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Partito Radicale Roma - 26 gennaio 1998
LA DIFFICILE EREDITA' DI GANDHI
Cinquant'anni fa, il 30 Gennaio del 48, il Mahatma fu ucciso da un fanatico indù

L'India aveva appena celebrato la sua prima festa dell'Indipendenza

La Repubblica

Domenica 25 Gennaio 1998

Di Vanna Vannuccini

Dopo aver consumato la cena- latte di capra, verdure bollite e tre arance- Gandhi era uscito come ogni giorno in giardino per la preghiera serale nel giardino della Birla House.

Era il 30 gennaio del 1948. Quattro giorni prima, il 26 gennaio, l'India aveva celebrato la sua prima festa nazionale dopo l'Indipendenza. Era stato Gandhi nel 1930 a proclamare il 26 gennaio giorno dell'Indipendenza, dopo che i colonizzatori britannici avevano rifiutato di concedere al paese lo status di dominion come al Canada e all'Australia. Ma questa volta il Mahatma (la Grande Anima, così l'aveva chiamato il poeta Rabindranath Tagore) non aveva partecipato alle celebrazioni. "Festeggiare il giorno dell'Indipendenza era giusto quando ancora lottavano per conquistarla. Ora ce l'abbiamo e siamo delusi. O almeno io lo sono", aveva scritto sul suo giornale Harijan. La sua delusione era dovuta soprattutto all'ondata di odio religioso che scuoteva il paese. La missione della sua vita, l'unità tra indù e musulmani, era fallita con la "partition". Mai nella storia dell'India tanti musulmani erano stati assassinati a sangue freddo dagli indù e tanti indù erano morti per mano musulmana come in questi mesi. Gandhi

aveva appena terminato un digiuno con il quale aveva ottenuto una tregua della violenza religiosa. Ma le tecniche della non violenza cominciavano a dare sempre meno risultati. Con la sua solita chiarezza si era reso conto per primo che la libertà, ottenuta cinque mesi prima, non sembrava realizzare nessuno degli ideali per i quali i freedom fighters avevano lottato. Con il trasferimento dei poteri all'India indipendente Gandhi aveva passato la leadership politica a Nehru. Voleva continuare i suoi esperimenti di riforme sociali e morali fuori del sistema politico: già un'ammissione di sconfitta, non dovendo esservi, secondo i suoi principi, divisioni tra politica e morale.

La Birla House, il bungalow bianco di proprietà del suo amico banchiere Das Birla dove abitava a Dehli coloniale costruita dall'architetto Luytens. La stanza dove Gandhi abitava è rimasta com'era: un materasso e un cuscino, una piccola scrivania bassa, un filatoio sul quale lavorava ogni giorno per qualche ora, un vecchio orologio, un cucchiaio e una ciotola. I suoi ultimi passi dalla camera, fino al giardino sono segnati con impronte tinte di rosso, che richiamano alla memoria le sue lunghe marce a piedi attraverso l'India per diffondere il credo dell'indipendenza, e liberare gli uomini dalla ostinata adesione al rituale e alla casta. Fu grazie alla sua lotta per gli "intoccabili", i fuoricasta,(lui li chiamava Harijans, figli di Dio, ma loro ora preferiscono il nome Dalit, che significa oppressi) che le leggi del nuovo Stato stabilirono delle quote a loro riservate per l'accesso alle scuole e agli impegni pubblici.

Le impronte rosse girano verso sinistra e salgono cinque scalini ricurvi che portano al prato scelto da Gandhi come luogo di preghiera. Lungo il sentiero lo aspettava sempre una piccola folla che chiedeva la sua benedizione. Gandhi la salutò con le mani giunte. Salutare con le mani giunte significa per gli indiani riconoscere la presenza del divino negli esseri umani. Sapeva che la sua vita era in pericolo: pochi giorni prima all'ora della preghiera qualcuno aveva lanciato una bomba contro la Birla House. Ma aveva rifiutato ogni protezione: "se devo morire per i colpi di un folle, lo farò col sorriso sulle labbra, senza ira. Dio dovrà essere nel mio cuore e sulle mie labbra", aveva detto. L'assassino, Nathuram Godse, un estremista indù che pubblicava giornali fondamentalisti a Bombay e odiava Gandhi perché predicava la pace tra indù e musulmani, si aprì un varco tra la folla, raggiunse il Mahatma e sparò tre colpi in rapida successione. Gandhi si accasciò al suolo mormorando per due volte il nome di Ram. Nel

