Sul tema della difesa dei diritti del popolo tibetano e delle iniziative mondiali possibili (il Satiagraha internazionale) non ho più notizie.
Personalmente il silenzio che è sceso sulla questione mi fa cogliere e vivere un disagio profondo. Proprio mentre una grande eco hanno alcuni recenti film americani sul Tibet, oggi, infatti, sembra che il Dalai Lama, rinunziando alla rivendicazione dell'autonomia politica del Tibet dalla Repubblica Popolare Cinese abbia fatto affievolire le speranze per un conseguimento pieno del riconoscimento del diritto del popolo tibetano alla autodeterminazione. E' questa una scelta dovuta a realpolitik?; e, quindi, l'accettazione della forza non giustificata dal diritto?; o, invece, ben altro? Non dare risposta chiara a questo disagio mi sembra generi un costo altissimo, non solo per l'immagine del Tibet ma per quella della pratica della teoria della non violenza. La posizione radicale al riguardo è cogente: da un lato la nostra valutazione circa il rapporto Tibet-Cina non è mutata considerandolo un inaccettabile paradigma di soluzione dei rapporti internazionali perché nato dall'esercizio della sola forza; dall'altro
i nostri valori ci impegnano ad individuare e perseguire soluzioni ed iniziative:
- attive (quindi non rinunciatarie)
- non violente (quindi legali e condivise dalle popolazioni)
- realistiche (quindi non dimostrative ed efficaci).
Con queste premesse, in questi primi giorni di Gennaio forse anche sulla spinta di un esercizio di digiuno per il sostegno della libertà di informazione in Italia mi è tornata alla mente, più forte e vivida di quando era nata, un'idea di cui ti avevo fatto cenno, fugacemente, tempo fa, quella di una iniziativa di sollecitazione delle autorità tibetane in esilio ed in particolare del Dalai Lama per l'estensione della cittadinanza tibetana a quei cittadini, non di etnia tibetana e non nati e residenti in Tibet, che ne facessero richiesta in modo consapevole, formalizzato e finalizzato.
La formula che vorrei proporre è rappresentata da questa precisa richiesta che credo e mi auguro possa essere condivisa e replicata da molte altre persone, della quale ti chiedo di farti direttamente ed autorevolmente interprete presso il Dalai Lama:
IO GUIDO BIANCARDI, CITTADINO ITALIANO, NATO A LODI IL 3-7 1943 CHIEDO A VS SANTITA', TENZIN GHIATSO, XIV DALAI LAMA, LEGITTIMO RAPPRESENTANTE DEL POPOLO DELLA RELIGIONE E DELLA CULTURA TIBETANE, CHE Ml SIA CONCESSA LA CITTADINANZA TIBETANA PERCHE' POSSA CONDIVIDERE LE LIBERE SCELTE DEI TIBETANI PER LA DIFESA DELLE PROPRIE DISTINTE CARATTERISTICHE E DEI PROPRI VALORI E PER IL SOSTEGNO Dl LEGITTIMI INTERESSI RICHIAMATI DALLA CARTA DEI DIRITTI DELL'UOMO E RICONOSCIUTI DAL DIRITTO INTERNAZIONALE.
La disponibilità che il Dalai Lama volesse dimostrare all'accoglimento di questa iniziativa darebbe ben maggiore valore e senso (rappresentando l'espressione anche di un dovere non violento) al rinnovo della mia iscrizione al Partito Radicale trasnazionale (che porterei in tal caso ad un milione di Lire). Provandomi ad argomentare meglio le ragioni di una iniziativa da considerare "naturale e necessaria" se non mi inganno sulle premesse, penso che l'impossibile ed inaccettabile dilemma: o limitazione delle azioni nei confronto di oppressori non legittimi, spesso purtroppo con risultati inadeguati, o rinuncia all'affermazione del principio regolatore delle dispute internazionali, rappresentato secondo i nostri valori dal diritto (non c'è pace senza giustizia), debba essere affrontato rispondendo secondo principi non violenti e democratici ai seguenti quesiti:
1. qual'è la condizione legale e legittima che consente di realizzare la verifica dell'espressione di volontà di una popolazione relativamente alle scelte concernenti lo statuto di autonomia del territorio del quale vogliono affermare l'appartenenza e definire la misura della sovranità esercitabile ?
