IN DIFESA DI BERISHA
di Marco Pannella
L'Opinione, Roma, 21 maggio 1997 (prima pagina)
In Albania e dall'Albania si sta compiendo un ulteriore passo perché in Europa si estenda il sistema partitocratico, contro quello democraticoliberale.
La pretesa dei partiti albanesi di imporre - anche con il ricatto di torbide solidarietà internazionali leggi elettorali proporzionali risponde a interessi di fazione e di conservazione, non a caso fatti propri e sostenuti dai tanti partiti di derivazione o di condizione "postcomunista", socialburocratici in testa.
Questi partiti, nella recente storia albanese, hanno già impedito l'adozione di una Costituzione tendenzialmente liberale e antipartitocratica, imponendo al proprio paese il rafforzarsi di poteri di fatto piuttosto che di diritto, e ponendo, in questo modo, le premesse per quella "libanizzazione" della società, che ha condotto l'Albania alle soglie della guerra civile.
Le reiterate accuse di corruzione rivolte nei confronti del Presidente Berisha e del suo Partito costituiscono una mistificazione e una riabilitazione appena nascosta del regime di Hodja: dietro lo schermo di una "questione morale" albanese si negano, nella sostanza, le responsabilità e le conseguenze di un regime comunista, durato mezzo secolo, fondato su di una corruzione totale, imposta a tutti ed a ciascuno, ed innanzitutto al popolo ed al paese, e non circoscritta alla sola famiglia del dittatore; si sostiene, di fatto, che quanto è avvenuto dalla caduta di Hodja, e sta accadendo in questi giorni, non dipenda dalla "continuità" storica, politica e civile dell'Albania "comunista", ma dalla ricerca di un ancoraggio culturale e politico classico e occidentale, bipartitico, presidenziale e "americano" (e dunque, naturalmente, "autoritario"). Non si può presentare il Partito del Presidente come il partito della corruzione e quelli contrari a Berisha come i partiti dell'onestà: questa non è visione corretta n
é fondata su fatti.
Veramente "vero" è che il Presidente Berisha si è comportato come Presidente di una Repubblica presidenziale e non "parlamentare", come nel "pacchetto" di leggi "costituzionali" veniva stabilito. Ma lo ha fatto certamente meno ed in modo meno scandaloso e grave di quanto non abbia fatto e non faccia quotidianamente il Presidente della Repubblica italiana.
I partiti italiani (e quelli partitocratici di non pochi paesi continentali d'Europa) hanno esportato in Albania molto di sé, cioè molta antidemocrazia e molta corruzione di Stato; molto statalismo e molto assistenzialismo. Tirana e Valona sono oggi lo specchio di Roma e di Torino. Ed è probabilmente vero che lì vi sono stati molti brogli elettorali (e, probabilmente, non sempre da una sola parte). Ma in Italia il problema è stato risolto più radicalmente: in Italia è vietato votare quando si sa che il popolo voterebbe a stragrande maggioranza contro la partitocrazia di destra, centro o sinistra che sia. Si vieta di votare, e si ribaltano i responsi elettorali; si tradisce la Costituzione e la legalità senza bisogno di carri armati. Basta una Corte Costituzionale. Basta un Parlamento che, quasi unanime, attribuisca ai "propri" partiti un finanziamento pubblico che il 93% degli elettori ha negato e abolito.
E non ci sono, a Roma, "brogli". Speriamo che in Albania almeno continuino. Vorrà dire che lì, almeno si vota.