E' MEGLIO DEI CANNONI-------------------------
Di Aldo Rizzo / la stampa / 2 / 2
Madeleine Albright aveva detto che la pazienza degli Stati Uniti era praticamente esaurita e che questa volta l'Iraq sarebbe stato colpito in forma "massiccia ". Ma, dopo aver incontrato Netanyahu e Arafat, ancora una volta inutilmente o quasi, il segretario di Stato ha ammorbidito i toni Washington "proseguirà gli sforzi diplomatici", anche se "tutte le opzioni restano aperte". In altre parole, la macchina militare americana può abbattersi in qualunque momento sull'Iraq di saddam Hussein, ma si tenta ancora una soluzione negoziata. C'è un nesso tra lo stallo persistente del processo di pace israelo-palestinese e l'esitazione degli Stati Uniti a rovesciare bombe e missili sul nemico iracheno? Certamente. Attaccare un Paese arabo, ancorché inviso ai suoi stessi vicini, mentre Israele viene considerato con qualche ragione il principale responsabile della crisi delle trattative con l'Anp, significa offrire un grosso pretesto propagandistico a Saddam Hussein. Di più : messo alle corde, lo stesso Saddam potreb
be tentare una rivalsa disperata su Israele, come fece del resto sette anni fa durante la guerra (l'altra guerra?) del Golfo. Solo che, questa volta, il governo di Gerusalemme non incasserebbe senza reagire, e potrebbe innescarsi una spirale assolutamente tragica, non soltanto per il medio Oriente.
Ma, a parte la questione israelo-palestinese (questione peraltro cruciale, centrale, per tutta la regione), altri argomenti inducono a valutare con cautela la soluzione militare della crisi Usa-Iraq. Intanto, sarebbe una soluzione? Anche se in questo caso si parla di attacco massiccio, non dimostrativo è difficile credere che esso sarebbe risolutivo. Per distruggere le armi micidiali che Saddam starebbe fabbricandosi, in sfida alle risoluzioni dell'Onu, bisognerebbe fare terra bruciata, e forse occorrerebbe l'intervento di forze di terra. Dunque guerra vera, totale, con in gioco, definitivamente, la stessa persona di Saddam Hussein. A parte gli incalcolabili danni per la popolazione civile. Non a caso, i giornali americani, anche se non contrari all'attacco, chiedono a Clintondi precisarne gli obiettivi, prima che se ne paghino i costi.
Già, Clinton. La sua situazione non è invidiabile. Grava su di lui il sospetto di cercare un grande diversivo, rispetto allo scandalo interno, in parte sopito, ma pronto a riesplodere. Sospetto magari ingiustificato o eccessivo, perché la questione irachena era ed è grave di per sé, e poi è l'intera classe politica americana, democratici e repubblicani, a chiedere un decisivo "chiarimento" col truce Saddam.
Tuttavia il sospetto resta, e sarà utilizzato ampiamente, nel mondo arabo e non solo, in caso di uso inefficace o smodato della forza.
Detto tutto questo, quali sono i margini effettivi di una soluzione diplomatica? Purtroppo sono esigui anch'essi, soprattutto nel senso che il Raiss può aprirli oggi per richiuderli domani, come ha fatto in passato. Un drammatico rompicapo. Di fronte al quale si delineano, in ultima analisi, due scuole di pensiero. La prima dice che anche un defatigante "stop and go" delle ispezioni col consenso e la pressione dell'intera comunità internazionale, può dare risultati migliori di un attacco militare della superpotenza americana, fatto il bilancio dei pro e dei contro. La seconda scuola dice che il tempo del dialogo, anche duro, è ormai scaduto e che è il momento di dare, di ridare, la parola alle armi, con una voce più forte.
Per quanto sia grande la tentazione di dare ragione alla seconda, la prima appare, tutto sommato, più convincente. Non per pacifismo, beninteso, ma in termini di stretta "Realpolitik". Come ha osservato l'"Economist", hanno messo al bando più armi irachene gli ispettori dell'Onu, nonostante tutto, che i tanti bombardamenti americani. Se poi Saddam non dovesse lasciare altra scelta che la guerra...