generato il mito del soldatocontadino. L' Algeria indipendente ne farà un mito rovesciato. Il giorno in cui la Mitidja ridiventerà una palude, il popolo algerino avrà cancellato ogni traccia del colonialismo, dice un detto popolare. Oggi il leggendario giardino tende a diventare una giungla di cemento, assediata per giunta dal colera. E dalla peste di un terrore senza nome, né volto, né ragione. Al riparo della sua fragile casupola costruita alla bell' e meglio, abusivamente, sul terreno di una fattoria francese da tempo abbandonata a causa della rivoluzione agraria, Houria, in una sera di metà febbraio, prepara la cena per la sua famiglia. Zidane, suo marito, e il loro figlio maggiore, Salah, dovranno fra
poco, ciascuno per proprio conto, andare a passare la notte da un parente o da un amico che abita a Birkhadem, un sobborgo di Algeri, lontano un' ora di autobus. Qui, in questo maledetto angolo della Mitidja dove ormai spuntano solo le capanne dei fellah che hanno lasciato il djebel (montagna) dei loro avi, la morte si aggira come un cammello cieco. Per scongiurare la sorte, bisogna dunque allontanare ogni maschio adulto. Inutile precauzione, Houria lo sa fin troppo bene, perché la guerra civile non ha riguardi né per i lattanti né per i vecchi o gli infermi. Uscendo, fra poco, Zidane e Salah potrebbero benissimo imbattersi in un falso posto di blocco.
Un colpo d'arma da fuoco squarcia la notte. Lo sparo proviene dalla bicocca vicina, rifugio del prozio di Houria. Quest' ultima spegne la luce. Zidane e Salah si nascondono sotto il grande letto a molle. Si sente di nuovo il crepitio di una raffica. Silenzio. E poi il grido di zia Baya, che echeggia come il rombo di un tuono: »Tornate indietro, finitemi dunque, ve ne supplico, in nome del seno che vi ha allattato... Non mi lasciate così, sola come un fantasma sulla faccia della terra! Il commando assassino cinque o sei uomini, secondo l' uno o l' altro dei testimoni, vestiti di tute verde oliva o in jeans, col dito sul grilletto del kalashnikov è scomparso senza lasciare altra traccia che il sangue versato. Zio Derradji giace sul pavimento nuovo come un automa rotto, col viso sfigurato dalla raffica sparata in piena bocca. Uno dei suoi denti verrà ritrovato conficcato nel muro. Col petto insanguinato, suo figlio Nabil, vent' anni fra tre giorni, respira ancora. Ferito alla spalla e al ventre, Mohamed, il
prozio, trova la forza di mormorare a proposito del fratello già morto: "Sono riuscito a tenergli l' indice alzato... Ha potuto testimoniare che non c è altro dio all infuori di Dio...". Non c è telefono per chiamare la polizia. E quand'anche ci fosse, quella non verrebbe, per paura, fondata, di un tranello. La macchina di un vicino trasporta Mohamed e Nabil all'ospedale militare di AmNaadja, a 15 chilometri di distanza. Il giovane spirerà lungo la strada. L'anima dello zio ritornerà a Dio l'indomani, a metà mattinata.
Il caposettore della guardia comunale, una milizia di circa 50mila fucili arruolata dal ministero dell'interno, arriva il giorno dopo, con la sua scorta armata fino ai denti, proprio nel momento in cui la famiglia decimata torna dal cimitero. Riunisce tutto il douar (accampamento), ossia tredici famiglie, per ripetere la stessa parola d'ordine la cui eco risuona da un capo all'altro dell'Algeria: "Lo Stato non può mettere un soldato dietro ogni cittadino in pericolo. Vi invita, invece, a unirvi a un gruppo di autodifesa. Ognuno di voi riceverà allora un'arma per difendere la propria casa e il proprio onore".
