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Partito Radicale Silvja - 29 maggio 1997
FAME, L'ATOMICA DEL 2000
FRA DIECI ANNI CHI NUTRIRA' LA CINA?

Di Rocco Moliterni

(La Stampa, 28 maggio '97)

Discussione/Su "Liberal" politici e intellettuali lanciano un nuovo allarme per il futuro del pianeta

"La Cina è una bomba innescata sul futuro del mondo: sta infatti per esaurire le sue risorse alimentari e quando, probabilmente tra un decennio, si affaccerà sul mercato internazionale per sfamare i propri abitanti il cibo scarseggerà sull'intero pianeta". A gettare l'allarme è Lester Brown, il leader del Word Watch Institute, nel dossier "Allarme C: Cibo e Cina" che la rivista 'Liberal' propone nel numero oggi in edicola.

Il "terremoto alimentare" cinese non è che uno dei riflessi della crescita vertiginosa della popolazione mondiale. Come ricorda il vicepresidente degli Stati Uniti, Al Gore, "quando Colombo salpò dalla Spagna per le sue avventure c'erano sulla Terra 500 milioni di individui". Oggi ci sono più di sei miliardi di bocche da sfamare e le previsioni parlano di 10 nel 2050.

Alla crescita della popolazione si era accompagnata, fino a qualche anno fa, una parallela crescita delle risorse alimentari, basti dire che la produzione di cereali è cresciuta di 6 volte, tra il 1950 e il 1984, e che altrettanto ha fatto la pesca, tra il 1950 e l'89. "Ma recentemente queste tendenze si sono improvvisamente invertite", sottolinea ancora Brown, e anche l'allevamento di animali "non sembra in grado per il futuro di poter soddisfare i nuovi bisogni di cibo".

Diventa così sempre più attuale il pericolo messo in luce, già nel 1992, da un rapporto congiunto dell'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti e della Royal Society di Londra: "Se le previsioni correnti sulla crescita della popolazione sono esatte e le tendenze dell'attività umana sul pianeta rimangono immutate, la scienza e la tecnologia possono non essere in grado di impedire né il degrado irreversibile dell'ambiente né la permanenza in povertà di gran parte del pianeta".

Il conflitto tra i Paesi che hanno fame (e la cui popolazione cresce in fretta) e quelli "sazi" (i cui abitanti sono in calo) rischia di essere una minaccia sul mondo ben più grave degli arsenali nucleari. Un grande vecchio, l'oceanografo Jacques Cousteau, teme per l'umanità un destino simile a quello che, nei secoli scorsi, ha segnato l'Isola di Pasqua. "Circa 50 persone arrivarono sull'isola - ricorda nel VII secolo e diventarono più di 70 mila nel XVII. Nell'arco di questi dieci secoli tagliarono tutti gli alberi, le piogge consumarono il suolo e non poterono più alimentarsi. La società era divisa tra i sacerdoti, gli scultori di quei grandi idoli che stanno in fronte al mare e i cittadini". Con l'esplosione della carestia si frantumò l'ordine sociale e divampò la guerra civile contro i privilegi dei sacerdoti e degli scultori. "Molte persone furono uccise - e mangiate - perché non c'era più cibo. Noi dovremmo considerare l'esperienza dell'isola come un avvertimento divino a non commettere la stessa folli

a su scala planetaria".

Che cosa si può fare per evitare una simile catastrofe? Per Al Gore "dobbiamo riconoscere la necessità di trattare con sensibilità una questione che suscita profonde differenze morali, filosofiche e religiose: l'aborto".

Per Brown "quello di cui abbiamo bisogno sono dei leader in grado di affrontare questa realtà e di impegnarsi in uno sforzo analogo al Piano Marshall lanciato nel 1947. Solo le Nazioni Unite possono gestire un tale impegno ad arginare il degrado ambientale del pianeta". Scettico è Cousteau: "Oggi nessuno sembra assumersi la responsabilità del futuro. I governi sono soggetti a preoccupazioni elettorali di breve periodo. Le Nazioni Unite, che dovrebbero preoccuparsi del futuro, possono solo fare raccomandazioni, non prendere decisioni concrete".

Fiducioso, nonostante tutto, sembra invece Paul Kennedy. L'autore di 'Ascesa al declino delle grandi potenze' afferma: "per fronteggiare questa sfida avremo bisogno di impiegare tutta la nostra abilità e i nostri talenti. E non bisogna considerarla un'impresa disperata". A rendere meno drammatica la situazione potrebbero contribuire nuove scoperte tecnologiche. E l'economia dei Paesi poveri potrebbe migliorare se le nazioni ricche mantenessero la promessa di destinare lo 0,7 per cento del loro prodotto interno lordo per gli aiuti allo sviluppo. "Tutto questo implica un mutamento delle nostre priorità, cosa probabile se avremo leader politici con una visione globale e una propensione ad articolare più ampi e universali principi".

 
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