ESSERE LIBERALI E' REALIZZARE LA LIBERTA' Carissimo Giuliano, Perchè "cordiali saluti"? Io ho perso alcuni giorni; la tua lettera mi aiuta a rendere più concreto e laborioso quest'oggi: ed è in questo - ch'io sappia - senso, valore e prova dell'amicizia. Quindi: grazie e, per cominciare, "Ave" affettuoso!! Non capisco i nostri amici. Non so quale riconoscimento "morale" si possa dare agli ungheresi oltre l'omaggio, che è la stessa mozione, verso chi ha saputo elevare a "tragedia"la sconfitta pratica e quella delle idee in cui si riconosceva.... Comunisti o liberali che soggettivamente fossero, non erano e non sono mai stati, nel senso proprio del termine, nè democratici, nè rivoluzionari. Questi nostri amici parlano molto delle idee, e poi le trattano come cose astratte o come prodotti belli e fatti di cui si deve solo apprendere la "posologia" e le "istruzioni per l'uso ". Essere liberali significa sapere realizzare le libertà, non solo e non tanto come dato religioso e mistico, ma come dato politico. Poveri ungheresi! Poveri e grandi, quel che loro mancava è proprio "le idee"...
E Stefano (Rodotà), e Giovanni (Ferrara,) e gli altri, che blateravano contro l'esistenzialismo e le filosofie anti idealistiche, come possono, proprio loro, legittimare sul piano s
etico le rivolte e il rifiuto, sul piano politico l'ignoranza e la pratica disperazione...... Come possono non essere daccordo proprio sulla formula da me usata di "intima incapacità"? Perchè di questo si tratta. O forse Francesco Calogero o altri, non vogliono che proprio noi si parli di questo perchè... non è bene parlare della corda ecc...? Non intendo, con queste osservazioni, sbarazzarmi con facilità di obiezioni che possono essere gravi e giuste. Non chiedo di meglio che discutere di queste cose. E' il senso primo e principale, mi sembra, della nostra azione. Se ci riusciremo avremo di già riportato un risultato positivo: è sul campo che abbiamo scelto che potremo iniziare a lottare... 2) "Proposta di apertura verso i comunisti". Va indubbiamente approfondito un aspetto della nostra posizione che ha finito per divenire prevalente (per gli occhi estranei) e che, appunto per questo, m
i sembra aver perso la sua misura ed il suo significato. Bisogna distinguere due lati del problema che va sotto il nome dei comunisti. Il primo è quello della esistenza di milioni di persone che sono comunisti e sono "concittadini"; di strutture, ideologiche e sociali, che fanno parte integrante, che lo si voglia o no, della nostra società e dello Stato e del nostro tempo; di sindacati che ad essi sono (giustamente spesso) legati. Come vogliono o speriamo o temiamo che si sviluppino queste cose esistenti e che comunque si svilupperanno? Direttamente e indirettamente (in che misura, è altro problema) noi aiuteremo un processo di sviluppo piuttosto che un'altro. Ora, se noi sappiamo verso dove, verso quale Stato e quali ideali andiamo, e vogliamo che i nostri amici vadano; non possiamo non volere che tutti i cittadini abbiano la possibilità di percorrerla o di sceglierla, Quindi anche i comunisti. Quindi "a partire" da quel che concreta
mente sono le masse del Pci; a partire dai loro interessi "obiettivi" e dalle loro stesse "contraddizioni interne". Questo comporta la volontà e l'urgente iniziativa di avere un contatto concreto con loro. Abbiamo pensato di chiuderli in un ghetto e ci siamo trovati nel ghetto noi stessi. Ora quel che noi chiediamo è una reale presa di contatto. Può essere (e sarà) polemica e anche violenta: ma in nome di una alternativa di obiettivi ideali e storici da creare contro gli altri esistenti; contro le attuali possibilità di sviluppo, per nuove virtualità. (Ecco quel che mi sembra interessante nella "mozione ungherese": l'affermazione che noi, non meno di loro, fummo impotenti perchè non sapendo più dove storicamente vogliamo andare a portare la nostra società, come loro, al massimo, possiamo essere dei"collaborazionisti"o dei reazionari ("romantici" d'accordo ; ma questo che cambia?). Potremmo chiamare questo intento quello della normalizzazione della vita democratica e dell'