Parla di corda in casa di un impiccato. Il defunto Derradji non faceva forse la guardia a un municipio il cui il sindaco eletto, integralista, era stato poco prima destituito manu militari e immediatamente sostituito con l'attuale delegato esecutivo comunale (Dec)? Lanciato il suo messaggio, il miliziano non avrà né una parola di conforto per la famiglia né un gesto di aiuto. Mohamed e suo fratello lasciano, in due, diciassette bocche da sfamare, un bambino da tirar su e tre ragazze da maritare. La televisione non ha fatto parola della carneficina. La carta stampata l'ha ignorata. E' normale. Dal giugno 1994, ogni informazione concernente la sicurezza deve passare al vaglio di una "cellula di comunicazione" che ha sede nel palazzo del governo, ad Algeri. Il decreto ministeriale che l'ha istituita "raccomanda" alla stampa nazionale di fornire un'informazione "sana e credibile". A questo scopo, il giornalista deve "banalizzare e minimizzare l'impatto di ogni atto terroristico". Si sforzerà, in compenso, di "so
ttolineare il carattere inumano" del misfatto privilegiando lo "sgozzamento", l' "attacco all'ambulanza", "la morte e la mutilazione di bambini". Così il supplizio di Derradji, Mohamed e Nabil verrà passato sotto silenzio, per mancanza di conformità ai canoni stabiliti. In virtù di questo, la notizia del giorno riguarda solo un ennesimo massacro, compiuto la stessa notte, non lontano di là, nel villaggio di BenAchour. Bilancio ufficiale: sedici civili, donne e lattanti, uccisi col khandjar, il pugnale locale. E' una fortuna che Houria, come molta altra gente qui, abbia dimenticato la sua istruzione e non sappia più leggere. Non passa giorno senza che la stampa dia notizia di una strage, conforme al profilo richiesto, commessa nella Mitidja: Tixerame, Douaouda, Boufarik, Beni Mered, Ben Chebel. E perfino a Blida, città fortificata e sede della prima regione militare. Soprannominata ElQahba, "la baldracca", dal tempo della reggenza ottomana, a causa del suo megabordello felliniano, soppresso negli anni Settant
a dal rigidissimo colonnello Boumedienne, Blida è considerata un feudo degli integralisti, ieri seguace del Fronte islamico di salvezza (Fis) e oggi pronta a prestare orecchio alla formazione Hamas del veterano Fratello musulmano Mahfoud Nahnah (opposizione legale).
L'informazione sulla violenza
Stando unicamente all'informazione autorizzata dalla cellula di comunicazione, la ripresa del terrorismo che ha insanguinato l'ultimo Ramadan, nel gennaio e febbraio 1997, avrebbe riguardato soltanto il triangolo AlgeriMédéaBlida, ossia una piccolissima parte del territorio. Si tratta di un parossismo di violenza concentrato in uno spazio geografico limitato o di una particolare informazione sulla violenza? Tutti lo sanno: l'opera della morte semina ovunque, senza tregua, il ferro e il fuoco. L'informazione "sana e credibile" ha solo l'imbarazzo della scelta per selezionare l'ecatombe ritenuta degna di superare il muro del silenzio.
E se questa violenza fosse solo una cortina fumogena alzata per nascondere un'altra violenza, quella che corrode fino all'osso un'intera nazione? Chi si preoccupa così dell'agricoltura, delle strutture sanitarie, della rete stradale e ferroviaria, della penuria d'acqua, dell'impoverimento crescente, del ritorno in forze della difterite e del kalaazar? Il kalaazar chiamato anche chiodo di Biskra o bottone del Sahara , che scava dei crateri nella pelle, si trasmette spesso attraverso i cani. Centoundici casi sono stati denunciati, nel 1996, alla prefettura di Béchar. E quest'ultima ne ha contati sessanta nel solo mese di gennaio
1997.
