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Partito Radicale Paolo - 6 settembre 1997
Ex Jugoslavia: le mappe dell'odio
Da "Internazionale" 5 settembre 1997 pag.18

Come i nazionalisti serbi e i mediatori occidentali hanno utilizzato in modo distorto le carte geografiche dell'area balcanica. Un'analisi della rivista Mercator's World.

RONALD WIXMAN, MERCATOR S WORLD, STATI UNITI

L'utilizzazione delle mappe e delle carte geografiche ha un ruolo particolare in Europa orientale e nei Balcani. " A differenza di molte regioni dell'Europa occidentale, dove il concetto di Stato era la conseguenza di una monarchia e del diritto del monarca a regnare su un dato territorio, l'edificazione statuale nell'Europa dell'Est nacque dall'idea che ciascun gruppo etnico avesse diritto a un proprio paese , scrive Ronald Wixman su Mercator's Worid. Ogni etnia, insomma, avrebbe il diritto di dare vita a un paese autonomo: un paese basato sulla sua distribuzione registrata dalle mappe. Non a caso nella ex Jugoslavia il progetto della Grande Serbia si richiamava alle carte elaborate nel 1918 dal professore nazionalista Jovan Cvijic, dell'Università di Belgrado. Ma questo non è stato l' unico esempio di cattivo uso delle mappe fatto nell'area. Anche gli occidentali, durante la guerra, hanno lavorato ai vari piani di pace guardando carte sbagliate o incomplete, trascurando elementi importanti e lasciando che

i nazionalisti ne facessero un uso pericoloso.

EUGENE, APRILE 1997

Nel nostro secolo, i nazionalisti etnici e alcuni governi hanno utilizzato le mappe come uno strumento per avanzare pretese territoriali o assegnare confini legittimi a diversi popoli e paesi dell'Europa orientale. Molto spesso, però, queste mappe cosiddette oggettive sono male utilizzate, male interpretate o male applicate e finiscono col creare ulteriori problemi. La crisi dell'ex Jugoslavia ha spinto gli osservatori occidentali a cercare una soluzione al problema delle divisioni e delle tensioni fra i vari gruppi etnici e nazionali. Ma questo problema è stato aggravato dal fatto che gli osservatori non riescono a capire i veri nodi etnici, culturali, territoriali e nazionali della regione. La definizione dei diversi gruppi etnici e nazionali è stata manipolata dai nazionalisti della regione, e le loro mappe dei legittimi confini di Stato vengono troppo spesso accettate come un dato di fatto incontestabile.

La Grande Serbia

Il più pressante di questi problemi, oggi, è la definizione di Serbia e di serbi, perché è stata la confusione di questi concetti a produrre la fine della Jugoslavia e le guerre che ne sono derivate. Alla fine degli anni Ottanta, con il leader nazionalista serbo Slobodan Milosevic, il governo chiuse le istituzioni culturali e le scuole di lingua albanese, perseguito gli abitanti di questa etnia e arriva addirittura a eliminare l entità geografica del Kosovo, dove gli albanesi rappresentavano il 90 per cento e i serbi solo il 6 per cento della popolazione. Era una chiara indicazione sui futuri sviluppi della situazione in Jugoslavia. La pulizia etnica e la guerra non hanno avuto inizio in Bosnia Erzegovina e neppure in Croazia o Slovenia, ma piuttosto in Serbia nel Kosovo tre anni prima che le repubbliche di Slovenia, Macedonia, Croazia e Bosnia Erzegovina si staccassero dalla Jugoslavia. Ovviamente, il trattamento riservato dai serbi all'etnia albanese la cui popolazione in Jugoslavia era approssimativam

ente la stessa degli sloveni o dei macedoni suscitò profondo allarme fra i membri di queste popolazioni. Anche le pretese dei nazionalisti serbi nei confronti di alcune regioni della Croazia e dell'intera Bosnia prima del definitivo sfaldamento del paese furono un importante fattore di destabilizzazione. I nazionalisti serbi cominciarono a rivendicare la formazione di una Grande Serbia, basata essenzialmente su una mappa dei territori con insediamenti serbi che era stata pubblicata nel 1918 da un nazionalista serbo, Jovan Cvijic. Su questa mappa, Cvijic non indicava le tradizionali regioni serbe o le zone in cui l'etnia serba rappresentava la maggioranza della popolazione, ma si limitava a individuare il territorio in cui vivevano esponenti dell'etnia serba, tracciando una linea tutt'intorno. L'idea di Cvijic era che la Grande Serbia dovesse comprendere tutte le zone in cui si trovavano insediamenti serbi di qualsiasi entità.

