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Orofino Veronica - 8 gennaio 1998
Black out sull'Algeria. " Fatica del dolore", questa frase che sembra poetica, descrive nelle scienze sociali, il senso di fastidio che assale tanti di noi quando le disavventure del mondo tornano a ripetersi e formano una catena di fatti terribili ma uguali. Di nuovo? Ci sorprendiamo a dire. Questa è l'Algeria.
Quasi ogni mattina, come ieri, come l'altra settimana e l'altro mese e l'altro anno, sono stati sgozzati a decine donne e bambini, ogni esecuzione compiuta di fronte agli altri, le case bruciate dopo avere inchiodato le porte. E le "spose prestate?" C'è anche questa notizia nel ripetersi esasperante delle notti algerine. Vuol dire che decine di ragazze adolescenti vengono sequestrate in un villaggio, trasportate nei campi base della guerriglia, diventano, con la dovuta sacralità, moglie provvisorie dei giovani assalitori, prestano un servizio di procreazione e poi vengono uccise come le donne, i bambini e gli uomini dei loro villaggi.

La lista di orrori è molto più lunga, i dettagli sono spaventosi. Ma so che mi devo fermare perchè la "fatica del dolore" rischia di liquidare nella disattenzione anche queste righe.

Eppure non è tutta la verità. Qualche altra cosa ci induce a sapere, e a scartare, il peso spaventoso della notizia quando si tratta di Algeria. Direte che lo abbiamo fatto altre volte. Per esempio siamo stati capaci di restare abbastanza indifferenti alle stragi africane che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone estranee ai conflitti: Le abbiamo appena intraviste, tra un episodio di morte e l'altro, in infernali "campi di raccolta"

E' vero. Ma potevamo invocare i due alibi della lontananza e della nostra profonda estraneità alle cause. Chi sono i Tutsi?

Quale antico odio tribale scatena di colpo i machete e le armi automatiche spazzando la vita umana da giungle e savane? Potevamo forse invocare l'attenuante di eventi troppo grandi, milioni di persone ammassate senza soccorsi all'estremo confine fra vita e morte. Ci dedicavamo allora a invocare, in brevi conversazioni imbarazzate, l'intervento delle Nazioni Unite. Oppure ne esecravamo la inefficenza. Chi se non il governo del mondo, potrebbe pensarci?

In passato non ci nascondevamo dietro simili alibi.

Quanti di noi hanno vissuto fino in fondo, partecipando, protestando, scrivendo, parlando, dimostrando intorno al dolore quotidiano della Cambogia, del Vietnam, di certi eventi ( non tutti) dell'America Latina e ( su due lati diversi, alcuni di noi) nella tensione a momenti insopportabili fra palestinesi e Israele?

E' VERO, siamo stati spesso divisi, su queste tragedie.

La divisione era ideologica. Per alcuni di noi era pace contro guerra, per altri vittoria di una parte sull'altra.

E' stata la ex Jugoslavia a dividerci in un modo del tutto nuovo. Da una parte i volontari che hanno rischiato tutto per opporsi come potevamo alle stragi e salvare almeno un bambino. Dall'altra una estraneità tranquilla, nonostante la vicinanza e la somiglianza dei luoghi e delle persone travolte.

Però la clamorosa indifferenza per l'Algeria ( nessun telegiornale ha aperto con la notizia delle due ultime terribili stragi di agosto, fra i quotidiani solo Repubblica) non si spiega con nessuno dei comportamenti precedenti. Non l'ideologia, non la sua assenza, non l'attesa desiderata per finta o con passione di un intervento internazionale, non la scusa che "tanto ci sono i volontari".

In un paese vicino, profondamente legato alla nostra cultura ( ricordate il libro denuncia di Servan Schriber, l'indimenticabile film di Gillo Pontecorvo?) quasi ogni giorno decine di persone, fra cui molti bambini, vengono sgozzati.

Il fatto ci viene regolarmente annunciato. E noi? Noi niente. La nostra reazione, a parte l'esasperazione di sentire sempre disgrazie e la pietà e la pietà del momento, è molto minore di quando militanti senza volto di "Sendero Luminoso " nel lontano Perù procedevano alle esecuzioni di contadini considerati nemici in qualche impronunciabile villaggio andino.

Eppure sappiamo molto dell'Algeria. Il governo è militare e semidittatoriale. Ha preso il potere per scongiurare l'esito della imprevista vittoria di un fronte religioso islamico. Quel fronte è stato spinto alla clandestinità perchè privo di altri sbocchi. E questi sono gli esiti: guerra interna. Poichè mancano i connotati razziali non sapremo dove e perchè alzare una bandiera di protesta, o come giustificare un intervento anche solo morale.

Storia e sociologia aggiungono dati. Una massa di giovani senza futuro milita dove capita perchè tagliata fuori da tutto. In un paesaggio di povertà fisica e di grande densità demografica, chi è fuori combatte qualunque guerra, pur di non rassegnarsi a vivere e a morire nel niente. Anche una guerra religiosa guidata dal fanatismo assoluto.

Queste ultime parole forse sono la guida. Religione e fanatismo.

SCETTICI e non credenti hanno una facile via di uscita: ecco dove porta il fanatismo delle fedi esasperat. Chi crede o rispetta il sentimento religioso vede il campo minato. Fin dove si può spingere la critica a una fede che, ovviamente, deve essere rispettata come tutte le fedi, e anzi è una delle tre grandi religioni del mondo?

So di correre qualche rischio, ma non vorrei dimenticare la meticolosa RIPETIZIONE DI ANTICHI GESTI SACRALI: sgozzare immolare. Forse anche questo induce al silenzio, pur in presenza di fatti orrendi? Chiederselo vuole anche dire sognare la fine della tregua che il mondo ricco, informato e civile ha deciso di stipulare con la parte folle del mondo islamico.

In quella tregua, ogni notte, mani assassine agiscono liberamente e senza limiti e noi incosciamente archiviamo tutto quello che fanno come " guerra di religione ". Che vuol dire starne fuori, persino con l'emozione e l'immaginazione. Non si entra nel tempio degli altri.

Se ci sono altre spiegazioni sono impaziente di ascoltarle, di leggerle. Di una cosa sono certo. La nostra astensione (l'astensione del mondo) è colpa grave. Segna un precedente di grande pericolo nella storia. Non solo per l'Algeria. Per tutti noi. 2/9/97 di F.Colombo la repubblica

Si potrebbe organizzare una tavola rotonda?

UNIONE EUROPEA, COMMERCIO E DIRITTI UMANI. ( Algeria indifferenza contrabbando e mercato nero.

 
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