di Giorgio Gandola/ giornale 17/01/98Assiderati sull'Himalaya mentre cercano di lasciare la Cina
Una preghiera nella neve. L'hanno scritta su un pezzo di stoffa e l'hanno lasciata lì a cinquemila metri prima di continuare la marcia,dentro un'urna di latta ricavata da una scatola di tè. E' stato un funerale magico all'ombra dell'Everest quello che i 18 superstiti tibetani hanno celebrato nel gelo dell'Himalaya per salutare 4 ragazzini di 10 anni e un monaco di 16 uccisi dalla tormenta mentre tentavano di fuggire in Nepal e poi in India. Verso il Dalai Lama in esilio, verso la libertà.
Sul tetto del mondo c'è un popolo in fuga; sono i curdi d'Oriente e per cercare un futuro sono costretti ad attraversare un mare di ghiaccio. Scappano dalla loro terra occupata dai cinesi, dagli effetti della rivoluzione culturale dalla grigia urbanizzazione comunista, dai roghi e dai templi, da sottili torture psicologiche e da silenziosi massacri.
Qualche giorno dopo un'altro gruppo di 26 persone è arrivato a destinazione, ma una madre piangeva: sui ghiacciai aveva perso il figlio di 2 anni.
Quando arriva l'inverno i soldati cinesi si rintanano nelle caserme e i tibetani provano a scappare. Nonostant i rastrellamenti della polizia politica, in tremila ogni anno ci riscono in tremila ogni anno ci riescono; è una lenta e silenziosa processione da Lhasa a Dharamsala in India, dove il Dalai Lama è costretto a sopravvivere dal 1955 quando Pechino invase il Paese delle nevi.
Il viaggio dura 14 giorni, mai più di trenta persone per gruppo. Le famiglie vendono anche i candelieri dei bisnonni per pagare un passaggio e per avere di che sopravvivere in India. I monaci reclutano le guide negli alpeggi, dove si nascondono i guerrieri Khampa, i figli degli altipiani, uomini senza età che non sai se definire eroi o briganti. Gli unici che non hanno mai accettato l'occupazione cinese.
Gli invasori li chiamano "i cani addormentati dell'imperialismo", ma loro non dormono mai. La loro guerra santa non è fatta di guerriglia e di attentati, ma di cartine che indicano le valli più impenetrabili. Loro traghettano da lassù, attraverso varchi indicati dalle vecchie mappe dei monaci, quelli che scappano
Duecento chilometri fra le nevi più alte del mondo, anche se i monaci non le vedono "perchè loro guardano solo dentro se stessi". A piedi dentro un pianeta di ghiaccio circondato dal Grande padre Everest, dal tempestoso Nanga Parbat, dal sacro Kailash ai piedi del quale l'asceta Milarepa stette immobile per tutta la vita in attesa di un messaggio di Dio. I cinesi, per sfregio, offrirono a Reinhold Messner di scalare gratis la montagna ma lui (per fortuna) rifiutò.
E' un viaggio micidiale, ma restare non si può Chi riesce nella traversata racconta di monache fatte azzannare dai cani, di uomini appesi ai polsi per giorni come salami ridotti a stracci umani dalla veglia forzata e dalla fame, di giovani dissidenti catturati e immobilizzati davanti al ritratto di Mao senza potere muovere la testa col divieto di deviare lo sguardo.
l'oppressione cinese dura da 40 anni, ma in Occidente nessuno alza alza la voce; più facile fare affari con Pechino, Il momento più affascinante del film di Annaud, SETTE ANNI IN TIBET, è quello dell'invasione maoista, ma le critiche frou-frou hanno abilmente sorvolato. E allora via verso il viaggio impossibile, mentre la tormenta cancella i passi di chi cerc la libertà.
La marcia lungo i crepacci somiglia a una processione di quelle organizzate verso i cimiteri degli anziani. Poco bagaglio, il necessario per non morire di freddo. I bambini camminano, e quando non ce la fanno più gli altri si danno il turno a portarli in spalla. La notte si brucia lo sterco di yak e si beve tè al butto salato. E i cinesi? Di solito non inseguono, lasciano che il killer lo faccia la montagna.
L'uktima tragedia è avvenuta in dicembre ed è stata denunciata dalla "Tibet information network" un'organizzazione che si occupa delle violazioni dei diritti umani commessi dagli invasori cinesi. I 18 superstiti, alcuni semiassiderati, sono stati portati in salvo da una coppia di rocciatori scozzesi e da alcuni sherpa.