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Orofino Veronica - 7 gennaio 1998
S. Una nota di M. Ventura, da v.orofino
35 anni fa Pier Paolo Pasolini, firmava un film strano, un film sulla guerra e non solo sul tempo moderno che metteva insieme la poesia della morte di Marilin Monroe e la rabbia che si era scatenata nella guerra di Algeria. era il 1963 e quel film si chiamava "la rabbia" Si parlava anche dei nemici che sono tra gli stessi fratelli dei fratelli, fratelli attaccati al terrore antico dei fratelli nella loro ferocia innocenti. 35 anni dopo in Algeria per ragioni diverse, molto diverse che si dipanano però sullo stesso filo conduttore che contrassegna l'identità di un popolo e la sua storia. In Algeria assistiamo a una guerra nuova guerra contro il popolo dove le vittime non hanno un volto come non lo hanno i carnefici dove si sa solo che da un lato ci sono i fondamentalisti e i terroristi islamici che massacrano e sgozzano e mutilano per impedire che i corpi entrino grazie alla loro integrità nel paradiso di Allah. Tanto fanatici da adirarsi addirittura con Dio perchè non li fa vincere e dall'altra degli strani

becchini che sono i militari braccio armato di una gerarchia di un sistema DI POTERE CHE FONDAMENTALISTA NON E ' ma che ha lo stesso interesse che i fondamentalisti a non far trapelare le cifre e sopratutto le immagini vere delle mattanze e i guerriglieri massacrano e i soldati vengono a spendere i sudari sui corpi fatti a pezzi infine le autorità precisano, che le vittime dell'ultimo massacro non sono state 412, ma solo 76. Ci mancano le immagini la testimonianza diretta di quanto sta accadendo in Algeria. I giornalisti algerini vivono eroicamente rischiano ogni giorno per raccontare l'enormità della tragedia comune il sangue, i morti e la mattanza ,il silenzio dei becchini. I giornalisti stranieri sono costretti a girare sotto scorta, condannati ad arrivare sempre in ritardo. I fotografi a non poter catturare le immagini dello scempio collettivo. Viene da pensare che anche in Bosnia e Saraievo i giornalisti di Oslopojeniek vivevano pericolosamente in un edificio crollato sotto le bombe, accartocciato su se

stesso come un fungo macerato ed appassito dalle granate, ma in Bosnia i giornalisti hanno potuto lavorare e in Bosnia gli intellettuali francesi sono andati hanno filmato e raccontato l'orrore del genocidio e l'ipocrisia delle promesse occidentali anche di quelle del presidente francese allora Mitterand, eppoi con loro prima di loro c'era un intellettuale italiano, uno che ha fatto di Saraievo la sua seconda casa e che a oggi non si troverebbe male a vivere tra gente che lo considera un eroe. Uno che ha fatto del bene a tutti loro, agli assediati ai carcerati di Saraievo e personalmente ad alcuni di loro, i bambini in particolare che conservano ancora i suoi regali come oggi, ricevono da lui dall'Italia i francobolli staccati dalle lettere che riceve in carcere, grazie alle corrispondenze e alle immagini in video otto di quell'intellettuale, noi abbiamo avuto della guerra bosniaca una percezione insieme quotidiana minuziosa e giornalisticamente preziosissima, ma anche concettualmente ricca. Una provocazio

ne che ha contribuito a metter fine alla vigliaccheria sanguinaria delle stragi del pane o del mercato complice l'Europa: Quell'intellettuale oggi si trova in un'altra galera più piccola e meno immediatamente pericolosa. In una cella di pochi metri quadrati dove una perquisizione un pò più brusca gli ha strappato il lusso di una carta geografica del mondo che lui aveva appeso al muro sopra la branda. Quella carta era la sua finestra, una finestra della memoria ma anche della speranza. Questo intellettuale è stato non solo in Bosnia a raccontare la difficoltà di risalire cinque rampe di scale al buio e di raccogliere poche goccie d'acqua attraversando una città sotto assedio ma, è stato anche in Cecenia spendendosi per salvare tre volontari di Intersos ostaggi dei guerriglieri eppure nella sua cella di Pisa, Adriano Sofri ha scritto per Panorama sulle donne afgane carcerate nel burca che copre tutto il viso e sulla foto di una donna algerina assistita da un'altra donna nel momento in cui si accascia perchè le

hanno detto che nessuno dei suoi 8 figli è scampato al massacro ed elencando i pacchi di rassegna stampa che ritaglia con le forbicine chicco, il detenuto Sofri ha citato nella sua rubrica per panorama in primo luogo l'Algeria, prima della Bosnia, prima del carcere,molto prima dello stesso caso Sofri ha pure scritto che oggi se fosse libero starebbe non a Firenze ma ad Algeri. Ecco io credo che in questo momento si sente forte la mancanza di un testimone come lui in Algeria. Uno che ci racconterebbe la rabbia di tutti i giorni del popolo algerino, la rabbia pasoliniana con l'intelligenza e pietà. v. orofino scusate gli errori Ho apprezzato questo testo!

 
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