Mi sembra opportuno iniziare questa serie di annotazioni con una sottolineatura relativa al dibattito che al Senato Italiano ha visto, martedì scorso, pronunciare e scrivere parole molto - molto - negative.
Entro pochi giorni occorrerà - non ho dubbi - procedere alla compilazione di un vero e proprio dossier, che preveda come proprie parti centrali quelle che descrivano le vicende precedenti la Commissione ONU di Ginevra, e quelle parallele del Senato italiano.
La conclusione di questa vicenda è significativa: la Mozione approvata è significativa soprattutto guardando alla circostanza per cui non una sola parola di protesta è stata espressa dalla Ambasciata Cinese, come siamo riusciti a far sottolineare sul Foglio del 1. maggio in prima pagina.
A quel dibattito non si sarebbe mai giunti se non fossimo noi riusciti a far uscire il ruolo italiano a Ginevra, e la condotta di Mancino al Senato, e soprattutto se non fossimo riusciti a fare divenire la faccenda fonte di polemica politica.
Questo possiamo rivendicarlo.
Nello specifico del dibattito a Palazzo Madama, martedì 29 aprile, alcune cose vanno dette, pur senza dire tutto, che sarà bene quel tutto vada a comporre il dossier di cui sopra. Un punto mi preme però sottoporre alla altrui riflessiione - visto che è progressivamente più raro avere occasioni di riflessioni comuni.
Al dibattito in Aula si è giunti con:
- una Mozione a sottoscrizione maggioritaria verde, depositata nel luglio 96, e comunque firmata da senatori di tutti i gruppi.La Mozione fu presentata al Senato allo scopo - posso dirlo a ragion veduta - di contrastare il ruolo che stavamo acquisendo noi grazie alla operazione che alla camera ci aveva consentito di depositare una Mozione nostra, sottoscritta da deputati di tutti i gruppi, e con nomi di vaglia. I verdi ci rimasero forse male, per essere accaduto alla camera che la mozione fosse - come riportato anche dall'Ansa - una mozione nostra, firmata da capifila di tutti i gruppi e da altri.
- una Mozione a prima firma Speroni, forte di altre 35 firme, scritta da noi, e funzionale però strettamente ad impegnare il Governo a seguire una certa condotta nella Commissione ONU di Ginevra.
- Una mozione a prima firma Gubert, CDU, e firmata anche quella da senatori di vari gruppi, dal CCD a FI, a Sin Dem, PPI, Rinnovamento, ecc. E questa era una Mozione decisamente filocinese.
- Una Mozione a prima firma Gawronski, molto molto moderata, depositata all'ultimo momento.
Il punto di mediazione in Aula è stato trovato - tra tutti, salvo un tentativo fallito della Lega - su un testo scritto da Russo Spena (sic), che rimuove semplicemente il fatto che il Tibet sia stato invaso, che attribuisce alla scarsezza della scienza giuridica cinese quanto lì avviene sul piano dei diritti della persona, et similia, pur se alla fine si impegna il Governo a favorire la presentazione di una Risoluzione nella prossima sessione della Commissione ONU delle NU (primavera prossima, e nel frattempo ci sarà l'assemblea generale ONU, e pochi giorni fa a Ginevra è accaduto quel che è accaduto...
I verdi hanno fatto una figura pessima, e me ne dispiace molto, per varie ragioni. Nella prima fase del dibattito in Aula anzi Cortiana aveva depositato un testo unificato che era stato redatto da noi.
Poi tutti insieme.
Quel che merita intanto attenzione e riflessione - se non è, come è noto non è, possibile una riflessione comune, almeno una approfondita riflessione intima - è che sul voto siano convenuti tutti.
Certo, che i verdi abbiano subito le ragioni di maggioranza può dispiacere; ma è comprensibile. E possiamo comprenderlo, pur se dobbiamo censurarlo. Ma interessante è che le spinte peggiori siano venute da esponenti della opposizione, e che la convergenza sia stata così totale.
Da parte della opposizione non vi è stato nemmeno un tentativo di cavalcare in chiave interna la cosa.
Nemmeno negli interventi in Aula. Nulla.
Insomma, le ragioni di questo sono facilmente immaginabili o comprensibili, quanto meno grosso modo. Interessi congiunti di tipo interno, clima generale, e fattori economici, commerciali, tutto quel che vogliamo.
Ma a me sembra che vi sia una ulteriore considerazione da tenere presente; la più importante.
Che cosa ha spinto tutti i senatori - pochi, in Aula, martedì, ma cambia poco - a così addivenire ad una decisione e a quella decisione?
Molte cose, molti fattori. Molte pressioni.