La vita umana vale meno di una "cipolla marcia", il costo della sopravvivenza schiaccia il popolo. Le casse dello Stato non hanno mai incassato tanti petrodollari interamente destinati, borbotta l'uomo della strada, "a perpetuare un regime che confonde l'eternità dell'Algeria col proprio mantenimento alla direzione dello Stato". Fra la popolazione attiva, una persona su tre non ha nessun lavoro. Piegandosi a una richiesta del Fondo monetario internazionale (Fmi), il governo ha smesso di sovvenzionare la semola, l'olio, lo zucchero e il latte in polvere. Di fatto la generazione dell'indipendenza era stata privata di latte fresco. Poi è arrivata la fallimentare rivoluzione agraria. Infine, caso unico nella storia: convinto da un consigliere europeo di tendenze marxiste che non esiste rivoluzione che non sia proletaria, Boumedienne importerà in cambio di oro nero un tessuto industriale per creare una classe proletaria, invece del contrario! Crollo dell'industria, naufragio dell'agricoltura. Primo importatore mo
ndiale di latte in polvere, l'Algeria compra quasi la metà del grano duro scambiato sul mercato internazionale, precisa la pubblicazione parigina Spécial Maghreb. Su questo suolo che un tempo ha ingrassato l'impero romano, che ha inventato il dry farming sistema che permette di raccogliere l'acqua piovana per irrigare il terreno e ha visto nascere, alla svolta del secolo, la clementina, si vendono arance del Marocco (meno care di quelle algerine), olio d'oliva made in italy e mandorle tunisine. Il prezzo della baguette è decuplicato dall'inizio della guerra civile nel 1992, passando da 1 a 10 dinari, ossia 300 lire. Un chilo di carne costa circa 16mila lire, un decimo del salario minimo locale, che basta appena a curare un'influenza, tanto il prezzo dei medicinali, importati, è salito alle stelle. Il paese fabbrica solo una medicina su sette, il resto proviene dall'estero: la pillola anticoncezionale dall'Ungheria, l'aspirina dall'India, il testosterone e gli antimeteorici dall'Iran. Alcol, cotone, cerotto
e mercurocromo sono scomparsi dai grandi magazzini, allo scopo di privare la guerriglia di ogni materiale di pronto soccorso. Qualsiasi prodotto anestetizzante è considerato strategico, il che costringe più di un ospedale rurale a operare i pazienti da svegli. Il malato deve spesso fornire personalmente lenzuolo, cotone, siringa, filo chirurgico e pellicola per radiografie. Nel suk si trova tutto al mercato nero. Tutto questo passa sopra la testa di Houria. Il caos della sua esistenza riflette il caos generale algerino. Figlia della "guerra di liberazione", Houria ha visto la luce in una mechta (villaggio) della Piccola Cabilia, limitata dal trapezio BéjalaSétifDjemilaDjidjelli. La "pacificazione" del djebel condotta a termine dal generale Maurice Challe, nel 1959, ha svuotato il suo villaggio, i cui abitanti sono stati rinchiusi in un campo di raccolta. Coprifuoco, filo spinato, ma anche medico e scuola. Lo stato maggiore francese si proponeva, in quel modo, di togliere l'acqua (i contadini) al pesce (la ri
bellione). L'indipendenza l'ha sorpresa all'età di sei anni e l'ha condotta ad Algeri. Così almeno ha deciso suo padre, che riteneva impossibile un ritorno al paese natale. Ha lasciato la scuola solo per sposarsi, come vuole lo spirito di clan, con un cugino germano, Zidane, anche lui "emigrato dell'interno". Lei, casalinga, e lui, operaio edile, avranno "quattro figli e tre figlie" e un abbozzo di casa in muratura nei pressi della Cité Djmanfou (dal francese j' m'en fous, me ne frego), una celebre bidonville sulle alture di Algeri. Non ci fosse stato l'ordine del colonnello Chadli Benjedid, che, a partire dal 1984, costrinse l'amministrazione e la polizia a "risanare" la capitale ripulendola da tutte le abitazioni "raffazzonate", sicuramente ci abiterebbe ancora. El Moudjahid, l'organo del Fronte di liberazione nazionale (Fln) al potere, parlerà di "eliminazione delle catapecchie".