La pulizia etnica

Regioni come la Vojvodina, dove i serbi rappresentavano meno del 10 per cento della popolazione (superati da ungheresi, tedeschi, bunjevci cattolici e sokci) erano considerate da Cvijic e dagli altri nazionalisti serbi come legittimi territori della Serbia. Anche la Bosnia e larga parte della Croazia erano ritenute serbe di diritto. Dopo la Seconda guerra balcanica (19121913), quando Serbia e Grecia strapparono la Macedonia alla Bulgaria e la spartirono, si verificarono i peggiori episodi di pulizia etnica della storia europea. I serbi ribattezzarono i macedoni "serbi meridionali" ed eliminarono tutte le istituzioni bulgaro macedoni. Il bulgaro che per tradizione era la lingua letteraria dei macedoni slavi venne dichiarato fuori legge e sostituito dal serbo. Alla Chiesa ortodossa bulgara subentra la Chiesa ortodossa serba. Gli slavi macedoni divennero serbi per definizione. In Grecia il destino dei macedoni slavi fu molto peggiore. Tutti gli slavi furono costretti ad adottare nomi greci, le istituzioni ma

cedoni slave vennero completamente eliminate e decine di migliaia di macedoni dovettero abbandonare il paese. I loro villaggi furono bruciati, i paesi e le città superstiti ricevettero nuovi nomi ellenici e in tutta la regione i toponimi passarono dal macedone al greco. Molti macedoni furono uccisi mentre altri subirono intimidazioni che li costrinsero a emigrare. In un periodo relativamente breve, l'esistenza di una popolazione che, almeno a partire dal Quinto secolo, aveva costituito la maggioranza nella regione della Macedonia meridionale (Macedonia egea o greca) fu virtualmente cancellata. I macedoni slavi in seguito furono sostituiti dai greci che rientravano dalla Turchia. In questi due casi, i nazionalisti attuarono la pulizia etnica con le stragi, le intimidazioni miranti a provocare emigrazioni di massa, la chiusura di istituzioni etniche e culturali e la loro sostituzione, la nuova designazione e classificazione di un popolo.

Le linee tracciate sulle mappe

Ai geografi e agli studiosi delle mappe non interessano tanto le politiche o i comportamenti dei nazionalisti etnici, quanto piuttosto il ruolo da essi svolto nel definire uno spazio nazionale che si possa fissare sulle mappe e stabilisca i confini legittimi di una patria.

Che senso ha riportare sulle mappe la distribuzione di religioni o di lingue? Perché si dovrebbe registrare sulle mappe la distribuzione di bulgari, macedoni, ungheresi, serbi o sloveni? Un motivo essenziale per creare mappe etniche per gli europei orientali all'inizio del Ventesimo secolo così come per i tedeschi del periodo nazista era la volontà di giustificare i confini del "Vero Stato Nazionale" di un gruppo etnico. A differenza di molte regioni dell'Europa occidentale, dove il concetto di Stato era la conseguenza di una monarchia e del diritto del monarca a regnare su un dato territorio, l'edificazione statuale nell'Europa dell'Est nacque dall'idea che ciascun gruppo etnico avesse diritto a un proprio paese. Nel modello di Stato nazione occidentale, la cittadinanza derivava, originariamente, da una comune fedeltà al monarca e alle terre del monarca. Col tempo, nell'Europa occidentale si è sviluppata una concezione più democratica, e il ruolo del monarca ha assunto un valore puramente rappresentativo.

Ciò che conta nel modello occidentale è un principio basilare: le persone hanno diritto di cittadinanza in quanto sono cittadine di un territorio. Il territorio viene per primo. Nel modello tedesco del Diciannovesimo e Ventesimo secolo era vero il contrario. Molti nazionalisti tedeschi nei diversi Stati e territori della Germania invocavano l'unità muovendo dal principio che l'etnia tedesca dovesse avere un proprio paese. La Francia non deve la sua esistenza alla volontà dei francesi di creare un paese autonomo, e neppure la Danimarca, l'Olanda, il Belgio, la Spagna, la Gran Bretagna o la Svezia. Ma il modello tedesco era completamente diverso. Presupponeva che un'etnia avesse il diritto inalienabile di costituire un proprio paese. Questo modello è stato adottato da molti abitanti dell'Europa dell'Est, convinti che un'etnia abbia il diritto di dare vita a un paese autonomo: un paese basato sulla sua distribuzione registrata dalle mappe.