I poteri forti, la finanza, i potenti dell'economia, e la miriade di piccoli imprenditori che con la Cina e l'Indonesia fanno ottimi affari. Sì, una miriade di interessi, e un interesse forte comune, convergente.
Però, ed ecco il punto, questo fa riflettere rispetto al fatto che non si tratta affatto di poteri forti italiani. Proprio per niente.
Detta così è solo semplicismo, ma confido in chi legge.
Liberismo,poteri forti come li evochiamo e combattiamo, essere liberali, e pure i referendum.
Sono concepibili, oggi, ora, poteri forti italiani? Vivrebbero, o perirebbero se non fossero ad altri coniugati?
A me non sembra che il punto sia la Cina, nel senso che proprio non ci credo che sia il potere cinese che gestisce il futuro mare giallo che coprirà tutto e tutti, dominando il mondo.
Infatti, credo sia chiaro per tutti che non è così.
La vicenda che ha vissuto una tappa con il voto di martedì al senato è chiarificatrice di una arretratezza credo soprattutto culturale delle nostre analisi, e dei nostri segmenti di politica.
Credo che il fatto che siano segmenti sia il primo dei difetti. Ma non soltanto.Noi non possiamo prescindere dal tentare, dal porci il problema di operare - in chiave italiana come in altre chiavi - senza tenere conto che il potere progressivamente, inesorabilmente, e direi soprattutto velocemente sta scorrendo via dalle mani degli stati, delle istituzioni esistenti, delle istituzioni.
Auctoritas e potestas sono concetti diversi. e pure i corrispondenti italiani sono tra loro diversi.
In quel dualismo sta risolvendosi, a favore della potestas, il carattere che oggi sembra più evidente del non assetto del pianeta.
Diritto e sistema giuridico si allontanano dal potere. E senza patologia. Non per dittatura, per riflessi o volontà autoritarie, patologie della pur illusoria Repubblica. Ma si sostituisce il potere di fatto al potere in virtù di diritto.
Senza stare a scomodare illustrazioni immaginifiche, ché lasciamo perdere, decade la politica. E non per patologia, quanto per inadeguatezza della politica alla fase di oggi.
Altro che fine della storia: fine della politica. E della possibilità stessa di scegliere tra così o cosà.
Il problema del riassetto e della ristrutturazione del Partito è certo urgente. Ed è correlato a scelte di allocazione delle varie risorse che i responsabili del partito avranno da prendere.
Non credo che scelte di questo genere possano essere fatte se non a partire da fattori politici, spesso anche di fondo, che vanno analizzati, che vanno posti al centro del dibattito; di un dibattito che oggi non c'è.
Ho l'impressione, molto marcata, che sia invalsa la tendenza a preporre la questione degli assetti a quelle più urgenti, oltre che prodromiche, delle scelte politiche cui non possiamo non essere chiamati.
Mi sembra che debba operarsi un tentativo, un tentativo di salto di qualità.
Quello della capacità di concentrazione delle risorse.
Mi chiedo non incidentalmente se non sia ora di porci il problema della qualità di consumatore che l'individuo ha acquisito e che si approfondisce, Quanto meno - quanto meno - nel senso di guardare a quel punto come ad un passaggio centrale nella necessaria trasformazione della percezione stessa del diritto da parte degli individui come elemento superiore soltanto perché contrattuale: il passaggio dai diritti dei consumatori al diritto oggettivo del consumo e dell'utenza, non solo in termini strettamente concettuali, è un bell'angolo visuale e di intervento.
Questo è un esempio, e possono farsene vari, nello stesso alveo.
Il fatto è che noialtri stiamo rimanendo indietro. E la stessa funzionalità nostra va a farsi benedire.
Il mercato globale è una bufala, se non è mercato. Ed è soprattutto terrificante. Le condizioni perché sia mercato sono molto scarse.
O noi abbiamo la capacità di almeno fornire analisi su questo, su queste dinamiche, oppure invecchiamo. E non serve ripetere qui le cose dette da tempo.
Compattare è tardivo ma necessario. Ma ci si compatta sulle priorità, e sulla consapevolezza della strumentalità dei complementi.
Almeno una fase di studio, con seminari e convegni, investendo dei soldi, magari dando questo taglio ai convegni che pure sono previsti da alcuni soggetti, è indispensabile. Purché l'opera si orienti al Manifesto come altrove l'ho evocato.
Mi sembra difficile mettere in dubbio che nel partito occorra dare più spazio ad alcuni aspetti della politica, magari riducendone altri.
C'è una vecchia storia, tra noi, che racconta di gruppi e di classi dirigenti. Che una classe ci sia è evidente; così come è evidente che un gruppo dirigente in semso proprio non riesce a formarsi, e a decollare.
Paolo P. 4 maggio 1997