Nazioni Unite, New York. Per due settimane esperti legali di molti paesi si sono riuniti qui nei sotterranei del palazzo di vetro lavorando su una bozza di primo tribunale penale internazionale del mondo.
L'istituzione di una corte permanente per giudicare i piu' terribili crimini di massa, compresi i massacri e genocidi che hanno caratterizzato i conflitti etnici degli ultimi decenni, e' un obiettivo che e' stato eluso per mezzo secolo dalle Nazioni Unite; ora potrebbe diventare realta' entro un anno, se saranno superate le residue incertezze di alcuni paesi, compresi gli Stati Uniti, che sono tiepidi su una corte penale con poteri sovranazionali.
Ci sono ancora larghe differenze di vedute su quali crimini la corte avrebbe giurisdizione e in particolare sul potere del procuratore capo di iniziare nuovi casi. Il governo USA sostiene l'istituzione della corte, ma la partecipazione americana e' condizionata all'assenso del congresso dominato dai repubblicani che controllano la commissione per gli affari esteri; tuttavia diplomatici americani dicono che e' aumentata la probabilita' che la corte possa essere istiuita con un trattato in una conferenza nel giugno prossimo a Roma.
"Tre anni fa quasi tutte le grandi potenze erano contrarie, ma adesso praticamente tutti i paesi hanno espresso sostegno" ha detto Bill Pace, leader della coalizione di gruppi attivi per la corte. E' largamente sentita l'assenza di una corte permanente che si occupi di casi come quello di Pol Pot in Cambogia. "L'istituzione dei tribunali sui casi balcanico e rwandese ha mostrato la possibilita' di operare a livello internazionale" ha detto Gabrielle Kirk McDonald, giudice americana al tribunale dell'Aia.
Washington vuole che sia il consiglio di sicurezza dell'Onu a valutare quali casi vadano alla corte, una veduta non condivisa da quasi tutti gli altri paesi: alcune nazioni asiatiche vorrebbero imporre un controllo governativo nazionale su tutte le attivita' del tribunale, mentre gli europei vorrebbero dare ampio margine di azione al procuratore, temendo che che i cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza potrebbero imporre il loro veto per limitarne la giurisdizione.