Il legame con la terra

Ma questo scenario etnico ignora completamente il fatto che molti abitanti di regioni con popolazioni miste sviluppano forti identità quasi nazionali. In questi territori l'identità locale o regionale dei popoli ha assunto un significato importante e, in molti casi, e più forte della loro identità etnica o del retaggio religioso. Così come molti svizzeri francesi o valloni belgi si identificano più con i loro Stati nazionali che con le proprie origini etniche, molti serbi della Bosnia e del Kosovo si consideravano bosniaci o kosovesi, al pari dei loro compatrioti musulmani. Questo è vero per larga parte dell'Europa dell'Est, perché le regioni si sviluppavano in totale isolamento e al loro interno i diversi popoli vivevano in stretto contatto. Eppure, in Bosnia la legittimità di queste identità locali non è stata riconosciuta né dai nazionalisti etnici né dagli osservatori occidentali. In Bosnia i serbi hanno vissuto accanto ai musulmani, hanno combattuto dall'o stesso lato della barricata nella maggior part

e delle guerre e sono stati loro alleati persino contro i serbi di Krajina in Croazia, quando questi si schierarono con gli austroungarici nel Diciannovesimo secolo. Lo scoppio della Prima guerra mondiale è attribuito all'assassinio dell'Arciduca Ferdinando d'Austria per mano di Gavrilo Princip. Gli storici moderni (e soprattutto i nazionalisti serbi) sostengono che Princip fosse un nazionalista serbo che combatteva per i diritti dei serbi ortodossi orientali e l'unificazione della Serbia con la Bosnia, ma la storia smentisce queste tesi. Princip era un bosniaco di origine serba membro di un'organizzazione prevalentemente musulmana, con numerosi membri serbi, che combatteva per la liberazione della Bosnia dagli austro ungarici. Era un bosniaco, non un nazionalista serbo.

Il cattivo uso delle mappe

Qual è all'ora il ruolo delle mappe nell'attuale conflitto dei Balcani? Ancora una volta, assistiamo a una cattiva utilizzazione delle mappe per scopi politici. I nazionalisti serbi hanno destabilizzato la Jugoslavia nel tentativo di creare una Grande Serbia con confini analoghi a quelli della mappa di Cvijic del 1918. Dopo aver invaso la Croazia, l'esercito serbo nei primi anni Novanta attaccò la Bosnia. Supponevano che i serbi di Bosnia li avrebbero aiutati, ma in un primo momento le cose non andarono così. Perché? C'era qualcosa di sbagliato nella mappa? O c'era qualcosa di sbagliato nelle teorie elaborate su quanti venivano definiti serbi sulla mappa? I nazionalisti serbi avevano totalmente trascurato il fatto che molti serbi che vivevano in Bosnia si consideravano innanzi tutto bosniaci. Avrebbero dovuto fare una distinzione fra i "bosniaciserbi" (coloro che si consideravano bosniaci di origine serba) e "serbobosniaci" (coloro che si consideravano serbi residenti in Bosnia). La maggioranza dei discende

nti dai primi insediamenti serbi in Bosnia sentivano di appartenere al primo gruppo. Coloro che erano arrivati durante il regno jugoslavo o nel periodo socialista (dopo la seconda guerra mondiale) come Radovan Karadzic (un serbo montenegrino, non originario della Bosnia) si identificavano nel secondo. Sulla mappa di Cijic e nelle altre mappe dello stesso tipo non si facevano distinzioni fra questi due gruppi. Erano tutti registrati semplicemente come serbi. Il governo jugoslavo effettuava un censimento della popolazione ogni dieci anni. Uno dei quesiti a cui bisognava rispondere riguardava l'etnia di appartenenza, ma le risposte non prevedevano una categoria come "bosniaco". Per tradizione, la parola bosniaco in serbocroato ha due forme. La prima è Bosanac, l'appellativo con cui si definiscono tutti gli abitanti della Bosnia e che include persone di origine serba, musulmana, croata ecc. che si dichiarano bosniache. Il secondo termine è Bosnjak, e si riferisce specificamente ed esclusivamente alla popolaz

ione musulmana della regione. I nazionalisti serbi e croati in Serbia e Croazia erano contrari all'uso del termine Bosanac nei censimenti perché a loro giudizio questa categoria di persone non esisteva. Ma i bosniaci non erano della stessa opinione.

E' interessante notare che in Bosnia Erzegovina quelli che oggi vengono chiamati musulmani, fino agli anni Settanta erano ufficialmente denominati "croati di fede musulmana". Non erano loro a volersi chiamare musulmani, avrebbero preferito essere chiamati Bosnjak, ma questo appellativo non era riconosciuto dallo Stato jugoslavo. Un altro elemento importante è che circa il 40 per cento dei bambini nati in Bosnia nell'intervallo tra gli ultimi due censimenti (1982 1991), era di origine etnica mista. Ma non è così che venivano definiti dal censimento e dalla mappa dei suoi risultati pubblicata dalla Cia americana. Si poteva essere registrati come jugoslavi ma non come bosniaci, perché questa non era ritenuta una categoria legittima. L'etnia dei bambini nati da matrimoni misti era quella del padre. Se il padre era serbo e la madre musulmana, il bambino risultava serbo. E i padri musulmani generavano figli musulmani a prescindere dall'etnia della madre. Se il 40 per cento dei bambini era di origine etnica mista,

possiamo immaginare che i loro genitori non nutrissero violenti odi etnici. Quali sarebbero state le linee della mappa se tutta questa gente fosse stata autorizzata a dire: "Noi siamo bosniaci"?

