MORO
una tragedia semplice
di Paola Tavella / noi donne
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Vent'anni sono trascorsi dal rapimento e dall'omicidio di Aldo Moro e dall'uccisione della sua scorta: Di quell'evento si sa tutto. O almeno tutto quello che riguarda le Brigate Rosse. Quei mostri onnipotenti intorno ai quali tanto si è fantasticato in questi due decenni ci hanno raccontato chi erano, come e perchè decisero un'azione destinata a cambiare il corso della storia del paese. Sappiamo che in via Fani, dove si consumò la strage, non c'erano agenti della Cia né killer della mafia, né capi della 'ndranheta calabrese. C'erano dodici militanti delle Br, fra i quali due donne, tutti avevano meno di trent'anni. Sappiamo che nella casa di via Montalcini, la "prigione del popolo" dove fu ucciso dopo 55 giorni, erano in quattro, tre uomini e una donna. Processi, interviste, memoriali hanno ricostruito il dibattito interno alle Br, sappiamo chi si oppose all'esecuzione e perchè, sappiamo chi la volle, la maggioranza, e con quali argomentazioni. Mario Moretti, il leader riconosciuto dall'organizzazione, ha a
vuto occasione di dire che è proprio questa banalità, questa semplicità a risultare insopportabile e ad alimentare sempre nuove supposizioni e inquietanti misteri: che a rapire e uccidere Aldo Moro furono, per dirla con le sue parole, "quattro operaiacci".
Dalla parte della rivoluzione armata, dunque, è ormai stata composta una vera e propria narrazione, una trama sufficente a scrivere, un giorno, la storia. Non è così per quel che riguarda lo Stato, dove i non detti e i particolari inspiegabili restano. Molti dei protagonisti di allora sono morti, e coloro che vivono ancora non ne parlano volentieri. E' una sorta di "buco nero" nella storia politica italiana. Eppure, misteri a parte, sarebbe di estremo interesse proprio il "racconto" di quell'anno terribile, nelle sue dinamiche politiche e nei suoi dilemmi morali. Solo così il quadro sarebbe completo, e quella vicenda estrema e emblematica potrebbe essere elaborata e chiusa .
Infatti, nonostante il caso Moro abbia infine perso i caratteri di formidabile strumento di ricatto politico e morale che ebbe nella prima Repubblica, non cessa di calamitare una grande quantità di emozioni. Questo avviene, probabilmente, perchè si tratta di una vera e propria tragedia, nella quale quasi si avverte la mano del fatto. Si ascolta ora Mario Moretti confidare in tv a Sergio Zavoli che fino all'ultimo sarebbe bastata "una parola" di Zaccagnini per salvare l'ostaggio, e si comprende che nessuno, nemmeno chi poi uccise, voleva la morte di Aldo Moro: Eppure tutti restarono seduti al posto che il destino aveva loro assegnato, senza la forza, o la capacità di alzarsi e cambiare le regole del gioco.
Così, ineluttabilmente, come in una tragedia di stampo archetipico, si precipitò verso l'esito sanguinoso. E, questa, una verità insopportabile, e resterà tale. Perchè, se gli eventi appaiono lontani, il significato di quello che accadde è un monito senza tempo.
16 marzo 1978:
le Br rapiscono Aldo Moro e uccidono gli uomini della scorta in via Fani a Roma.
Per 55 giorni si susseguono comunicati e messaggi dei rapitori ai giornali, tentativi di trattativa , lettere di Moro alla famiglia e a esponenti del suo partito, messaggio del Papa agli uomini delle Br.
Tutte le ricerche di carabinieri e polizia finiscono con un buco nell'acqua.
Il 9 maggio il presidente della Dc viene ritrovato morto, nel bagagliaio di una R4 in via Caetani.