Visto il successo del dibattito passo e chiudo con il seguente messaggio.
A parte le implicazioni personali che non necessariamente interessano i conferenzieri circa il mio stile di vita provinciale, che a volte dicono molto di piu' su chi le usa che non su chi viene degnato di contanto interesse, mi pare di non aver trovato motivazioni politiche in sostegno dell'esperanto.
A edo, al quale mi pare sfuggano i lati parossistici della dispositio perduchiana strutturata con luoghi comuni e linguaggio crudo - non si puo' pretendere tutto subito, lo so - vorrei dare la ferale notizia che non sono un pentito e che mai ho usato il termine in questione. L'appellare a cuor leggero (eufemismo) mi pare appartenga piu' alla tradizione cino-sovietica che non alla disussione liberale, ma la vita e' bella perche' e' varia.
Ed e' senza astio o pentimenti che ho voluto iniziare una riflessione sull'opportunita' politica della proposizione dell'esperanto come lingua di comunicazione internaziole, sia perche' mi pare abbia perso parte del fascino utopico ricordato da vincenzo, sia perche' rischia di fare ancorare le proposte del partito radicale a una lingua, che non ho mai chiamato vecchia, ma che e' sicuramente conservatrice di se stessa e quindi malamente utilizzabile per progredire. E' notorio che l'esperanto e' una lingua impermeabile, chiusa agli imprestiti linguistici, un presupposto contrario alla comunicazione in generale, e soprattutto rallentante un contesto in cui le informazioni corrono per il mondo in tempo reale.
Infine sull'EBRAICO
Per quanto morta, e non vecchia, l'ebraico era una lingua letteraria, la lingua della tora', ma anche una lingua naturale o culturale, la lingua del popolo ebraico, sviluppatasi misteriosamente come tutte le lingue del mondo nel corso di millenni e scomparsa per successive migrazioni, volontarie e/o coatte non una lingua inventata di sana pianta.