DOCUMENTO DI LAVORO SUI COSTI DELLA NON-COMUNICAZIONE IN EUROPA
Esposizione e discussione in commissione istituzionale.
Martedì 27 gennaio 1998.
DELL'ALBA: Io vorrei qui centrare il punto che è ineludibile e che costituisce certamente secondo me uno dei punti chiave della nostra riflessione nei prossimi mesi, in vista proprio dell'allargamento, io direi anche a prescindere anche dall'allargamento, ma certamente a maggior ragione in vista di quel allargamento sul quale ci stiamo scervellando senza ad oggi aver trovato una risposta per quanto riguarda gli assetti istituzionali ma dimenticando forse, mettendo in secondo piano certamente, noi a livello del parlamento, un altro grande problema cioè quello della comunicazione. Abbiamo parlato di comunicazione e informazione appena prima e giustamente hai detto che è un tema collegato. Adesso io vorrei abbordare il punto di come comunichiamo e con quante difficoltà lo stiamo facendo, con quanti costi, con quante asperità, per arrivare appunto, io dico alla non-comunicazione che rischia di paralizzare il nostro futuro. Certo qual è il dilemma, naturalmente, visto che parliamo di lingue e di quante lingue, ga
rantire la democrazia al prezzo di una crescita difficilmente sopportabile dei costi e delle cabine, delle traduzioni, o garantire un funzionamento più normale, a prezzo pero di quella che sembrerebbe essere una garanzia di democraticità e cioè l'accesso linguistico. Questo è un po il dilemma sul quale io voglio interrogarvi, il secondo essendo: abbordare il problema della comunicazione significa forse favorire la supremazia di una o l'altra lingua? Perché, è inutile nascondercelo, questo è l'altro problema sul quale il tabù che non abbiamo voluto ancora aprire, esiste. E inutile nascondercelo. Lo dici tu stesso, alcune istituzioni stanno riflettendo e stanno mettendo in pratica dei meccanismi che garantiscono di fatto la supremazia linguistica di una o l'altra lingua nazionale. Da noi il soggetto è tabù ma certamente anche da noi questa prassi, questa tendenza comincia ad affermarsi. Un terzo elemento, altrettanto a mio giudizio importante, come proteggere le lingua meno parlate. Non solo le lingue che sono
riconosciute oggi ma anche le lingue che sono patrimonio, alcune statistiche parlano di 40 milioni di persone in Europa, nell'Europa dei Quindici intendo dire, che parlano correntemente una lingua, magari la scrivono, una lingua che non è la lingua, che non è una della undici lingue ufficiali, ebbene quaranta milioni di persone sono un'entità, penso al Catalano, ma vi sono altri esempi naturalmente che devono farci riflettere. Quindi questo è un po lo scopo di questo mio documento che vorrei brevemente presentarvi. Intanto velocissimamente, a volo d'uccello, quali sono i sistemi di comunicazione che conosciamo e che fino a ora sono stati messi in pratica, c'è il sistema che ho chiamato il sistema svizzero o sistema scandinavo. Scandinavo limitato ad alcuni enti, per esempio alla compagnia di bandiera che raggruppa alcuni paesi scandinavi. Come sapete in Svizzera, vi è un trilinguismo effettivo nel quale molto spesso si parla, si comunica in una o l'altra lingua indifferentemente essendo inteso che l'interlo
cutore risponde nella lingua propria. E un sistema che sarebbe favoloso, che evidentemente si applica a una realtà molto limitata, ma che certamente trova alcune applicazioni nel sostanziale bi o tri linguismo effettivo del quale beneficiano alcune categorie di cittadini o di persone che possono comunicare. Naturalmente difficilmente è applicabile nel nostro caso. Vi è il metodo delle società multinazionali per le quali, è inutile negarlo, in qualsiasi parte del mondo una comunicazione di una grande società multinazionale, tra Parigi e Bruxelles, si svolge in inglese. E la lingua di lavoro a Parigi, a Bruxelles, a Roma o in qualche altra realtà nazionale, all'interno dell'impresa, è l'inglese. Altri esempi di questo sistema erano l'impero sovietico, dove il russo era la lingua veicolare anche se in realtà molte altre erano le lingue dell'Unione Sovietica e la Chiesa dove presumo che, a un certo livello, forse le comunicazioni si fanno o si facevano in latino o in italiano. Ma anche questi mi paiono esempi po
co calzanti per la nostra situazione. Vi è il sistema dell'ONU, sei lingue ufficiali, le sei maggiori diciamo, anche se a mio giudizio ne manca almeno una tra le grandi, e di fatto due lingue di lavoro, l'inglese, in modo predominante, e il francese. Ecco che ci avviciniamo al modello al quale l'ONU, Assemblea e Organo di diplomatici può avvicinarsi e che naturalmente cozza maggiormente contro una Comunità, un'Unione europea che ha un'ambizione molto maggiore naturalmente che quella di essere un'organizzazione appunto, come il nome stesso indica, delle Nazioni Unite che, ripeto, può a quel punto, come dire, privarsi della molteplicità delle lingue nazionali proprio perché è comunque sempre un conglomerato di stati e non di cittadini, come è il caso dell'Unione europea. L'UE, infine, in cui 11 lingue sono lingue ufficiali, le 11 lingue nazionali. Ripeto già vi è il problema dei 40 milioni, e se vi fossero dei catalani, ma vi sono altre lingue, il gaelico ad esempio, che potrebbero rivendicare con qualche tito
