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Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Paolo - 18 dicembre 1997
RADIO RADICALE - UNPO

Colloquio di Paolo Pietrosanti con Michael van Walt van Praag, Segretario Generale UNPO, Unrepresented Nations and Peoples Organization (Organizzazione delle Nazioni e dei Popoli Non Rappresentati.

D.: Siamo all'Aia, nel Quartier Generale dell'UNPO, con il Segretario della Organizzazione, Michael van Walt van Praag. La voce di Michael non e' ignota agli ascoltatori di Radio Radicale, lo abbiamo sentito alcune volte, e sfruttiamo con lui anche la ottima circostanza della eccellente conoscenza che Michael ha della lingua italiana.

Per cominciare, Michael, ti chiederei una definizione di nazione o popolo non rappresentato.

R.: I popoli, le nazioni non rappresentate, sono quelle che non hanno rappresentanza nelle Nazioni Unite o nelle altre organizzazioni internazionali maggiori; quindi vuol dire che questi popoli, queste nazioni, non hanno la possibilita' di prender parte in discussioni e decisioni che riguardano la loro situazione, il loro futuro.

D.: Alcuni esempi? sicuramente i Tibetani, sicuramente altri popoli che sono sotto il dominio di Pechino ma altri esempi...

R.: Ce ne sono molti. Abbiamo adesso 50 membri. Tra questi ci sono popoli come quello del Timor est, quello di Taiwan, come la Cecenia e l'Abkhazia, che sono territori con un governo, o con un movimento, molto ben organizzato su linee politiche che realmente rappresentano il popolo intero. Poi abbiamo altri membri della organizzazione che sono popoli indigeni dell'America del Sud, del Nord, nel Pacifico, in India, in Birmania. Poi, molte delle Repubbliche della Federazione russa sono membri della organizzazione, e in questo caso sono rappresentati dal Governo di quella repubblica; altri membri sono rappresentati dai movimenti nazionali, in quanto minoranza nella loro propria Repubblica. Poi, abbiamo tra i nostri membri minoranze come quella albanese in Macedonia, o quella greca in Albania. Il Kosovo e' rappresentato, e gli ascoltatori conoscono bene la situazione.E poi vi sono situazioni come quella dell'Indonesia, di Papua occidentale, di cui non si parla molto, e gli Aborigeni dell'Australia. Insomma, un p

o' dappertutto nel mondo ci sono dei popoli o delle minoranze che fanno parte della organizzazione.

D.: Prima di chiederti altro sulla organizzazione... In quale mondo tutti questi popoli, nazionalita', etnie che oggi non sono rappresentati sul piano istituzionale... in quale tipo di mondo potranno essere rappresentati, intendo gli individui che li compongono, ma anche in quanto nazione, popolo?

R.: dalla fine della seconda guerra mondiale si sono registrate molte iniziative per promuovere i diritti umani dell'individuo. La nostra organizzazione invero opera per rappresentare gli interessi di coloro che vogliono rappresentare i diritti dei gruppi, dei popoli, delle minoranze. E dunque, il mondo in cui questi popoli, queste minoranze avrebbero la possibilita' di essere rappresentati e' un mondo in cui le decisioni non pertengano esclusivamente ai governi degli stati che sono rappresentati alle Nazioni Unite. Oggi, anche se e' in causa un problema di diritti umani o di rapporti economici o politici in un luogo in cui il popolo che vi risiede fosse oggetto di decisioni in sede di Nazioni Unite o di un altro foro internazionale, o di negoziati intergovernativi, questi popoli, queste comunita' non hanno il diritto di partecipare alle discussioni e alle decisioni sulla loro situazione. Vi e' insomma una sorta di mentalita' colonialista ancora oggi esistente. Dovrebbe procedersi ad una specie di decolonizz

azione nel futuro; non del tipo che abbiamo visto in passato, prima e dopo la seconda guerra mondiale, ma una decolonizzazione nel senso che dovrebbe esserci un riconoscimento per cui ogni popolo, a prescindere dalle sue dimensioni e dalle sue risorse, ogni popolo sia rispettato come partecipe della comunita' internazionale.