Ripartire da zero
Una gelida mattina, Houria ha visto arrivare una spalatrice, inviata dalla gendarmeria. Ha dovuto "sgombrare". Issata su un camioncino con la sua marmaglia, il televisore, la cucina a gas, una pila di materassi e la sua rabbia a fior di pelle, Houria ha ripreso la strada del suo villaggio natale, nella Piccola Cabilia. Un agente motociclista accompagnava il corteo, caso mai la famiglia tentasse di tornare indietro. Una volta arrivata alla casupola paterna, lontana chilometri dal comune, è stato necessario ripartire da zero. La sommossa dell'ottobre 1988 contro il regime "cuginista" allusione allo spirito di clan ha arrecato un po' di sollievo alla sua rabbia impotente. Le elezioni comunali pluraliste del giugno 1990, le prime del genere, le hanno offerto finalmente la possibilità di dire la sua. Houria ha votato Fis e ha lasciato la capanna del villaggio senz'acqua corrente né elettricità per trasferirsi in una casa in muratura a due passi dalla sede della municipalità. Ahimé! Il sindaco eletto, un islamis
ta appartenente alla tribù dei Beni Y. è parente prossimo del suo predecessore dell'Fln, mediante una bustarella, la costringerà a cedere a un emigrato rientrato dalla Francia la metà della casa in cui è appena riuscita a deporre il suo fagotto! Il colpo di Stato dell'1l gennaio 1992 avrà l'effetto di mandare in prigione il capo della municipalità e sedicente "uomo di Dio". Un Dec, uomo della giunta militare e anche lui Behi Y., ha preso in mano gli affari municipali e ha continuato a gestire il servizio tribale a spese del servizio pubblico. Una sola licenza commerciale è toccata in sorte a una persona che non faceva parte della sua tribù. Il 30 giugno 1993, una squadra islamica ha appiccato il fuoco al municipio. Il Dec è scappato e non si è fatto più vedere. Nessun gendarme si arrischierà ad arrivare fino al comune per denunciare il misfatto. Da un giorno all'altro lo Stato è svanito. Il dispensario ha sospeso la sua attività, seguito dalla maternità e quindi dalla farmacia. Il potere centrale ha decretat
o un embargo contro ogni regione passata sotto l'egida islamica. Niente più stipendio per il personale insegnante, già condannato alla disoccupazione dall'Esercito islamico di salvezza (Ais), il braccia armato del Fis, che aveva incendiato la scuola elementare e la scuola media, compresa la mensa. Neanche più un autobus che facesse la spola tra quella regione e il litorale. L'immensa foresta di Guerrouche, polmone della Piccola Cabilia, si è trasformata in un luogo malfamato. Fino a quel momento onnipresente, l'esercito ha smantellato l'importante base radar, installata con grandi spese in pieno djebel, e si è ritirato, lasciando il campo libero all'Ais. Una delegazione di abitanti si è recata, in segreto, dal capo della daira (circoscrizione amministrativa), il sattoprefetto, per invocare la protezione dello Stato contro i ribelli. "Di che vi lamentate?", ha protestato l'alto funzionario. "Avete votato per quella gente? Adesso tenetevela!". Durante l'inverno 1994, la neve ha isolato il villaggio dal resto d
el mondo per ventotto giorni. Fino a quando l'Ais è riuscito a razziare uno spazzaneve in un altro comune per liberare la pista che raggiungeva la strada nazionale. Dall'estate 1993 fino alla primavera 1995, la regione natale di Houria vivrà all'ombra della sharia. Sorpreso con una sigaretta in bocca, Zidane è stato bastonato. Houria si è recata alla tomba di Sidi A., il santo patrono della sua tribù, per implorarne la protezione. Sacrilegio: un enorme escremento troneggiava sul cenotafio dell'antenato, "amico di Allah". Imbevuto di wahabismo saudita (movimento musulmano rigorista), l'Ais ha messo fuori legge il culto dei santi, ritenuto idolatra. Lasciando la tomba, Houria ha incontrato un uomo con la barba che le ha intimato di mettere il velo alla figlia, Manai, che aveva appena sei anni. Temendo che un mujahid (combattente) le forzasse la mano chiedendole quella della figlia maggiore, Lamia, Houria si è affrettata a mettere l'adolescente al sicuro, da sua madre, ad Algeri. Il ritorno dell'esercito nella
zona islamica che ha finito per allargarsi fino a un terzo del litorale, dove si affolla quasi 1'84 per cento della popolazione non ha niente di una pacificazione alla Challe. Mentre la Legione straniera occupava giorno e notte il djebel, l'Esercito nazionale popolare (Anp) si tiene all'interno del capoluogo. Le truppe islamiche hanno tutto il tempo di ritirarsi per rintanarsi nel cuore della foresta circostante. L'Anp e l'Ais o qualche Gruppo islamico armato (Gia) qua e là si osservano da lontano. Di giorno, l'esercito detta legge. Di notte, regna la milizia islamica. E il "djebel dei tartari", una guerra senza fronte. Khalifa, un cugino di Houria, conducente di camion, è stato ucciso a bruciapelo da un mujahid dell'Ais per "collaborazione" col regime del Taghout, il Mammone del Corano. Un altro, Hamid, è stato rapito, diciotto mesi fa, a un posto di blocco: non si hanno notizie di lui. Da allora, la sua bambina chiama "papà" ogni uomo che indossi una djellaba.