La risposta, secondo le regole della democrazia, è data dall'espressione individuale del voto, meglio se espresso a fronte di una iniziativa a cio' specificatamente dedicata (referendum).
2. Qual'è il criterio "più non violento" che puo' identificare, in modo non razzista, la titolarità di ingerenza presso i governanti di un Paese?
La risposta è di consentire che a pronunziarsi siano coloro che condividendo le regole abbiano sia una legittimità formale a dichiarare ed affermare la proprio volontà (come Stati e come cittadini), unita ad una legittimità sostanziale costituita dalla condivisione dei principi che vengono richiamati e che vanno agiti, quali libertà, democrazia, solidarietà rispetto del diritto, non violenza. Per questo l'iniziativa si basa sulla richiesta e concessione della attribuzione formale della cittadinanza come condizione superando pero' il criterio, che è stato tragico generatore di orrori dell'appartenenza per sangue e territorio. Del tutto riconoscibile come caratteristica e prassi radicale è cio' che lo rende possibile, il concetto di contemporaneità e non esclusione di una pluralità di identità rivendicate (la doppia tessera e la trasnazionalità lo testimoniano).
Sarebbe a mio avviso molto bello poter testimoniare che, ricorrendo democraticamente, legalmente e non violentemente ad una verifica quantitativa delle volontà di coloro che sono portatori di un interesse ad esprimersi su una questione di diritto internazionale si potrebbe riuscire a dirimere il conflitto di interessi fra Cinesi e Tibetani facendo ricorso ad un referendum sulla sorte politica del Tibet se esso fosse esteso a tutti i cittadini tibetani (dentro e fuori dal Tibet) ed a tutti i cittadini cinesi (dentro e fuori dal Tibet); testimoniando che sarebbe possibile, chiamando a raccolta per una buona causa tutti coloro che sono di buona volontà e verificando e stimolando l'impegno di coloro che hanno più responsabilità verso il Tibet, attivare sufficiente interesse e partecipazione per mettere a confronto un numero di "nuovi tibetani" in grado di rapportarsi alla dimensione messa in gioco dai cinesi, la dimensione del numero. Un miliardo di Tibetani che, se chiamati secondo le intenzioni dei loro legitt
imi rappresentanti, convalidati e riconosciuti dalla Comunità Internazionale, possono dimostrare che è il principio di responsabilità universale che puo' imporsi come regolatore e modello non solo teorico ma pratico ed agibile; e rendendo possibile un Satiagraha referendario mondiale.
Oggi (o fra breve) si presentano grandi occasioni da non perdere:
- il 50ario della morte di Gandhi
- il 50ario della dichiarazione dei diritti dell'uomo
- la conferenza per la costituzione del tribunale internazionale permanente per i delitti contro l'umanità
- il giubileo cattolico del 2000
- ed inoltre la programmazione dei film con argomento tibetano ed il nostro tesseramento, che potrebbero stimolarsi vicendevolmente.
Tra l'altro quale è stato il senso dell'affermazione pubblica di Kennedy "lch bin Berliner" (io sono un Berlinese), e quali sono stati dopo il '61 gli effetti che ne sono derivati? Mi piacerebbe potessimo provare ad agire per il Tibet e per la Cina (e per il Sud Africa, I'Algeria, Israele, ..).
Se condividi l'iniziativa, ti prego di impegnarti come segretario del partito a promuoverla attivando, se credi, un dibattito.
Guido Biancardi
N.B. Questa non è e non deve essere una iniziativa opportunista.
Essa non vuole e non deve forzare la mano di coloro che più direttamente hanno responsabilità di iniziativa vivendo una difficilissima condizione;
non è rivoluzione forzata, ma proposta fraterna di non accettazione della violenza e dei suoi inevitabili effetti. Va soprattutto, chiarito che, a dare dignità di Satiagraha (amore/forza della verità, credo significhi) non è l'iniziativa di movimentazione in sé anche se essa consente di sperimentare e condividere una pratica virtuosa; e neppure l'elevatezza di una finalità possibile fra le altre quale l'eventuale, se perseguita, liberazione di un popolo oppresso, ma la possibilità di svelare la verità di una scelta responsabile ed altruista di perdita della propria autonomia per non perdere i propri valori e la propria identità; per realizzare con i comportamenti le condizioni di testimonianza inequivoca che generano e diffondono virtù.
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