Da "LA STAMPA" 8 settembre 1997 pag. 8
"PREGO PER GLI EREDI DI DENG"
Il Dalai Lama: la Cina cambia in meglio
PRAGADAL NOSTRO INVIATO Fernando Mezzetti
»Ho pregato per Deng Xiaoping quando è morto, e prego adesso perché i suoi eredi abbiano successo nell'avanzamento della politica di riforme. E ciò sarà alla lunga positivo per il Tibet . Il Dalai Lama, in volontario esilio dal Tibet dal '59, parla della Cina e dei suoi dirigenti quasi con affetto. E' qui per »Forum 2000 , convegno di Nobel per la pace, di scienziati e di statisti, organizzato dal presidente Vaclav Havel e da Eli Wiesel, che soffrì con Primo Levi l'incubo di Auschwitz. Una riflessione e un dibattito sugli orrori e le speranze del secolo che si chiude, con l'impegno di non dare alle generazioni di quello prossimo il peso di quello passato. Il leader spirituale del Tibet sarà da stasera in Italia per tre giorni, per una serie di incontri e meditazioni a Bolzano, Gorizia, Trieste. Considerando che il 12 settembre a Pechino si apre il congresso del partito comunista, con lui si parla di Cina. Dalla scomparsa di Deng Xiaoping nel febbraio scorso, è Il primo congresso senza grandi e vincolanti vet
erani della Lunga Marcia, e da cui uscirà consacrata e autonoma da ogni tutela del passato la leadership di Jiang Zemin.
Si aspetta grandi novità per il suo Paese dal congresso del partito che si aprirà venerdì ? »Nell'immediato, no. Ma spero ardentemente che dal congresso esca rafforzata l'attuale dirigenza per approfondire e allargare le riforme economiche e sociali, con sempre maggiore apertura al mondo. Una Cina in crescita economica e in stabilità politica è fattore positivo per tutti, anche per la causa del Tibet. Sarei felice di avere un incontro con Jiang Zemin e dirgli personalmente queste cose .
Che cosa impedisce questo incontro?
»Da parte mia, nulla. Nel 1979 Deng Xiaoping invitò mio fratello, che vive a Hong Kong ed ebbe con lui un colloquio di oltre due ore. Mise in chiaro che ogni accenno di indipendenza per il Tibet era fuori discussione, ma che per il resto si poteva parlare di tutto e cercare insieme una soluzione. Nel 1981 l'allora segretario del partito, Hu Yaobang, fece una dichiarazione di grande apertura. Molte cose si misero in moto, poi sopravvenne il gelo, specie dopo i fatti della Tienanmen nell'89 .
Non avete contatti ora con Pechino?
»Dopo quell'incontro con Deng, mio fratello è stato invitato altre sette volte a Pechino. Continuiamo ad avere contatti indiretti. Noi siamo disponibili. Studiosi cinesi si incontrano in università americane con nostri studenti, e riconoscono privatamente certi errori della politica di Pechino verso il Tibet. Sarebbe bene approfondire i contatti noi siamo disponibili. Io sono pronto ad andare a Pechino anche domani .
Secondo i dirigenti di Pechino è lei che mette in pericolo la stabilità della Cina con la sua azione per il Tibet.
»Ma noi non ci battiamo per l'indipendenza del Tibet. E' un obiettivo non realistico, che non converrebbe neanche al Tibet. Non abbiamo nessuna intenzione di avere un Tibet totalmente indipendente perché sappiamo che ciò sarebbe come minare l'unità e la stabilità cinese, che sarebbe un disastro per tutti. Noi vogliamo certi gradi di autonomia, lasciando a Pechino la responsabilità per i rapporti con l'estero e la difesa e la sicurezza nazionale. Vogliamo che il Tibet resti legato alla Cina, non separato .
Che cosa impedisce allora una intesa?
»La stessa domanda la pongo io. Mi è stato offerto di rientrare, stabilendomi a Pechino. Ma il problema non è la mia residenza, ma la sorte del mio popolo. Io sono pronto a rinunciare al mio status, voglio soltanto fare il monaco buddhista, cioè dedicarmi alla meditazione e al miglioramento spirituale. Vorrei conferire i miei poteri a un governo legittimamente eletto e in vista di questo sono pronto a tornare in Cina. Riconosco che in tutti questi anni i cinesi hanno modernizzato per certi aspetti il Tibet. Hanno fatto scuole ospedali, strade, case. Ma al tempo stesso stanno introducendo l'educazione politica nelle scuole, e queste sono basate sulla cultura cinese. Il rischio è l'estinzione della nostra cultura".
Così pessimista?
"No, sono ottimista a lungo termine. Il congresso comunista che si apre questa settimana non ci darà grandi novità per il Tibet. Ma confermerà la politica di riforme. E ciò contribuirà ai grandi cambiamenti in corso in Cina, che non sono solo economici ma mentali. Mentalmente già molte cose sono cambiate, anche in rapporto al Tibet. Ho molti segnali non ufficiali. Ma una Cina in sviluppo, con inizi di democrazia e di pensiero libero già in atto, non potrà non considerare il Tibet in modo nuovo, cioè rispettoso della sua cultura e tradizioni. Ho conosciuto Deng Xiaoping, e pregato per lui. So che la sua politica, a lungo termine, sarebbe stata improntata a questo rispetto verso un Tibet non indipendente ma legato alla Cina. Mi auguro che i suoi successori proseguano su questa linea. Prego per il loro successo. Prosperità e apertura al mondo porteranno la Cina inevitabilmente a fare i conti con la sua politica in Tibet. C'è una nuova intera generazione in Cina sensibile al problema come non erano quelle preced
enti. Per questo sono fondamentalmente ottimista"