La privatizzazione della sicurezza
Buona allieva del Fondo monetario internazionale, la giunta militare destatizza a tutta forza. Privatizza persino la "sicurezza", per non dire la repressione. Oltre a un esercito di mestiere di circa 125mila uomini, il regime mantiene la polizia comunale, forte di 50mila fucili, e la milizia di 60mila "patrioti", ritenuti tali dal "campo democratico e modernista". Un totale irrisorio, tenuto conto della natura del terreno e del conflitto. Lo stato maggiore francese aveva mobilitato 550mila soldati, appoggiati da una grande potenza militare e che potevano contare, localmente, sulla complicità di un milione di europei e sulla collaborazione di quasi 200mila fra harki (ausiliari algerini che hanno combattuto a fianco dei francesi e altre truppe ausiliarie. Ossia più di due milioni di difensori dell'Algeria francese di fronte a nove milioni di algerini musulmani. Sostenuto da un Anp male equipaggiato (il giubbotto antiproiettile è un lusso), poco motivato, molto pio ed estremamente sensibile all'appello per uno
"Stato più giusto", potrà il regime di Algeri riuscire là dove la Francia ha fallito, con un esercito quattro volte più numeroso e in un teatro di operazioni a quel tempo tre volte meno popolato? La paga di un "patriota" sfiora il triplo di un salario minimo. Un cognato di Houria, ex emigrato a Tolone, non ha esitato a "indossare l'uniforme", come si diceva una volta di chi decideva di arruolarsi fra gli harki. Interpellato da un sergente reclutatore, Zidane ha preferito svignarsela. Ad Algeri, per cercare un alloggio e un lavoro. Houria, sua moglie, in un primo tempo l'ha aspettato al villaggio. Nessun bambino andava più a scuola. Il medico militare riceveva i malati, ma non c'era più una farmacia. Il rubinetto "lacrimava" solo un'ora al giorno. Sempre niente autobus né taxi. Lo stesso Dec non aveva il telefono. Nessun giornale. Zidane non osava più tornare, il suo rifiuto di arruolarsi lo rendeva sospetto. Una mattina dell'autunno 1993, un fracasso infernale ha fatto saltare Houria dal suo lettino da campo
. Uno stormo di elicotteri mitragliava il djebel. Napalm. Quel pomeriggio potrà contare ventotto pennacchi di fumo. Il fuoco ha divorato la foresta per due giorni. Houria non resisteva più, tutta sola con sette bambini. Il comune si spopolava. Nel villaggio non restava più anima viva. Testimone indifferente della fuga di un intero popolo, l'esercito non si muoveva. Con un nodo allo stomaco, Houria ha dovuto mettersi i bagagli sulla testa e ripartire per Algeri. Ha preso appena una borsa di abiti e una radio a transistor, regalo di suo fratello emigrato a Parigi. Ha lasciato la cucina a gas, il frigo, un televisore in bianco e nero, una vacca, un vitello e uno splendido orto. Il vitello era appena nato e, terribile strappo alla consuetudine ancestrale, Houria non era riuscita a preparare il piatto consacrato, un couscous condito con l'aghez, il colostro. Un "patriota" si è impadronito immediatamente della casa, del vitello e della madre. Stretta alla sua sfilza di marmocchi, sul tetto di un camioncino, Houria
ha pianto. Scendendo a precipizio dal suo paese appollaiato in alto fino alla riva di Djidjelli, ha superato un'interminabile coorte di gente che abbandonava la propria terra, con un materasso sulla schiena e un tappeto arrotolato sotto il braccio. Solo il quotidiano francofono La Tribune oserà fare un titolo in prima pagina su quell'immenso esodo che, nel corso del 1995, ha svuotato la Piccola Cabilia per intasare ancora di più la Grande Algeri. Sulla strada che costeggia la Corniche della Cabilia, il più bell'itinerario del Mediterraneo, un incendio nella foresta ha gettato sulla spiaggia tutta la fauna del djebel. Immagine indimenticabile: sulla sabbia, fra il mare liscio come l'olio e la montagna in fiamme, un cinghialino e una bertuccia che urlavano alla morte. La morte urlava anche ad Algeri. Sirene di ambulanze, bombe, raid antiterroristici col bazooka, in pieno centro della metropoli. Da Reghala, a est della capitale, a Blida, a sudovest, si estende un arcipelago di isolati, di agglomerati e di lami