D.: Ma questo, sul piano del sistema ONU, degli organismi internazionali, comporterebbe riforme profonde, riforme di tipo soprattutto istituzionale...

R.: Qualcuna si'. Non e' intenzione della nostra organizzazione il dire che la soluzione e' nel fatto che ogni popolo abbia il suo stato indipendente. Infatti, la maggior parte dei membri UNPO non hanno l'ambizione di diventare stati indipendenti. Ma dovrebbero esserci, nelle Nazioni Unite, delle possibilita' di avere istituzioni che organizzino, consentano dialoghi tra governi e rappresentanti legittimi di vari popoli e minoranze. Oggi sono soltanto i Governi e quelle organizzazioni non governative che abbiano uno status nell'Ecosoc, che possono partecipare alle discussioni in sede ONU; ma ci sono piccole organizzazioni non governative che forse rappresentano un centinaio di persone unite da una idea particolare, che ahno il diritto di partecipare a queste discussioni. Invece, un popolo come i Curdi, di piu' di 20 milioni di persone, o Taiwan, o popoli piu' piccoli come gli Ogoni in Nigeria, o Zanzibar... non hanno il diritto di parola nelle NU. Insomma, molte istituzioni ONU dovrebbero aprire le loro porte

per dare la possibilita' anche a questi popoli di prendere parte a queste discussioni.

D.: Michael, tu sei anche consulente giuridico del Dalai Lama; sei un grande esperto delle questioni non soltanto giuridiche, ma soprattutto giuridiche che riguardano la questione e la causa tibetane. Io ti chiedo invece una valutazione politica, oggi, della situazione del Tibet.

R.: Credo ci siano due aspetti. Uno e' quello della situazione internazionale per cui il Tibet, se guardiamo agli ultimi 5-10 anni, la questione tibetana e' divenuta molto conosciuta a livello internazionale. Molti governi ne parlano, parlano della situazione tibetana quando dialogano con la Cina in sede bilaterale, E ogni anno c'e' questo tentativo nella Commissione Diritti Umani dell'ONU, di far parlare del Tibet.Quindi la situazione e' adesso riconosciuta come un problema per il quale si deve trovare una soluzione, una soluzione politica. Ed e' anche riconosciuto che il problema non e' soltanto un problema di diritti umani, ma politico. Dunque, da questo punto di vista la situazione e' molto migliore di 8 o 9 anni fa. Invece la situazione nel Tibet stesso e' peggiore di prima. Soprattutto negli ultimi 2 o 3 anni la situazione e' peggiorata nel senso che per esempio adesso la lingua tibetana non si puo' piu' usare come prima nell'universita' di lhasa, salvo qualche eccezione, nelle scuole si utilizza la li

ngua tibetana meno di prima, c'e' molta propaganda contro il Dalai Lama, che prima non c'era in questa misura, diciamo che non c'era una politica aperta contro il Dalai Lama nel Tibet stesso dopo la Rivoluzione culturale: questa e' la prima volta che si sente parlare del Dalai Lama come di un criminale. L'atmosfera nel Tibet e' nera, la gente ha paura, ha paura non soltanto delle autorita' e del governo, la gente ha paura l'uno dell'altro. Un po' come nel periodo della Rivoluzione culturale. E Questa e' l'espressione della volonta' del governo cinese di creare una situazione in cui la possibilita' di esprimersi quasi non esista piu' in Tibet; ma questo e' anche il portato della politica del nuovo leader del partito comunista nel Tibet, che conduce appunto una politica molto forte - prima di venire in Tibet era in Inner Mongolia, e anche li' era conosciuto come uomo molto molto forte.

D.: cresce dunque il consenso nel mondo per la causa tibetana, nuovi film si annunciano e proiettano, c'e' attenzione nella opinione pubblica, ma si rimane sempre alla incapacita' di compiere passi ulteriori, politici. Oggi forse la responsabilita' maggiore di questo risiede nella politica USA, oltre che in quella che sembra quasi senza speranza dell'Europa.