punto in cui fu ucciso ora sorge un obelisco. Come ogni anno, anche il prossimo 30 gennaio alla Birla House si ricorderà la morte del Mahatma e si canteranno le preghiere a lui care. Gandhi resta un punto di riferimento per gli indiani e qualsiasi giovane ti dirà che è stato "il Padre della Nazione". Ma pochi conoscono la storia della Birla House o sanno che Gandhi era stato ucciso proprio lì. Se è ancora considerato il padre della nazione, è un padre più facile da ammirare che da seguire. I politici non sono stati nemmeno capaci di mettersi d'accordo su dove erigergli una statua a Dehli. "Nonostante le celebrazioni, i nomi di coloro che veramente avevano combattuto per la libertà sono stati progressivamente tagliati fuori dalla nostra storria", sostiene la scrittrice Gita Mehta. E' d'accordo anche lo storico Ravindra Kumar, curatore del Museo Nehru: "Da vivo era impossibile ignorarlo. Da morto è stato impossibile imitarlo. Gandhi ormai non è che un'icona, che ogni anno viene lustrata e poi rimessa al suo p

osto, senza conseguenze. Non abbiamo saputo realizzare nessuno dei suoi obiettivi politici e ci sentiamo così obbligati a dargli una incarnazione apolitica come Mahatma. Per Gandhi invece non c'era separazione tra modo di vivere e le idee che professa. Questa sua determinazione non trovò uguali tra i politici del ventesimo secolo. Fu la sua grande lezione". Nessuna soluzione ai mali dell'India è andata nel senso che lui indicava dal rispetto per tutte le religioni al trattamento degli "intoccabili", cambiato nominalmente ma non nella sostanza, all'idea che il potere venisse decentrato al massimo e partisse dai panchayat, i consigli di villaggio, in modo da non lasciare i villaggi fuori dello sviluppo economico del paese Dopo la sua morte, la sua eredità ideologica diventò, ma solo a parole, quella ufficiale del governo. Quella operativa si frantumò in migliaia di iniziative di singoli che lavoravano nella sfera sociale. Senza rapporti tra loro e totalmente separati dalla politica; anzi curiosamente, senza m

ai attaccare i governi, sebbene questi abbiano regolarmente ignorato tutti gli impegni presi per combattere la povertà, sviluppare l'istruzione elementare e i servizi sanitari di base, portare acqua potabile nei villaggi. Senza lo stimolo della presenza e della critica gandhiana la politica indiana prese la via delle promesse mai mantenute. Il risultato è stato disastroso: un paese dove la metà della popolazione è analfabeta, dove più della metà dei bambini non va a scuola, dove 400 milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà. Il paradosso della celebrata democrazia parlamentare indiana è che non è riuscita a migliorare le sorti della maggioranza, nonostante la maggioranza voti liberamente. Le barriere delle tradizioni religiose e culturali hanno rallentato o pervertito l'impatto del sistema democratico. Lo sviluppo degli ultimi anni è proprio il contrario di quello che avrebbe voluto Gandhi: ognuno vota per il partito della propria casta e in questo modo le caste si sono rafforzate. Se col tempo

questa parità obbligatoria tra i partiti delle diverse caste (costretti a trattare tra loro se vogliono formare un governo) porterà anche a un livellamento del sistema gerarchico, resta da vedere. Per ora è servito solo a far arricchire alcuni politici delle caste basse oltre che di quelle superiori. Nella sala centrale della Birla House è inciso su una lastra di marmo il testamento politico che Gandhi aveva lasciato a Nehru.

"Nei momenti in cui è difficile prendere una decisione, questo è il talismano che ti aiuterà: cerca di figurarti il più povero dei poveri, il più debole dei deboli, e chiediti se la tua decisione lo aiuterà, in quanto riuscirà a renderlo un po' più padrone del suo destino".

 
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