era. Colata nella pietra, la leggendaria Mitidja, vestito d'Arlecchino urbano, mescola casupolerifugi e villebunker. La nomenklatura, da parte sua, occupa la Riviera di Algeri, Club des Pins, Moretti, Zéralda, SidiFerruch. SidiFerruch: i soldati di Carlo X vi sbarcarono nel 1830; da lì ripartiranno "mercenari della Francia" . Della Francia? L'allusione si riferisce al "pugno di generali", tutti provenienti dall'esercito francese, su cui riposa la sorte del regime: Khaled Nezzar, ex ministro della difesa e "patriarca" del gruppo, Mohamed Lamari, capo di stato maggiore e architetto della guerra totale contro l' "oscurantismo", Abbès Ghezaiel, capo della gendarmeria, Mohamed Touati, detto "El Mokh" (il Cervello), intellettuale del serraglio e speranza del "polo modernista" . Un passato "francese" che il Fis non ha mai smesso di agitare di fronte a un regime che basa la propria legittimità sulla guerra di liberazione. Così, per una sorta di revisionismo, il partito islamico ritiene che l'indipendenza, proclamat
a nel 1962, abbia consacrato non la fine, ma un nuovo inizio della guerra di Algeria. E conclude che il divorzio con l'antico colonizzatore sarà consumato solo con la caduta di una camarilla di "harki". Restituendo colpo su colpo, il governo, appoggiato in questo dalla stampa "indipendente", chiama "figli di harki" con ambizioni di rivincita certi capi dell'Ais e del Gia, che quest'ultima accusa di perpetuare la lotta perduta dai loro padri.
Vivere ad Algeri
Tanto odio condiviso annienta ogni speranza. Houria non riconosce più Algeri, labirinto sovrappopolato di giorno, e deserto di notte. Una città in cui il denaro della corruzione scorre a fiumi, come il sangue. Mercedes e carri funebri, forzieri in banca e feretri. Per offrire un riparo alla sua famiglia, Zidane ha costruito una bicocca nel settore della Mitidja dove abita solo gente venuta dalla sua regione. Una mechta di ricambio, senz'acqua corrente né elettricità, lontana da qualsiasi strada, ospedale, commissariato, scuola o negozio, "come laggiù". Vivaio di "patrioti" dai salari mirabolanti, gettata in pasto ai coltelli dell'imprendibile Gia. Non si ha più fiducia nello "straniero", che sia... di Orano, di Sétif o di Algeri. Zidane fa dei "lavoretti" in nero, a cottimo, per un medico che si sta costruendo una villa "con garage e piscina". La scuola del comune vicino ha accettato i bambini. Salah, il figlio maggiore, fa lo sguattero in un caffè mauro. Houria è riuscita a ottenere una carta della Khairiya
, la "Beneficenza", una specie di negozio pubblico per i poveri dove si distribuisce caffè, semola, latte e, durante il Ramadan, un po' di carne. Houria non crede più a niente. Ferita dal voltafaccia del sindaco Fis del suo paese natale, non si aspetta più un chicco di grano né dal regime in carica né dai ribelli islamici. Zidane pensa che sia lo Stato a manovrare un terrorismo che, fino a prova contraria, colpisce solo il popolino, lo stesso che ha votato per il Fis. Hocine Alt Ahmed, il leader del Fronte delle forze socialiste (Fss) gli ispira fiducia per il suo credo: "Né dittatura militare né Stato integralista". Salah, invece, si è schierato con l'oligarchia militare da quando suo zio Khélifa è stato ucciso dall'Ais per "collaborazione". Improvvisamente, Houria si sente una straniera in patria. Lei non capisce né i discorsi, in arabo letterario, del generale ministro della Difesa presidente Liamine Zeroual, né quelli, in "berbero moderno", di Said Saadi, capo del Raggruppamento per la cultura e la dem
ocrazia (Rcd). E tanto meno capisce quella femminista algerina che ha visto concionare, in un francese alla moda, su un'emittente televisiva parigina captata ad Algeri. Houria democratica? Al suo orecchio, questa parola non fa rima con niente. Integralista? Credente irreprensibile, non ha mai portato il velo, al massimo un fazzoletto. Si dichiara "a favore del khobz", il pane in arabo, una madre che corre dietro al pane per sfamare la sua famiglia. Ha abbandonato il suo orto per raggiungere ad Algeri il marito e il figlio. Ed ecco che nessuno dei due ha il coraggio di passare la notte in casa. Dice: "Ho cercato di evadere dalla prigione, ma sono inciampata sulla soglia". (C.P.)