R.: E' vero che c'e' molta attenzione, che in particolare negli Usa si parla molto del Tibet.E uno sviluppo importante e' stato quello per cui ora c'e' un coordinatore speciale nel dipartimento di Stato americano, che ha il mandato di occuparsi della situazione del Tibet a nome del Ministro degli Affari esteri degli Stati Uniti, e di parlare con Cina e Tibet e di fare in modo ci sia un dialogo. E questo e' uno sviluppo molto importante.

D.: Ulteriori sviluppi prevedibili?

R.: Difficile dirlo. Ho detto di questi sviluppi positivi; vi sono pure quelli negativi, per cui molti governi, soprattutto in Europa, pongono gli interessi economici prima della situazione tibetana e dei diritti umani. C'e' stato un messaggio chiaro, che la Cina ha capito, soprattutto l'anno scorso, quando alcuni membri della Unione Europea non hanno appoggiato la Risoluzione contro la Cina nella Commissione Diritti umani - vi si trattava dei diritti umani ovunque in Cina, ma specialmente in tibet - e la Cina ha interpretato questo come un segno per cui questi governi sono in verita' piu' interessati ai contratti che ai principi di diritto internazionale e ai diritti umani. Questa situazione rendera' molto piu' difficile esercitare pressioni sulla Cina, soprattutto da parte dell'Europa.

D.: Quello che e' accaduto nel marzo scorso a Ginevra e' stata la dimostrazione anche della inesistenza dell'Europa, della inesistenza di una politica estera europea. Per concludere, Michael, un commento sul Partito Radicale Transnazionale, ma soprattutto su che cosa il PR dovrebbe fare secondo te.

R.: Il Partito Radicale interpreta principi molto chiari sui diritti umani, sui diritti all'autodeterninazione, ecc, Ed e' importante che la comunita' internazionale, che i politici, soprattutto nelle Nazioni Unite, ma anche in Europa, nelle istituzioni europee, vi sia una possibilita' di discutere seriamente questi principi.Non soltanto saltuariamente orientare l'attenzione su una situazione grave in un paese o in un altro, ma anche per cambiare la mentalita' delle istituzioni politiche, la mentalita' dei leader dell'Europa. Sono convinto che a lungo termine si dovranno ripensare un po' tutte le idee di stato, quel che lo stato deve rappresentare, quali sono le funzioni dello stato. E' chiaro che una delle funzioni principali di uno stato e' proteggere la popolazione che vive nelle sue frontiere; e se un governo non protegge la popolazione ma la reprime, vi e' una contraddizione tra la ragion d'essere di uno stato e quel che e' nella realta'. E queste sono questioni molto importanti che il Partito Radicale

ha gia' affrontato, ma penso che vi sia una possibilita' e necessita' ancora piu' ampie di porre al centro del dibattito queste domande fondamentali, non soltanto in Italia, ma internazionalmente.

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Ho inserito qui a nome mio questa trascrizione perche' mi interessa aggiungere una considerazione.

Semplice e banale, ma credo ormai necessaria: occorre che il Partito si ponga concretamente il problema di porre in discussione la forma di stato, e la rappresentanza degli individui. Il Partito sempre di piu' rischia di consentire che questa urgenza divenga urgenza di altri, e in se' non vi sarebbe nulla di male, se non fosse che la storia e la volonta' di diritto che interpretiamo e facciamo vivere e' necessaria nel processo che di per se' si impone nei rapporti tra le popolazioni del mondo. Occorre premettere - non solo associare, credo ormai - alla rivolta contro la degenerazione (o l'essenza?) dello stato di oggi per esempio in Europa da un punto di vista interno, la lotta sul punto della legittimita' - esclusiva o meno - dello stato ad essere agente di rapporti internazionali.E il problema e' nel governo dei processi in atto, che ineluttabilmente sono in atto. Le regole si creano da se'; o e' invece un problema di fonti?

 
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