lo la possibilità di esprimersi nella propria lingua. Alcuni colleghi lo fanno. Quindi, al di la di questo, 11 lingue costituiscono oggi un peso che nel bilancio comunitario ha la sua incidenza. Vi ho dato delle cifre nel mio rapporto che vi dimostrano quanto quest'incidenza pesi nel bilancio comunitario. Certo, è un costo che, si potrebbe dire un costo della democrazia, senonché sempre di più questo peso, non è soltanto un costo ma comincia a intaccare la, come dire, l'efficacia dei nostri dibattiti, delle nostre deliberazioni. Se pensiamo alla difficoltà sempre crescente delle intersecazioni linguistiche, errori, difficoltà. A volte, parlando una lingua, io credo che, non so quante, parlando in italiano non so verso quante lingue sono interpretato direttamente. Non è escluso che vi sia la traduzione, magari, adesso dico, invento è, quindi senza nessuna critica agli interpreti, ma è probabile che andando dall'italiano al finlandese o al danese passi da qualche altra lingua, magari da due lingue per il ponte
necessario. Quindi mi pare che questo esista e questi problemi siano andati sempre più aumentando oltre, ripeto, all'incidenza economica che pure è rilevante come le cifre che vi ho presentato dimostrano. Anche perché aggiungere una lingua non significa passare da 11 a 12 lingue significa moltiplicare naturalmente le combinazioni. Oggi, nel caso di 11 lingue, noi abbiamo 112 combinazioni linguistiche, che i nostri interpreti devono saper affrontare. Se penso all'allargamento ai 5 paesi ai quali si pensa e che sono stati indicati nell'ultimo vertice di Lussemburgo, arriviamo a sedici lingue arriviamo ad aggiungere alle 11 esistenti il polacco, il ceco, l'ungherese, l'estone e lo sloveno, nel caso della Slovenia, che porterebbero a 16 le lingue ufficiali. 16 lingue significa 240 combinazioni linguistiche. Cioè significa che per tradurre dallo sloveno, aggiungendo un ceppo, aggiungendo il ceppo slavo, oltre ai ceppi che già abbiamo. Quindi, arriviamo a 240 combinazioni linguistiche e potremmo arrivare, in un c
rescendo esponenziale, alla luce dei paesi che chiedono di aderire, addirittura a 600 combinazioni linguistiche. Rendetevi conto di cosa significa, non solo per un impossibile lavoro parlamentare ma addirittura per un lavoro di documentazione etc. Quindi, di fronte a questa sfida, ecco io, Presidente, sono contento che hai valutato positivamente il fatto, comunque, di interrogarci su questo. Noi dobbiamo garantire certamente la nostra uguaglianza davanti alle istituzioni. Non è pensabile che domani deputati portatori di una lingua detta minoritaria siano obiettivamente, naturalmente, direi, discriminati rispetto a chi si esprime in una lingua di maggior divulgazione, di maggior diffusione. Quindi l'uguaglianza va garantita. Va garantita la possibilità che le istituzioni si rivolgano ai cittadini nelle proprie lingue e quindi che vi sia un accesso alla legislazione, un accesso alla produzione europea che oggi invece comincia a privilegiare alcune lingue. Noi sappiamo come in realtà in alcune istituzioni, ad e
sempio nel collegio dei Commissari, parliamoci chiaro, sappiamo benissimo che vi sono tre lingue di lavoro. Quindi il Commissario che non possiede una lingua delle tre, certo può farsi aiutare se lo desidera ma indubbiamente comincia ad avere dei problemi. Ripeto, sono organi di diversa natura rispetto a quella parlamentare ma la tendenza si sta sviluppando. Garantire infine la protezione di tutte le lingue, se è possibile su un piede di parità ma allo stesso tempo di poter come dire, favorire o evitare la non-comunicazione alla quale noi stiamo assistendo. Pensando anche che poi la comunicazione col resto del mondo, e penso per esempio al grandissimo esempio che ci viene dalla Cina, noi naturalmente noi nella nostra comunicazione col resto del mondo, tenderemo a privilegiare magari una lingua nazionale rispetto al patrimonio linguistico nostro. Ecco i due ambiti sui quali volevo chiudere questa mia introduzione, Presidente. Il primo era quello, appunto, di porre sul tappeto questo problema, per poter chiede
re magari alle altre istituzioni di farci avere il materiale di cui dispongono e quello che hanno potuto fin qui realizzare e pensare o concepire. Potendo chiedere, Presidente, anche che si possa su questo andare un po ad approfondire maggiormente, arricchendo il mio rapporto con gli elementi che potranno venirmi oltre che dal nostro dibattito anche dai contributi delle altre istituzioni e cercare di capire se intendiamo, e io direi perché no?, nelle nostre riflessioni sul, per esempio, sul documento della Commissione del dicembre 98, sul divenire di questa Europa che deve allargarsi e approfondire, abbordare con umiltà e magari fare proposte su questo tema. In seconda istanza volevo trarre da questa mia introduzione la richiesta che venissero acquisite quelle esperienze pilota che sono state già esperite dalla Commissione con successo appunto per vedere se nei modelli ai quali possiamo confrontarci non si possa prestare attenzione a un modello cioè quello per cui una lingua neutra possa costituire il ponte
e l'elemento che ci possa indurre a dire, tutto sommato, chi sa che non sia la soluzione, quella di non privilegiare nessuna lingua ma affidarsi per il ponte, con tutte le facilitazioni che ciò consentirebbe anche di trasmissione e di abbattimento dei costi linguistici e di traduzione. Una lingua ponte che potrebbe consentire di dare una risposta a questi interrogativi. E un secondo volano di questo corpo di riflessione che merita, a mio giudizio, di essere approfondito perché il problema esiste e va abbordato in una o in un'altra maniera. Ho cercato di indicare quella che io privilegio ma mi pare che questo necessiti ancora approfondimento con i contributi oltre del nostro dibattito anche delle altre istituzioni. Grazie.
DE GIOVANNI (Presidente): Grazie Gianfranco, Andrea Manzella.