inserimento delle tradizioni democratiche e liberali nel corpo di grandi masse operaie e contadine che mai si è realizzato. Questo mi appare ancora più urgente dell'''inserimento delle masse nello Stato", cioè nel disordine costituito. Se guardiamo all'Europa è indubbio che le masse comuniste hanno acquistato negli ultimi 20 anni interessi "liberali": si tratta di approfondirli e di legarci ad essi... Ho interrotto per alcuni giorni. Vorrei riprendere, apparentemente senza nessun stretto, con il registrare l'osservazione che io stimo più "pericolosa", per me, di quante ne vado facendo, verso il comunismo. Ci sembrano, e lo diciamo, "non -rivoluzionari". Ci sembra, e lo diciamo, che abbiamo perfino perso il senso "quadro" delle rivoluzioni possibili. Così in Europa. Eppure un'altra ipotesi può essere fatta. Che il "quadro" dato dagli 81 partiti comunisti, e dalle loro posizioni di potere. Il che vuo
le dire un "quadro" che, comprendendo la Russia (e la Cina e le "democrazie popolari"), non prescinde certo dalle storie concrete delle rivoluzioni come si sono lì realizzate; ma che non è costituito e rinforzato, soprattutto da questa storia, ma soprattutto dal moderno "umanesimo" che si sviluppa in Russia, con l'espandersi della scienza e della cultura, dell'ordine e del benessere. Da una classe dirigente e da una classe intellettuale che va riacquistando il senso della lotta storica dell'''umano" contro la "natura" e le "cose". Di una supremazione dell'uomo (e perchè rimproverare solo a loro il loro"idealismo" il loro "Hegelianesimo", il loro antiesistenzialismo" e " anticristianesimo", per cui avvertono "l'uomo " sub specie eternitatis, sub specie dello Stato, o della "classe" ecc. (perchè rimproverare soprattutto a loro il loro antipersonalismo). Si tratta forse di una espressione della società e della civiltà industriale, il cui rischio, per noi, è forse di essere la p
iù seria e tecnicamente la più efficace. In questo caso sarebbe errato di accusare di conformismo ideologico il Pci. Ideologicamente, a voler essere conseguenti con il marxismo e con il leninismo essi avrebbero dovuto (come noi forse saremmo portati a fare) porsi un problema di conquista rivoluzionaria del potere a partire dalla società industriale europea, della classe operaia che ne è una espressione... Fare, insomma, a livello internazionale europeo,
un discorso non molto diverso da quello di Giolitti sulla società italiana e l'azione, nel suo ambito, delle sinistre. ( il torto di Antonio Giolitti è di essere, più di quanto non crede, il nipote dello Statista. Egli tenta da sinistra quel che l'altro tentò e, in parte, realizzò con il centro e dalla destra...) Oltre ogni altra storia intravvedo come differenza con il Pci proprio questo: egli parte dal contesto 81 "partiti comunisti", noi da quello
Stato -masse europee... L'unica nostra superiorità è che, a rendere esplicita questa differenza, il Pci si troverebbe in posizione difficile e dovrebbe affrontare un dibattito interno democratico e il Psi sarebbe rimesso "in corsa"... L'accusa di disfattismo verso le masse europee; di mancanza di indipendenza politica ("non morale", attenzione a questa trappola! "Moralmente" l'obbedienza politica può essere una scelta attiva, una manifestazione di moralità, e non una rinuncia...) sarebbe giusta e comprensibile. E politicamente possibile...
Caro Giuliano, interrompo questa lettera; ne devo scrivere altre. Tu che sai farlo, riassunmi, quel che c'è, classificato, cristallizzalo, perchè possa esser ancor più presto approfondito e superato. Situalo, in mezzo a quel che già c'è... Non delegarmi "fiducia". Per me, avrò saputo fare anche quel che tu, per tuo conto, avrai saputo e voluto realizzare. ciao. Marco