Arrivano i pacificatori

Una delle funzioni della Cia è quella di diffondere informazioni sui paesi stranieri e preparare carte e atlanti destinati al pubblico. L'Agenzia ha anche realizzato una mappa della Jugoslavia basata sui dati del censimento del 1981, e in particolare sulle risposte riguardanti l'appartenenza etnica. Questa mappa della Cia sulla distribuzione etnica nell'ex Jugoslavia è stata utilizzata dagli occidentali con poca conoscenza della regione balcanica per cercare di risolvere la crisi bosniaca dei primi anni Novanta. I diplomatici occidentali come Lord David Owen (dell'Unione europea) e Cyrus Vance (del Dipartimento di Stato americano), che lavoravano a nome delle Nazioni Unite per elaborare un piano di pace per la Bosnia, arrivarono a ipotizzare che i bosniaci non esistessero e che esistessero solo i serbi, i croati e i musulmani. Anche l'ex segretario di Stato americano Henry Kissinger e altri espressero opinioni analoghe sugli antichi odi etnici e sull'assenza storica di uno Stato bosniaco. (In realtà nel Med

io Evo è esistito un grande Stato bosniaco). Le proposte di pace VanceOwen prevedevano la divisione della Bosnia Erzegovina in dieci aree etniche basate sulla distribuzione indicata dalla mappa della Cia in base ai risultati del censimento (e altre mappe simili). Ma se la Jugoslavia non è riuscita a rimanere unita con sei repubbliche, e se si accetta l'idea che la guerra in Bosnia abbia avuto origini etniche, come si poteva proporre la divisione della Bosnia Erzegovina in dieci miniautonomie basate sull'una o sull'altra maggioranza etnica in ciascuna di esse? Inoltre, la reale definizione di queste dieci miniautonomie sembrava ignorare alcuni fattori pratici come i trasporti e le economie esistenti al loro interno. I diplomatici occidentali non consultarono le mappe relative alle attività economiche, ai trasporti o ad altri aspetti essenziali per rendere funzionanti le autonomie, al di là di una semplice mappa delle risposte fornite al censimento.

Dopo il fallimento delle iniziative di pace dell'ONU, il governo americano ha sponsorizzato dei negoziati di pace condotti con la mediazione di Richard Holbrook, del Dipartimento di Stato americano, a Dayton, Ohio.

L'accordo finale stabiliva un piano per dividere la Bosnia Erzegovina in due entità, una confederazione bosniaca di musulmani e croati (con il 51 per cento della superficie territoriale) e un'entità serba (con il 49 per cento). E' stato più volte sottolineato come proprio le schermate topografiche dei computer abbiano convinto Milosevic ad accettare la divisione lungo queste linee geografiche

Gli americani possono sentirsi senz'altro orgogliosi di questa soluzione statistica, ma apparentemente non hanno considerato che tutta la ricca regione agricola della Bosnia settentrionale viene a trovarsi nella nuova zona serba. Gli importanti centri agricoli e industriali di Banja Luka, Prijedor, Maglaj, Tuzla, Zvornik, Doboj e Jajce sono tutti situati nella zona serba. La zona croatomusulmana, invece, è sostanzialmente composta di montagne aspre e sterili a sud e di montagne aspre e boscose al centro. Provate a immaginare una controversia sulla California dove una parte riceve solo il 49 per cento della terra con la ricca e agricola Central Valley e i centri culturali ed economici di San Francisco, Los Angeles e San Diego mentre l'altra parte ottiene il 51 per cento con il deserto di Mojave, le aspre e desertiche montagne della Sierra e la parte nordorientale dello Stato, arida e brulla. La differenza nel valore delle terre assegnate alle due parti dall'accordo bosniaco è di questo ordine di grandezza.

Basta guardare un'altra mappa della Cia sull'utilizzazione della terra in Bosnia per constatare la disuguaglianza nella spartizione di questi territori. Le mappe sono strumenti preziosi per evidenziare una molteplicità di dati. Ma è ancora più importante sapere come vengono raccolti, definiti, classificati e presentati questi dati e come sono utilizzati o strumentalizzati successivamente. Che tutti i governi occidentali di fatto abbiano dato l'impressione di rimanere in disparte e consentire che l'aggressione serba andasse avanti per tre anni è già abbastanza grave. Ma che siano corsi ai ripari proponendo soluzioni basate sull'interpretazione sbagliata dei dati di una mappa aggrava ulteriormente il problema. (G.C.)

 
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