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Partito Radicale Roma - 4 giugno 1997
LA SCONFITTA DEI LIBERISTI
di PIERO OSTELLINO

Da "Il Corriere della sera" - 4 giugno 1997 - pag. 1

Ora che, nell'Unione europea, tredici Paesi su quindici sono governati dalle sinistre diventa difficile continuare a fingere di credere che ciò sia dovuto (solo) all'»effetto Maastricht , cioè a una sorta di rivolta elettorale contro l'»Europa contabile . In realtà a uscirne sconfitto è il progetto neoliberista e monetarista, malamente importato dagli Stati Uniti e del quale ancor peggio si è tentata l'applicazione. L'Europa (con la sola eccezione della Gran Bretagna) si rifugia nelle proprie tradizionali convinzioni (e convenienze) sociali, peraltro senza aver neppure fatto, ma solo minacciato, la rivoluzione neoliberista e monetarista. E non è detto che sia finita. Là dove governano le »nuove sinistre, chi le sostituirà prima o poi se esse continueranno a cercare di governare come governerebbe la destra? Vengono al pettine i nodi della globalizzazione economica e della conseguente crisi delle economie industriali avanzate che la cultura americana, individualistica, competitiva e ottimista ha sciolto in fa

vore del mercato e che quella europea, neocorporativa, protezionistica e pessimista, si era illusa di sciogliere semplicemente scimmiottando il modello di sviluppo statunitense. Forse invece di affidarsi al facile sociologismo di importazione sulle nuove professioni (da inventare giorno per giorno), sui lavori a tempo parziale, su quelli a domicilio, sulla mobilità, sull'impatto dell'informatica e quant'altro come rimedio alla nuova disoccupazione tecnologica e a quella da competizione con il Terzo mondo, gli europei, compresi i nuovi »liberal , avrebbero fatto bene a rileggersi qualche paginetta del vecchio Marx. Avrebbero scoperto così la scomoda verità con la quale, ora, devono fare culturalmente, politicamente e socialmente i conti: che, scomparso il »nemico comunista, è riemersa in tutta evidenza l'antinomia fra i due differenti principi organizzativi della vita dell'uomo nella società, il capitalismo e il mercato, e la democrazia. In che cosa consista tale antinomia fra capitalismo e mercato, da una p

arte, e democrazia, dall'altra, è presto detto. Il capitalismo e il mercato ubbidiscono alla logica della »sopravvivenza del più forte." di chi meglio si adatta alle circostanze (che è, poi, l'etica individualistica, competitiva e ottimista che ha ispirato la rinascita economica americana, sia pure a certi costi: centinaia di migliaia di "senza casa", riduzione delle condizioni di vita di milioni di famiglie, aumento esponenziale delle diseguaglianze sociali.

La democrazia ubbidisce al principio di »eguaglianza , della tutela del più debole (che è, poi, trasferito a livello internazionale, anche la pretesa dei Paesi meno ricchi di partecipare con pari dignità politica, e non solo contabile, di quelli più ricchi al processo di edificazione dell'unità europea). Di tale antinomia Marx preconizzava la fine con la scomparsa del capitalismo (sotto il peso delle sue contraddizioni) e la rivoluzione socialista.

Ai suoi devastanti effetti i conservatori illuminati (da Bismarck in avanti) avevano posto rimedio con l'invenzione dello Stato sociale. Alla sua rinascita gli elettori oggi, tendono a rispondere rispolverando l'alternanza al potere fra destra e sinistra democratica, in concomitanza dei cicli economici espansivi e recessivi (per nostra fortuna, la dissoluzione dell'Urss ha sottratto alle sinistre comuniste un punto di riferimento alternativo e un sostegno politico importante). Si illuderebbero, però, le sinistre europee, soprattutto quelle che si sono opportunisticamente convertite al neoliberismo e al monetarismo, se attribuissero al fenomeno un significato ideale. Ciò che gli elettori, con il loro voto »a sinistra , sembra vogliano chiedersi è se a decidere del proprio presente e del futuro dei propri figli debbano essere loro stessi cioè la Politica, la gestione pacifica, liberale, democratica dei conflitti sociali , ovvero debba essere il Caso, la Mano invisibile del mercato, che e poi la mano visibili

ssima di chi detiene il potere economico.

Caricare sulle spalle dell' Europa di Maastricht, le ragioni delle spinte neoliberiste e monetariste sono stati, dunque, un errore e un'ipocrisia. E stato un errore perché ha finito col conferire a un processo politico come quello dell'unificazione europea una valenza economicistica e finanziaria eccessiva che ne mortifica le motivazioni ideali.

E stata un'ipocrisia perché ha finito con attribuire a un processo politico come quello dell'unificazione europea anche i costi del recupero di competitività delle economie europee rispetto a quella americana e a quelle dei Paesi emergenti asiatici. Costi che il comune cittadino ha la sensazione di essere il solo a pagare e che, equivocando, lo inducono a chiedersi "se l'Europa ne valga la pena". »C'è una grande confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente , diceva Mao. Forse, proprio eccellente non è. Di certo, ma a condizione che ci si rifletta seriamente, è molto interessante.

 
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