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Partito Radicale Roma - 19 settembre 1997
La tigre di carta

Da "Internazionale" 19 settembre 1997 pag. 3

Di Kurt Wickman, Asia Inc, Honk Kong

Il 12 settembre è cominciato a Pechino il quindicesimo congresso del

Partito comunista cinese. Nel suo discorso di apertura il presidente Jang Zemin ha annunciato la privatizzazione parziale di alcune imprese statali. Kurt Wickman è un economista svedese.

L'opinione diffusa oggi in Occidente è che a partire dal 1979 la Cina si sia rapidamente trasformata in un paese in via di sviluppo moderatamente ricco. Il reddito pro capite ufficiale, pari a 750 dollari, è da tre a cinque volte maggiore nelle regioni costiere di Shanghai e Shenzhen, che stanno vivendo un vero e proprio boom economico. A parità di potere d'acquisto, il reddito pro capite della Cina si approssima a duemila dollari. Moltiplicando questa cifra per un miliardo e 200 milioni di abitanti, quello cinese sarebbe il terzo o il quarto sistema economico del mondo, dopo gli Stati Uniti, il Giappone e forse la Germania.

Solitamente, redditi del genere indicano che i mercati interni dei generi di consumo durevoli stanno per decollare, e la prospettiva di un miliardo e 200 milioni di consumatori di ricchezza recentemente ha rappresentato una calamita gigantesca per le imprese occidentali e giapponesi. Ma i loro piani d'investimenti si fondano probabilmente su statistiche errate. Tanto per cominciare, le statistiche relative alla crescita economica e ai redditi della Cina sono notoriamente inaffidabili. L'Ufficio statistico di Stato, sottoposto a influenze politiche, è noto per aver pubblicato cifre nuove e "migliori" qualche giorno dopo che i leader del Partito comunista avevano espresso preoccupazione per i suoi rapporti. Persino il giornale ufficiale, il Quotidiano del popolo, ha ammonito che le cifre pubblicate sottovalutano l'inflazione ed esagerano l'aumento del prodotto interno lordo. E' essenziale disporre di statistiche esatte sull'inflazione, dal momento che un'inflazione del 10 per cento riduce una crescita economic

a del 15 per cento a una del 5 per cento. Numerosi economisti hanno espresso dubbi circa l'affidabilità delle statistiche disponibili sull'inflazione della Cina, che a mio avviso viene sottostimata in misura significativa fin dal 1980.

Un'economia fondata sull'agricoltura

Questo scetticismo ha varie ragioni, che si possono trarre dalle stesse statistiche ufficiali cinesi. La crescita economica miracolosa si è basata sull'industria leggera, e ogni economista sa bene che, nell'età moderna, la crescita industriale va di pari passo con l'aumento dei consumi energetici. Ma dal 1980 i consumi energetici della Cina sono aumentati appena del 5 per cento l'anno. Inoltre, in base alle norme internazionali, ci si aspetterebbe che la domanda di trasporti aumentasse più in fretta della crescita economica generale. Tuttavia, dal 1980, l'aumento annuo del volume dei trasporti è stato soltanto del 6 per cento circa. Ma l'economia cinese presenta anche altri punti interrogativi. E' comunemente accettato, ad esempio, che i diversi paesi assumano determinate caratteristiche quando il loro reddito pro capite entra nella fascia compresa fra 1.500 e 2.000 dollari. Una di queste caratteristiche è che la percentuale della popolazione occupata in agricoltura scende al 40 per cento circa, dal momento

che un tale livello di reddito si pub raggiungere solo tramite un aumento della produttività industriale. Tuttavia, la Cina ha una popolazione agricola accertata che giunge quasi all'80 per cento del totale. Si tratta di una percentuale addirittura maggiore a quella dell'Europa continentale prima della rivoluzione industriale avvenuta 150 anni fa. Ne consegue che i livelli medi di reddito della Cina sono ancora lontani dal punto in cui un sistema economico decolla e diventa moderno. Persino le analisi statistiche che prevedono una qualche compensazione per il numero di abitanti dei villaggi impiegati nelle industrie locali concludono che circa il 65 per cento dei cinesi si dedica ancora in modo diretto al lavoro dei campi. Sulla base di queste e altre discrepanze, il tasso annuo di crescita della Cina, che attualmente si vuole pari al 10 per cento, sembrerebbe grossolanamente esagerato; esso andrebbe ritoccato, portandolo forse al 4 per cento di crescita reale, un livello più realistico e comunque sempre no

tevole per un paese come la Cina, ma ben lontano dalle cifre miracolistiche che oggi vengono date per scontate. Pertanto, parlare di un gigantesco processo di crescita economica in Cina è fuorviante. Probabilmente, gli alti tassi di crescita ufficiali sono validi soltanto per le regioni costiere, in pieno boom economico. Sembra che gli abitanti di quelle regioni che dispongono di un reddito prossimo ai duemila dollari l'anno ammontino a quasi 200 milioni: una cifra enorme, certo, ma ben lontana dai 12 miliardi su cui basano le proprie speranze tanti investitori stranieri. (M.A.)

 
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