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Orofino Veronica - 26 marzo 1998
Africa

E a Entebbe firma un patto per lo sviluppo con 7 Paesi. Incontro con il discusso nuovo leader del Congo

CLINTON RIPETE: SCUSACI, AFRICA

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IN RUANDA: <>

La partnership degli Stati Uniti con la "nuova Africa" muove i primi passi concreti in questa cittadina sul Lago Vittoria che finora era conosciuta nel mondo soprattutto per lo spericolato raid israeliano del 1976.

Il "Patto di Entebbe", sottoscritto ieri da Bill Clinton e sette leader dell'Africa Centro-orientale (Uganda, Tanzania, Kenya, Rwanda, Congo Kinchasa, Etiopia e Zimbabwe) segna l'inizio di un impegno americano per lo sviluppo politico ed economico di questo continente dopo decenni d'indifferenza. Segna anche l'inizio di una alleanza informale tra gli Stati di questa regione per arginare l'integralismo islamico propugnato dal Sudan.

Clinton ha risparmiato prediche sulla democrazia ai suoi interlocutori. Ancora una volta ha ricordato di essere venuto "per ascoltare e imparare"- vero e proprio mantra di questo suo giro africano - e che comunque le vie alla democrazia sono più di una.

Ai margini del vertice tenuto all'imperial Botanic Beach Hotel, il presidente americano ha anche avuto un incontro a quattr'occhi con Laurent Kabila, il leader del nuovo Congo che finora si è dimostrato decisamente restio a mettere in moto un processo democratico in quello che rimane il Paese chiave per la stabilità di questa regione. "Vogliamo che lei ce la faccia - gli ha detto Clinton stando a una fonte della Casa Bianca - ma lei a sua volta ci deve facilitare il compito di aiutarla". E Kabila si è impegnato a tenere elezioni entro due anni.

Il patto di Entebbe punta anche a mettere fine ai genocidi che hanno insanguinato questa regione, attraverso una serie di meccanismi preventivi e del rafforzamento del sistema giudiziario e della polizia, che gli Stati Uniti s'impegnano a finanziare.

Ieri mattina, prima del vertice in Uganda con i sette leader africani, Clinton ha fatto un viaggio-lampo a Kigali, capitale del Rwanda, per rendere omaggio alle vittime dei massacri del genocidio del 1994. "Sono venuto qui oggi - ha spiegato con espressione contrita - anche per riconoscere che quattro anni fa non facemmo quanto avremmo potuto fare. Giorno dopo giorno gente come me se ne stava chiusa in ufficio incapace d'immaginare la rapidità con cui questo Paese affondava nell'orrore".

In una saletta dell'aereoporto il Presidente ha incontrato alcuni superstiti dei massacri per un colloquio di un'ora che lo ha lasciato visibilmente scosso. "Un milione tra tutsi e hutu moderati furono uccisi sistematicamente, in base a un disegno ben preciso - ha ricordato - I carnefici usarono machete e bastoni, ma il ritmo delle uccisioni fu cinque volte superiore a quello delle camere a gas meccanizzate dei nazisti. Eppure non reagimmo dopo le prime uccisioni, non volemmo parlare di genocidio e lasciammo che i responsabili si rifugiassero nei campi profughi".

La comunità internazionale, inclusi i Paesi africani, "portano oggi il peso di quella responsabilità", ha insistito Clinton. Ma molti in Rwanda ricordano che nell'estate del 1994 furono proprio gli Stati Uniti a opporsi tenacemente ad un intervento internazionale per fermare il massacro.

Si disse anche che l'immobilismo americano rifletteva un preciso disegno strategico: la conquista del potere da parte dei Tutsi sotto la guida di Paul Kagame, addestrato alla scuola militare di Fort Leavenworth, nel Texas. E la visita di ieri a Kigali, che Clinton ha voluto fare a dispetto dei servizi di sicurezza americani che temevano per la sua incolumità, aveva lo scopo evidente di offrire una forte copertura politica al regime Tutsi oggi al potere in Rwanda (di cui Kagame è formalmente il numero due, ma di fatto la figura dominante).

"L'America è oggi al vostro fianco"; ha assicurato Clinton, rievocando la vecchia tesi cara agli americani che i guai in Rwanda e negli altri Paesi di questa regione cominciarono il secolo scorso, con il Congresso di Berlino, "quando le potenze europee si divisero l'Africa".

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Andrea di Robilant / la stampa / 26/ 3/

 
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