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Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Paolo - 3 dicembre 1997
DALL'ANTAGONISTA RADICALE AL PROTAGONISTA SOCIALISTA.
Era il "tema", lo slogan di un Congresso del PR di quattro lustri fa.

per un paio di decenni, prima, nella impostazione della politica radicale potevano scorgersi connotati - di metodo, chè è di quello che parlo e di quello mi importa parlare - relativamente analoghi.

E poi, in questo ultimo ventennio, la vicenda radicale è scorsa su sintonie ancora analoghe; dalla stessa lotta contro lo sterminio per fame, che era lotta per 5 milioni di vivi subito, e soprattutto le strategie successive, e poi il Partito Democratico, e poi Berlusconi.

Insomma, una continuità - molto alta - è abbastanza facile da individuare nel suo rigore, certo tra varie altre, ed è la continuità congiunta tra primazia del metodo e ricerca di alleanze politiche.

Gli stessi mitici divorzio e aborto (che come la conquista della obiezione di coscienza costituirono vittorie conseguite in parlamento da un partito che in parlamento non c'era, salvo che, fino ad un certo punto, al tempo dell'aborto; e con una relazione non identica tra parlamento ed espressione elettorale referendaria) le stesse mitiche e grandi vittorie sulle grandi riforme degli anni 70 furono dunque vittorie che si perseguirono da parte nostra e si conseguirono soprattutto perché attraverso quelle perseguivamo un diverso e diversissimo sistema di democrazia, un diverso metodo dellos tare insieme in Italia.

Sempre abbiamo ricercato alleanze, rapporti con altri e più forti partiti, tentando di trasformare quelle alleanze nelle necessarie e imprescindibili trasformazioni rivoluzionanti di coloro con i quali alleanze costruivamo o ricercavamo.

La tematicità o monotematicità della politica radicale - che ha infastidito la sufficienza di molti e spesso esasperato all'estremo molti compagni - non è mai stata, vivaddio, una scelta dettata dall'essere i radicali un movimento per i diritti civili, ma uno strumento per condizionare e far scoppiare contraddizioni negli ambiti più vasti che sceglievamo come interlocutori in funzione della costruzione di governi, oltre che per imporre scelte di qualità di governo.

Dall'antagonista radicale al protagonista socialista è bene esemplificativo del momento in cui quello slogan e quella politica si esplicarono, ma soprattutto di una continuità di metodo.

Ha sempre sbagliato infatti chi ha guardato ai radicali come ad un necessario enzima (e fu questa parola usata anche da alcuni dei migliori di noi, in un periodo), necessario enzima non siamo stati mai. Nè, in questo senso, siamo stati movimento di pressione. Siamo stati sempre partito politico che non solo catalizzava maggioranze civili, ma ricercava maggioranze politiche. Talvolta conseguendole.

Le difficoltà di oggi non derivano dal processo evidente di bipolarizzazione che è in corso, e che ci toglie spazi, ecc... Non è soltanto questo.

Il problema è l'isolamento rispetto alle forze politiche.

In questo ha un senso, eccome, il passaggio alla ricerca di alleanze con ceti e blocchi sociali, tramontata, per ora, la possibilità di intravvedere alleanze con forze politiche.

La diversità è evidente, e le considerazioni che potrebbero renderla meno stridente non mi sembrano determinanti.

Premessa ad ogni considerazione è certo la constatazione della esistenza di forti e pericolose espressioni di regime autoritario in senso proprio, in Italia. Da un punto di vista soggettivo peggio di quello di prima, che ci trova nelle difficoltà gravissime in cui ci dibattiamo.

Non credo che potremo invertire una tendenza senza la consapevolezza che quel che ci occorre non è soltanto rafforzare alcuni fronti tradizionali, o esclusivi, nostri.

I temi, in definitiva, sono fungibili (se mi si consente la pur notevole estremizzazione), e pressochè tutti bio o politicamente-degradabili.

Infatti il punto è la funzionalità crescente e pervasiva di un regime, e non la censura e la marginalizzazione sistematica di quel che diciamo: i parametri sono se non diversi per natura, estremamente più accentuati.

Oggi manca probabilmente ogni chanche di divenire da antagonisti protagonisti, a meno di variazioni profonde in alcuni conglomerati politici, che pure sono sbandati e in quanto tali offrono aperture possibili. E a meno di concepire il sollevamento del terzo stato.

Trovo la nozione stessa inafferrabile, perché fluida, e pure perché quella nozione, e quella analisi, mi sembra pecchino di approssimatezza soprattutto perché mal si coniugano, quanto meno ad una occhiata grossolana, con il non-postulato dell'esserci in Italia un regime bruto, e pure progressivamente più brutale.

Oggi la dinamica dei blocchi sociali, dei ceti, delle classi si muove e esiste su piani diversi, e progressivamente più diversi.

Lo stato è in crisi per sua inadeguatezza strutturale, in molte aree del mondo, più che per non essere in grado, quello italiano, di continuare a dare le risposte e a proporre approssimazioni di equilibri date finora.

La contraddizione centrale di oggi è quella della inadeguatezza dello stato come si è sviluppato e consolidato con modifiche dopotutto marginali negli ultimi due secoli e mezzo.

Senza pessimismi, ma anzi con il più attrezzato degli ottimismi oggi occorre a noi l'ambizione del protagonista nelle contraddizioni vere - quelle vere - che sono aperte e che stanno acquisendo sempre maggiore e più solare evidenza. Come ci insegna la continuità rigorosa quanto laica ed empirica della nostra storia.

 
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