SERBIA, MILOSEVIC PIU' FORTE CHE MAI. GRAZIE AGLI INVESTIMENTI ITALIANI
Dall'inviato Massimo Nava
(Corriere della Sera, 23 giugno 1997)
Megacontratto della Stet per la rete telefonica
Belgrado "Il vampiro sopravvive succhiando il sangue dei nemici". Dopo la "volpe" o il "macellaio" dei Balcani, è questa l'ultima caricatura che la critica appioppa a Milosevic. Pensare che, solo qualche mese fa, il presidente serbo era un fantoccio vestito da ergastolano esposto al ludibrio della folla, quell'immensa protesta snodatasi per cento giorni nelle strade. Ricordate? La rivoluzione pacifica, i fiori e i baci ai poliziotti, le profezie sulla fine di un'epoca, l'assedio all'ultimo dittatore dell'Est: con i primi caldi, la protesta si è sciolta, davvero come la neve al sole, e Milosevic è più in sella che mai.
Il presidente serbo ha lasciato che i suoi avversari si azzuffassero e si esponessero alla delusione. Costretto ad ammettere i brogli alle amministrative, Milosevic ha consegnato Belgrado e alcune città a un'opposizione incapace di governare, anche perché privata di fondi. Il movimento "Zajedno" (Insieme) non ha più nulla di unitario. E, in questi giorni, la "sfinge" tenta il gran colpo per mantenere all'infinito il potere. Non potendo costituzionalmente essere rieletto per la terza volta presidente della Serbia, Milosevic punta alla presidenza della Federazione jugoslava, formata dalle repubbliche della Serbia e del Montenegro. Una carica - finora - priva di poteri e occupata dal fedele Lilic. La "sfinge" tesse la trama per cambiare le carte, convincendo il Montenegro ad appoggiare nel Parlamento federale modifiche costituzionali che consentirebbero a Milosevic di essere eletto dal popolo.
Nel Montenegro è scontro aperto fra il presidente Bulatovic, pronto ad eseguire, e il primo ministro Djukanovic, preoccupato di perdere l'autonomia faticosamente conquistata e di abbandonare i progetti di "paradiso fiscale" dell'Adriatico. Bulatovic avrebbe chiesto il sostegno del potere centrale e delle forze armate e ha accusato Djukanovic di essere coinvolto in affari loschi. Alla fine, un compromesso favorevole a Milosevic verrà raggiunto, con un sostanziale potere della "sfinge" su una Federazione sempre più centralizzata.
Intanto il "vampiro", senza apparire in pubblico, si gode lo spettacolo della rissa tra i suoi nemici. Vuk Draskovic, il "Cristo" invasato di sogni monarchici che arringava le folle nelle gelide notti di Belgrado, adesso corre per la presidenza serba e accusa l'altro leader di "Zajedno", Zoran Djindjic - divenuto sindaco di Belgrado - di mettergli i bastoni fra le ruote e di tramare con Milosevic. L'estrema destra di Seselj chiede le dimissioni di Djindjic e Vesna Pesic il volto più presentabile di "Zajedno", intellettuale della società civile - perde le speranze di una mediazione.
Esercito, Chiesa ortodossa, ambienti economici e apparato - le colonne del sistema che l'inverno scorso sembravano prendere le distanze dal Milosevic assediato - adesso tacciono o fanno il gioco della "sfinge". Milosevic così riprende in mano le redini del sistema, continua ad avere - come Tudjman in Croazia - il controllo della televisione e - grazie alla crisi albanese - intensifica la repressione nel Kosovo.
L'unico nemico in campo è il disastro economico. Stagnazione, disoccupazione, inflazione, blocco dei finanziamenti internazionali costringono Milosevic ad affrontare scioperi quotidiani di insegnanti, medici, operai e il malcontento popolare. Ma Milosevic può contare su "alleati" esterni, gli stessi che, con cinque anni di embargo, pensavano di arginare le mire espansionistiche e guerrafondaie. La scorsa settimana è stato siglato il contratto miliardario con l'italiana Stet e con la greca OTE per la vendita del 49 per cento della rete telefonica. E la più importante operazione finanziaria dell'ultimo decennio. Quasi 1500 miliardi di lire entrano nelle casse di Milosevic: serviranno a pagare stipendi e pensioni, a calmare la piazza e finanziarsi le prossime campagne elettorali.
L'opposizione e alcuni ambienti economici sono insorti. Si sospetta che il versamento sia più consistente di quanto annunciato e che il suo utilizzo non sia controllabile. Per aggirare l'isolamento della Serbia dal circuito finanziario internazionale, sembra che i soldi italiani siano transitati su una banca greca. Tradizionale alleato della Serbia anche durante la guerra, non stupisce il "soccorso" della Grecia. Meno logico l'atteggiamento italiano, solitamente in linea con i partner europei nel condannare il regime. Del contratto Stet si parlò già nei mesi scorsi, quando i funzionari italiani trattavano con Milosevic nelle stesse ore in cui il ministro degli Esteri, Lamberto Dini, invitava il dittatore serbo a riconoscere i brogli e gli esprimeva la condanna europea.
Ma il moralismo è fuori luogo nei Balcani. Su Belgrado, come su Zagabria come sulla Sarajevo che scivola verso l'Islam, continuano a piovere dall'Occidente reprimende mentre si fanno affari. L'Italia è ormai il primo partner commerciale di tutti i Paesi balcanici. La Germania pompa miliardi di marchi in investimenti. Gli Stati Uniti tutelano Zagabria e riarmano la Bosnia.
Quasi surreale il viaggio a Zagabria e Belgrado del segretario di stato USA, Madeleine Albright, che ha ripetuto ai sordi l'invito a rispettare i diritti umani e le minoranze, ad applicare gli accordi di Dayton, a consegnare all'Aja i criminali di guerra. Con la minaccia, ovviamente, di sanzioni economiche.